FEDERICO RAMPINI, la Repubblica 1/9/2010, 1 settembre 2010
LA GUERRA IN IRAQ È FINITA MA LA NOSTRA MISSIONE CONTINUA" - WASHINGTON
«Questa sera vi annuncio che la missione di combattimento dell´America in Iraq è finita». Barack Obama ha scelto lo Studio Ovale della Casa Bianca, il quadro più solenne, per parlare alla nazione alle otto di sera. Un annuncio storico, «una pietra miliare», l´ha definita: «L´Operazione Iraqi Freedom è chiusa. Da questo momento sono gli iracheni ad avere la responsabilità della sicurezza del loro paese». Con orgoglio Obama ha rivendicato di aver mantenuto la promessa agli americani: «Questo fu il mio impegno da candidato. Dissi che avrei ritirato tutte le truppe da combattimento e l´ho fatto. Quasi centomila dei nostri soldati hanno lasciato l´Iraq». Obama nel pomeriggio aveva spiegato che «non è il momento di celebrare vittorie». E in serata ha ricordato il «prezzo immenso» che gli Stati Uniti hanno pagato, in vite umane e in risorse economiche, «per mettere il futuro dell´Iraq nelle mani del suo popolo, dare un nuovo inizio a questa culla della civiltà umana». Dopo quello che ha definito «un capitolo eccezionale nella storia, abbiamo assolto la nostra responsabilità, adesso è tempo di voltare pagina».
Un discorso misurato, difficile: lontano dai toni pacifisti della campagna elettorale che esaltarono l´ala sinistra del suo partito. Obama ha dovuto ricordare l´altra guerra in corso, l´Afghanistan, dove ha ammonito che «i combattimenti continueranno ad essere molto difficili»: 22 morti negli ultimi 5 giorni, è il bilancio peggiore dall´inizio della guerra.
Sull´Iraq è stato attento a non ripetere l´errore di George Bush quando annunciò trionfalmente «Mission accomplished» a pochi mesi dall´invasione. Ma il presidente in carica non può tagliare ogni continuità con il suo predecessore che, infatti, ha chiamato al telefono poco prima di parlare al paese: se da candidato attaccò l´invasione dell´Iraq come «sbagliata», ora Obama non può prenderne le distanze senza offendere la memoria dei 4.427 soldati americani che hanno perso la vita su quel fronte (più oltre 34.000 feriti e mutilati).
«Rendo omaggio al milione mezzo di americani in uniforme che hanno servito in Iraq. Sono fiero di essere il vostro comandante capo, avete fatto un lavoro straordinario». Poi l´appello ai dirigenti iracheni: «È ora che facciate un passo avanti, che prendiate in mano voi la sicurezza del paese». Un´allusione alle faide interne che impediscono la formazione di un nuovo governo da marzo.
È essenziale che funzionino le istituzioni locali, ha detto Obama, perché lui manterrà anche l´altra promessa: «Il ritiro entro la fine del 2011 dei soldati rimanenti», quei 50.000 militari Usa che tuttora restano in Iraq anche se ufficialmente in posizioni di supporto e addestramento. Un ritiro indispensabile per «spostare risorse verso il rilancio dell´economia, la priorità assoluta», in un´America stremata dal costo delle guerre. Muovendosi su un sentiero stretto, per non contraddire le sue critiche a Bush ma non delegittimare il lavoro fatto in Iraq, Obama ha proseguito: «L´Iraq ora ha l´opportunità di costruirsi un futuro migliore, e l´America è più sicura». Ha elencato i compiti che rimangono e giustificano per oltre un anno i 50.000 soldati rimanenti, «alcuni dei quali stanno partendo oggi per l´Iraq». Obama ha spiegato: «Abbiamo lavorato troppo per lasciare l´opera incompiuta. In Iraq è cruciale continuare ad assistere le forze di sicurezza locali. Poi dobbiamo proteggere il nostro personale civile, diplomatici e specialisti degli aiuti umanitari che affiancano gli sforzi del popolo iracheno per ricostruire il paese». Non è un addio, è una nuova fase della presenza americana in Iraq che si apre. Uno sforzo senza precedenti assegnato al personale civile, sotto la guida di Hillary Clinton.
Una finzione sottile. «Che accadrà se al Qaeda dovesse riprendere ad attaccare i nostri ragazzi rimasti là?», si è chiesto ieri Paul Bremer che fu plenipotenziario di Bush in Iraq. Sulle contraddizioni di Obama si è scatenata l´opposizione. Il capo dei repubblicani alla Camera, John Boehner, ha rivangato le posizioni di Obama in campagna elettorale: «Prima si oppose con tutte le sue forze alla strategia del potenziamento militare, oggi si vanta dei risultati come fossero merito suo». Non aiuta Obama il fatto che il suo segretario alla Difesa, Robert Gates, sia repubblicano: l´unico membro dell´Amministrazione Bush riconfermato. Proprio Gates ieri mattina, parlando all´American Legion a Milwaukee, ha rivendicato una continuità di strategie fra le due guerre, l´Iraq e l´Afghanistan, l´escalation di Bush e l´escalation di Obama (che ha portato a 100.000 gli uomini sul suolo afgano). Un nesso inevitabile, e al tempo stesso insopportabile per Obama che ha sempre cercato di evitare l´amalgama tra le due guerre. «In Afghanistan siamo a caccia di al Qaeda - ha precisato in serata il presidente - cioè dei terroristi che attaccarono l´America e continuano a tramare contro di noi. Dopo l´11 settembre questa nazione si è unita nella promessa che non lasceremo ripetere una simile aggressione. Siamo a caccia di coloro che hanno perpetrato quel crimine e non gli daremo tregua».