Marco Cavalli, Oggi, 8/9/2010, 8 settembre 2010
INTERVISTA AD ALDO BUSI SUL CASO MANCUSO-MONDADORI
La polemica sul caso Mondadori, innescata su Repubblica dal teologo Vito Mancuso, ha tenuto banco per giorni e giorni. Mancuso chiedeva a se stesso e agli altri autori Mondadori: lasciare o no la casa editrice di proprietà di Silvio Berlusconi dopo che una apposita legge le ha consentito di chiudere un contenzioso con il fisco? La stragrande maggioranza dei chiamati in causa, da Corrado Augias a Eugenio Scalfari, ha risposto con argomentati «no». Siamo andati a sentire che cosa ne pensa uno scrittore che con la Mondadori ha pubblicato diversi libri: Aldo Busi. Ecco l’intervista.
Dopo la querelle sulla legge «ad aziendam» sollevata da Vito Mancuso su Repubblica e la conseguente polemica sul conflitto di interessi, da che parte si schiera Aldo Busi? Dentro o fuori la Mondadori?
«A parte il fatto che, non scrivendo più da dieci anni e non intendendo ricominciare per niente al mondo, potrei rispondere dannunzianamente "Me ne frego!" e chiuderla qui, la mia risposta catullianamente è: né con la Mondadori né senza la Mondadori.
Né con la Mondadori perché il suo presidente e premier Berlusconi è innanzitutto la negazione fatta persona della mia opera, come progetto civile a medio termine di un Paese, e poi... o quindi... è negazione del senso dello Stato e dei limiti legislativi di un’azienda, che non può scavalcare le regole comuni che vincolano le altre aziende di comuni imprenditori che non hanno santi nel paradiso governativo di uno Stato, e in particolar modo di una casa editrice, poiché essa non vende saponette, o non solo, ma sapere, cultura, libertà di coscienza, sviluppo civile e costituzionale, apprendimento al diritto e al dovere individuale e politico.
Né senza la Mondadori per la correttezza dei suoi editor migliori e dei suoi pagamenti. La verità è che per i mondadoriani Berlusconi premier è una disgrazia. La recente lettera di Marina Berlusconi a Saviano in difesa della libertà d’opinione dell’editore Silvio Berlusconi di contrastare ideologicamente, quale primo ministro Berlusconi Silvio, l’eco mondiale del libro di un suo autore è un capolavoro di paradosso impensabile in ogni altra precedente epoca della storia dell’editoria, e infatti non pertiene in senso stretto all’editoria bensì all’ingenuità di una figlia che difende pubblicamente il perfetto e immacolato papà e intanto contribuisce a distruggere l’immagine di una azienda peraltro sua, un colpo terribile alla credibilità di un marchio, per l’appunto il colpo di qualcuno che non capisce niente di editoria, proprio come il padre.
Ed è un mistero che il Berlusconi imprenditore abbia alla Mondadori, a vari livelli, dei lavoratori, alcuni dei quali sono geni assoluti, mentre in politica non ha che mezze calzette. Non esiste un equivalente politico di Maurizio Costa o di Mara Samaritani o di Antonio Riccardi o di Andrea Cane o di Riccardo Cavallero o di Claudia Scheu o di Cesare Salami o di Gian Arturo Ferrari o di Gabriella Ungarelli o di Oriana Daturi nel governo Berlusconi.
E poi vogliamo mettere l’efficienza a partire dai vigilantes, dai portieri, dai fattorini, dagli inservienti della mensa? Tuttora, il centralino di Segrate risponde entro il terzo squillo, se chiami la Feltrinelli possono passare interi cd dei Beatles fino a farti trapassare del tutto, per non parlare di quello della Rcs e di una certa sua intrafficatissima editor del tutto via, che non risponde mai al telefono, nemmeno per ovviare a cazzate partite da lei che ledono la dignità e la volontà di un suo autore, un vero e proprio caso umano degno di un corto al Festival di Lavacachetàcagà per affogare del tutto la legge Basaglia.
