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 2010  settembre 01 Mercoledì calendario

I SEGRETI DELLA NASA

In principio fu la mucca. Fu il bovino bianco che dall´album dei ricordi della Nasa guarda stolido l´obbiettivo senza poter capire che quel suo pascolo nella prateria del Texas diventerà la "stargate", la porta delle stelle, a Houston. "Fiat Nasa", sul mondo si distesero la luce, i sogni, i progetti, i trionfi e le catastrofi del piccolo dio dello spazio, della prima organizzazione nella storia umana capace di inviare uno di noi su un altro corpo celeste e di portarlo indietro vivo.
Nella Bibbia fotografica che l´agenzia spaziale americana ha messo ieri a disposizione del pubblico attraverso Internet con migliaia di scatti pubblicati su Flickr (nella sezione The Commons), quella immagine così incongruamente pastorale in mezzo a una collezione di lampi vulcanici nella notte, missili, piazzole di lancio, astronauti, navicelle spaziali e specialisti dal volto serissimo e dalle immancabili penne da ingegnere nel taschino della camicia di poliestere sempre bianca e sempre a maniche corte è il primo libro della Genesi per la Nasa. È la prima istantanea di un viaggio che, mezzo secolo più tardi, sembra già finito ed è invece appena cominciato.
L´album dei ricordi (e dei rimpianti) della National Aeronautics and Space Administration, come dice il suo greve titolo burocratico completo, è una collezione di immagini insieme stupende e struggenti. Trasmettono i sogni di una generazione di visionari considerati innocentemente pazzi, come Robert Goddard, professore di provincia e geniale "bricoleur" nella tradizione americana dei Franklyn e degli Edison, persuaso che il futuro del volo fosse nei motori a razzo che lui stesso fabbricava con rottami.
Registrano i fallimenti della Naca, la progenitrice della Nasa, che fece perdere la pazienza al presidente Eisenhower quando Esercito, Aviazione e Marina sparacchiavano missili impotenti e incapaci di competere con gli Sputnik. Registrano l´avvento del terribile tedesco, dell´ex SS Werner Von Braun riciclato dagli imperativi della Guerra Fredda, come i Sovietici avevano riciclato i loro ex nemici, che condusse per mano la zoppicante bambina spaziale fino alla Luna, in groppa al suo Saturno V, sempre impettito e rigido nelle foto, come gli avevano insegnato. E infine il trionfo delle sequenze di voli riusciti e delle istantanee dallo spazio, lancinanti nella loro nitidezza assoluta, senza l´atmosfera a sfumarle.
La forza incomparabile della Nasa, rispetto agli avversari sovietici e più tardi ai concorrenti cinesi che oggi cercano di emularla, è raccontata in questa collezione, che non illustra speciali capacità tecnologiche, scientifiche o industriali. La sua forza stava nella trasparenza, nell´avere fatto sempre tutto davanti al mondo, sotto gli occhi dei curiosi e dei giornalisti a naso in su con occhiali da sole raccolti sulle dune attorno a Cape Canaveral, e poi dei teleobiettivi, ad ascoltare quel conto alla rovescia scandito dalla voce del direttore di volo nella nostra memoria, quel 3... 2... 1... fino al «lift off! We have lift off!», distacco, abbiamo il distacco del razzo e poi vada come vada.