Ma ora, ritornando a una impossibile comparazione tra la qualità dei professionisti di Segrate e quelli del Pdl o della Lega o di An, mi dice lei che cosa c’entra uno come Bondi con il ministero dei Beni culturali? Ce l’ha messo forse perché scrive poesiole di trepidante turbamento petrarchesco? Allora poteva insediarci Calderoli, che veste dei pinocchietti verde pisello che Collodi per Lucifero se li sogna!
Se Berlusconi impiegasse alla Mondadori gli uomini che ha al governo o anche solo gli stornellatori al soldo della sua grandezza che ha in parlamento, andrebbe in fallimento. Per fare editoria di successo ci si serve di avvocati del diavolo, non di ruffiani».
Quindi lei non attaccherebbe la Mondadori?
«La Mondadori è ancora la migliore casa editrice italiana da un punto di vista tecnico e umano, o meglio, tutte le altre sono peggio, cominciando dalla puntualità, dalla correttezza economica dei suoi rendiconti agli autori. La Mondadori non mi ha mai proposto pagamenti in nero, qualcun altro sì.
E poi, è anche una questione di simpatia: prima può essere simpatia reciprocamente interessata, ma col tempo si scioglie, è simpatia e basta, e tanti che sono in Mondadori mi stanno antipatici, in primis quelli che occupano una mansione per la quale non sono all’altezza o che ricrea un conflitto di interessi formato bonsai: come si fa a dirigere la collana di scrittori italiani e poi volere fare lo scrittore come Franchini?
Chi è al servizio di chi? Amorale e quindi insensato, e anche Ferrari la pensava come me, ma è talmente bravo nel suo genere meridionale che chiudeva un occhio. Già, la simpatia: basta avere conosciuto di persona Carlo Feltrinelli, l’unico editore al mondo che si fa pagare il pranzo da uno scrittore, per trovare irresistibile anche Marcello Dell’Utri alla Direzione Libri, sezione Diari, ovviamente.
Detto questo, i grandi lavoratori della Mondadori arnoldiana non sono stati sostituiti con pari grado di know how. La gente, quando non usa più la propria testa ma usa la voce, anche psichica, del padrone e da intellettuale di mondo si trasforma in subordinato che teme di perdere il posto di lavoro alla minima critica sull’operato del padrone visto che è al contempo il Principe, e aspetta soltanto il ventisette del mese.
E da un ventisette all’altro cerca di lavorare il meno possibile, ovvero, c’è il meno possibile con la parte che più gli duole e lo spaventa, la propria testa... le interviste rilasciate da alcuni editor mondadoriani in occasione della legge-bavaglio sono state per me un particolare colpo al cuore, al cuore dell’azienda stessa... e quindi tutto comincia a deteriorarsi: dalle copertine all’editing alla stampa fatta a casaccio, dal coordinamento tra una sezione e l’altra, sembra sempre di parlare nel vuoto.
Per non parlare della distribuzione per quanto asseriscono gli addetti davanti a computer e quanto asserisco io, autore nell’economica, negli Oscar, con una forte esperienza di strada, di librerie, di commessi di libreria, di centinaia di librerie, conosciuti per nome uno a uno, io che ho accesso dove non l’ha nessun altro, nella loro rete interna per le ordinazioni, con data, quantità, tempi decorsi tra il sold in e il sold out... nessuno vuole farsi una ragione che ho ragione io, abituato a fare la tara della tara della tara, e che ho ragione magari anche per quanto riguarda i codici nuovi delle riedizioni mai pervenuti al terminal, o rimasti in stand by, dei punti vendita, e che la cosa non riguarda me ma l’intero sistema o policy, e ogni volta devo ricominciare daccapo a spiegare, a dare prove, a fondare i miei dati con testimonianze esterne, un tormento.
E alla fine, ma alla fine di quinquenni, salta fuori che avevo totalmente ragione io, ma che nessuno se ne era accorto. Senti una puzza che mai si è respirata prima in Mondadori, la puzza del "tengo famiglia" e del non svegliare il can che dorme, fosse pure un chihuahua».
E la sua posizione come autore Mondadori rispetto al conflitto di interessi?
«Io non ho scritto l’opera che ho scritto e vissuto la vita... di merda meravigliosa... che ho vissuto per essere ancillare ad alcuno. Se Berlusconi ha creato un conflitto di interessi, se lo piglia lui su per dove più voglia aggradire. Il suo testo in testa a me non me lo mette nessuno, cominciando dalle sue leggi e leggine salvami-da-questo, salvami-da-quello. Ne patirò come uomo e come cittadino, ma la mia opera non c’entra, la sua assoluta autonomia sta scritta nella pietra.
Io ho sollevato casini a non finire solo perché mi si voleva mettere in discussione una virgola, si figuri per una richiesta di censura, anche se poi una volta ho ceduto, ma più per gentilezza che per codardia, fosse stato solo per me avrei restituito soldi e rescisso il contratto immediatamente, ma, al solito, ne andavano di mezzo i soliti strainculati lavoratori che tengono famiglia. Si trattava di una qualifica data a Berlusconi in "Casanova di se stessi", credo fosse "nanerottolo peronista"... E anche per altre ragioni la mia opera, così come non c’entra con Adelphi, non c’entra con la Mondadori».
In che senso la sua opera non c’entra con la Mondadori?
«La cosa buffa dell’aver pubblicato da Mondadori è che considero la mia opera inedita. Mi hanno dato dei soldi ma hanno tenuto la mia opera in ostaggio. Perché? Perché non hanno la forza propulsiva per promuoverla, e neppure una testata giornalistica in linea con essa. Non hanno l’intellettualità per capire che tipo di opera è. Non vanno al di là dei gialli, dei libri di cucina e di catechismo o dei "bugiardini" delle pomate per alleviare il prurito vaginale.
Tutte cose da vendere a metri o a cubetti, che non entrano nel tessuto connettivo della vita civile italiana. Anche i Meridiani sono diventati la girandola del ridicolo assoluto: c’è Vittorio Alfieri? allora ci sta da dio anche Alberto Bevilacqua o magari De Crescenzo, mentre, tra l’ansia e l’angoscia, si aspetta quello di Buttafuoco o della Fata Turchina. È il mercato, bambole!».
Però lei ha manifestato in più occasioni il suo attaccamento al marchio Mondadori.
«Io, firmando nel 2003 il mio contratto forfettario per i titoli pregressi, ho pagato il mio obolo morale ai dipendenti della Mondadori che conosco dal 1985, anche se loro si sono dimostrati tutto sommato incapaci di promuovere i miei libri. E io mi sono sentito ingiustamente in colpa perché per quei libri... non per quel contratto, intendiamoci... ho ricevuto anticipi enormi - secondo me equi, visto che non ho scritto se non capolavori.
Il fatto è che se uno non sa fare la distinzione tra un autore e uno scrittore, poi non sa neppure venderli. Succede così che la Mondadori mi fa un contratto di dieci anni a un tot di soldi, e una volta stampati i miei libri sono io che devo controllare che vengano distribuiti e ristampati, perché vorrei avere la possibilità di andare almeno in pari con la retta annuale, per quanto modesta ma tutto è relativo.
Invece i sette-otto anni dalla firma di questo contratto con la Mondadori li ho passati a lottare con un editor della Mondadori perché non mi andava di venir pagato a fronte di libri che non erano reperibili sul mercato o che, se reperibili, non venivano per mesi e mesi e mesi riforniti dietro richiesta dei librai. Se un titolo va esaurito, non lo ristampano. E se non glielo dico io, nessuno alla Mondadori ci arriva, e Costa lo sa e di questo mi ha infine formalmente chiesto scusa.