Questa è stata la schiacciante superiorità della Nasa per i 50 anni della sua esistenza, da quando Ike Eisehower la formò sulla carta con decreto del 1958, poi attraverso la follia kennediana di annunciare un traguardo, la Luna, che nessuno sapeva come potesse essere raggiunto, se non sulle lavagne delle equazioni, e per il quale non esisteva la tecnologia necessaria. Perché questa fu, durante la Guerra Fredda e anche negli anni strazianti della "Sporca Guerra" in Asia, la grande e magnifica arma di distruzione politica di massa degli Stati Uniti sul nemico sovietico, la trasparenza e dunque il coraggio dei propri fallimenti. E coraggio, non soltanto morale e politico, è l´espressione che viene alla mente guardando John Glenn infilato quasi a forza nella scatoletta di carne chiamata "Friendship 7" che lo avrebbe portato, nel febbraio del 1962, a diventare il primo americano in orbita attorno alla Terra per 88 minuti, un anno dopo Yuri Gagarin. O ricordando le parole del suo collega Alan Shepard, il primo americano a fare un tuffo oltre la gravità terrestre ma senza orbitare, in cima al pericolante Mercury, quando gli chiesero se avesse avuto paura: «Paura no, ma mi preoccupava un po´ il pensiero di essere seduto in cima a un razzo costruito dalla ditta che aveva vinto l´asta offrendo il prezzo più basso».
Dall´album della ex vergine dello spazio, quella che sembrava non potesse mai cadere in errore fino alla tragedia del primo Apollo, l´Apollo 1, che consumò i tre astronauti a terra nella vampata dell´ossigeno pressurizzato, e poi al disastro degli Shuttle, manca inevitabilmente un protagonista, qualcuno al quale l´America, la Nasa e coloro che assistettero con il cuore in gola all´allunaggio di Neil Armstrong e di Buzz Aldrin nel Mare della Tranquillità, il 20 luglio del 1969. Manca Nikita Kruscev, quello che aveva giurato di «seppellire l´America» sotto i successi del Socialismo Reale, manca l´Urss che, nello scatenamento della psicosi da «missile gap», del (immaginario) ritardo missilistico, trasformò le patetiche baracchette, le attrezzature rudimentali, le traballanti piattaforme galleggianti, che l´album di famiglia ci mostra, nel titano della ricerca aerospaziale al quale nessun finanziamento o appoggio potevano essere negati.
È possibile che, senza la corsa insieme militare e ideologica al sempre più alto, sempre più veloce, sempre più potente, scatenata fra Mosca e Washington, sulla Luna non saremmo mai sbarcati. Che avremmo dovuto attendere ancora per vedere il cielo costellato da quei satelliti artificiali che oggi globalizzano la comunicazione istantanea e che ebbero tutti una genesi e un´intenzione strategiche. Ma per la Nasa, dunque per l´America e per il romanzo dell´esplorazione extraorbitale, vale - come prova questo immenso album di ricordi - il celebre e inascoltato monito dell´ammiraglio Yamamoto dopo l´aggressione a Pearl Harbor scambiata per un grande vittoria giapponese: «Temo che non abbiamo fatto altro che svegliare un gigante che dormiva».
Oggi, di nuovo, il gigante Nasa, smagrito a un decimo dei bilanci e dei progetti di allora e guardato dai chi lo dovrebbe alimentare, il Congresso, come un lusso marginale, sonnecchia, palleggiando progetti di nuove navicelle spaziali, l´Orion, e di esplorazioni umane su Marte che vengono costantemente posposte, come gli appuntamenti dal dentista.
Anche la scelta, dopo due anni di discussione con vari siti Internet, di aprire il cassetto dei ricordi gettando alla rinfusa le foto di famiglia attraverso gli Archivi di Internet, sa un po´ di sguardo rivolto all´indietro, più che in avanti, qualcosa che la Nasa degli anni gloriosi, la decade dei Sessanta, avrebbe considerato una perdita di tempo da sentimentalisti nostalgici. Certamente, la spaventosa galoppata che le foto documentano, dai rudimenti e dai cantieri degli anni ´40 e ´50 a oggi, adesso è un trotto leggero, ma il sospetto che in futuro qualcuno, qualcosa, possa scuotere ancora il gigante che sonnecchia è forte. Saranno la Cina, l´India, qualche nuova rivale ancora ai primi passi a fare quello che Nikita Kruscev fece mezzo secolo fa? È possibile, forse addirittura probabile che fra mezzo secolo ci ritroveremo a guardare le foto della Nasa oggi come oggi guardiamo quelle mucche pascolare nel Texas, sul luogo dove si sarebbe alzato il comando spaziale di Houston.