Non ci arriva nessuno perché il catalogo, cioè la cosiddetta economica, non interessa più agli editori, che puntano al bestseller e s-ciao. Non solo non interessa più Aldo Busi: non interessano più Proust e Balzac e Dostoevskij. I titoli corrispettivi sono stati tagliati della metà nelle stesse librerie Feltrinelli, ormai dei semplici empori dove stupisce che in prima linea abbiano dimenticato di esporre l’ultima variante di zabaione di Antonella Clerici insieme al soufflé venato di cristologia, laica a puntino, di Corrado Augias».
L’editore guarda solo al mercato e alle vendite.
«L’editoria, non solo quella italiana ma mondiale, si indirizza a un non-lettore. Gira e rigira, è la demagogia del cliente, è l’acchiappare gli sfigati e le sfigate che nel libro cercano il passatempo, la consolazione, la cabala rivelata dell’amore, del sogno nel cassetto ovvero dell’assassinio di una vita, il chip misticheggiante per far ripartire alla meglio la loro arrugginita macchina ghiandolare.
Io mi indirizzo a un lettore, a una mente formata su un corpo formato, un corpo che si accetta per quel che è e che già si sente o che non è alla ricerca di stampelle anche solo per fare il prossimo passo. Se uno non è un lettore come lo sono io, non riesce ad andare oltre le prime tre pagine di un mio libro.
Perché io non faccio l’occhiolino nemmeno restringendo il linguaggio alla comprensione standard del non lettore medio, e anche se concerto trame e metto in scena personaggi non è certo per vedere come va a finire che uno mi legge, magari, fino in fondo. E poi sono contro il familismo, contro la coppia a tutti i costi, contro la Chiesa, contro il machismo, contro la subcultura gay e dell’eterone, il sessismo, la pornografia del sentimentalismo e del perdonismo a spese della vittima del reato spacciato per peccato redimibile.
Nei miei romanzi c’è un impianto tale che o te ne senti rigenerato (e quindi ci devi mettere un minimo di vita tua) o non ne esci vivo. È il lettore che deve andare verso la mia opera, il percorso inverso non si dà. Io non rifuggo da un Principe che vorrebbe tanto proteggermi quanto sproteggermi per cadere poi nelle fauci del cosiddetto mercato.
Non ho mai contemplato nemmeno da bambino di poter vivere di diritti d’autore, e quando ho pubblicato il primo ne avevo già pronti altri tre, francamente non pensavo nemmeno di poter mai essere pubblicato, e sul mio primo passaporto non ho fatto mettere "Scrittore" ma "Barista", il mio ferreo principio di realtà già allora andava ben oltre l’aspirazione. Ero un genio da sempre, e già lo sospettavo, ma ancora non sapevo fino a che punto».
Quella del mercato è una legge cui devono ubbidire tutti gli editori e non solo loro.
«Sì, ma non esiste solo il mercato se non produci automobili o mortadelle o telefonia. Fare editoria vuol dire anche dare direttive culturali al Paese in senso subliminale, non certo in senso dittatoriale. Ricordo Valentino Bompiani, la casa editrice Einaudi, lo stesso Arnoldo, il Rizzoli, il Foà che dagli anni Cinquanta-Sessanta, e anche prima, hanno portato in Italia autori americani e inglesi sconosciuti.
Insomma, il Paese è quel che è, un’emanazione del Sant’Uffizio con il suo Indice dei libri proibiti. Fino agli anni Ottanta non esisteva un’edizione completa dell’opera di Rimbaud, e Freud era, si può dire, meringa per i tè della sola Renata Colorni, la sua traduttrice per Boringhieri, e l’Adelphi aveva da poco intrapreso la pubblicazione a tappeto di Nietzsche, l’anticristo nipotino di de Sade che si accomoda nella follia, tutta inventata, per ripararsi a modo suo dai fulmini clericali, come il Beccaria che anonimamente stampa Dei delitti e delle pene e mette in giro la voce che sia per penna di uno dei Verri... erano dei fratelli milanesi, non sono dei maiali piacentini... Sa che la maggioranza degli italiani, anche neolaureati, pensa tuttora che la parola "sadismo" sia un tantino oscuro ma grazioso neologismo inventato da Alfonso Signorini?».
L’Einaudi resta un marchio editoriale di grande e riconosciuto prestigio.
«L’Einaudi è stata storicamente importante, adesso non lo è più. Allorché Berlusconi compera l’Einaudi e gli einaudiani... perché neanche cambia i dirigenti, li compera in blocco con la casa editrice e tutto... be’, con questo gesto di assolutismo Berlusconi compera tutta l’editoria italiana. Se non compera Laterza è perché la considera irrilevante. E quando uno ha la Mondadori, cioè l’Attualità con tutto il suo ciarpame di antimodernità che conviene al fare fatturato, e l’Einaudi, cioè la Storia, e il suo prestigio per quanto sempre più effimero, è l’unico editore del regno».
Siamo dunque in una situazione senza uscita?
«Il problema principale è: che cosa dobbiamo fare per liberarci del Berlusconi politico, che secondo me rappresenta la lebbra del paese e della Mondadori stessa almeno fino a che resta dov’è? Non ci resta che cominciare a togliere potere economico al Berlusconi imprenditore per togliergli il potere politico e decisionale a livello legislativo e di investimento delle risorse pubbliche?
Che è una cosa tremenda, perché le sorti dell’economia "in negativo" non dovrebbero decidere le sorti della politica "in positivo", è un cortocircuito da cui nessuno esce vivo, ma se uno continua a parlare di fare, tra le altre puttanate, il ponte sullo stretto di Messina qualcosa bisognerà pur mettere in cantiere per permettergli di essudare un po’ di stanchezza anagrafica.
E poi spegnere le televisioni di Berlusconi, non comprare i suoi libri, comporta un’ulteriore perdita di democrazia perché significa licenziare persone, mandare in cassa integrazione migliaia di lavoratori... Inoltre mi sembra una deficiente focalizzazione politica quella di voler demonizzare Berlusconi, egli non è che il terminal di un modo di pensare che riguarda milioni di elettori, che mi piaccia o no, e se esiste per obbligo l’otto per mille ad alcune religioni, quella cattolica in testa, avranno ben il diritto di farsi sentire anche loro, questa maggioranza vociante di furbastri frodatori fiscali nati, omofobi e xenofobi e antieuropei a vocazione catto-tribal-mafiosa, anche se io preferirei personalmente tagliare la lingua a tutti nessuno escluso, più per uggia che per vero rancore.
E poi... e i milioni di doppiogiochisti, i Berlusconi mancati che impestano la cosiddetta Sinistra? Tornando alla questione di cosa deve promuovere chi: Repubblica, che avrebbe potuto essere nelle corde per promuovere la mia opera, non l’ha fatto, da Scalfari a Mauro venticinque anni di assordante e stizzoso silenzio... come posso prendermela con i periodici Mondadori, destinati a tutt’altro pubblico meno che a uno pensante?
Se non l’ha fatto Repubblica, poteva mai farlo Chi o Men’s Health o Grazia o Panorama Viaggi? Da un punto di vista letterario e, diciamo, di stile dei contenuti, poi, si può dire che a Repubblica Baricco ha sostituito Eco e Saviano ha sostituito Baricco solo perché Federico Moccia era già impegnato altrove, un carillon di puffi a dondolo per amatori della regressione alfabetica all’infanzia. Tanti anni fa scrissi una frase che ben si adatta al momento storico, "È ora che gli italiani scendano in piazza contro se stessi"».
Desidera aggiungere qualcosa?
«Se i baci non vanno da sé, quelli».