Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  agosto 29 Domenica calendario

IL PROF, IL GIOVANE E LA GELOSIA PER IL 3D - C’ è

alla base una caccia ai pazienti considerati clienti, merce privata, roba propria, dietro i pugni in sala parto con le mani di un ginecologo sul collo di un collega, una vetrina in frantumi, la rissa fra camici bianchi, l’ arrivo dei carabinieri, il rischio vita per la partoriente e il futuro incerto per il bimbo che nasce in ritardo, asfissiato, in coma. Brutta, orrenda pagina con cui si supera una nuova soglia della malasanità. Ancora una volta nella scandalosa Messina dove un neolaureato bucò il polmone a una ragazzina durante l’ anestesia. Stavolta un assegnista di ricerca, vincitore di una borsa di studio, Antonio De Vivo, pretendeva di escludere dal parto cesareo il medico strutturato, un ricercatore, Vincenzo Benedetto, titolare del turno di guardia. Per la semplice ragione che la «cliente» l’ aveva seguita lui, nel suo studio, il megalaboratorio superpubblicizzato di via Ugo Bassi, ormai famoso nella città del ponte che non c’ è per una megamacchina in 3d d’ ultima generazione, «meglio di Avatar», come sussurravano sbeffeggiando alcuni suoi colleghi, indispettiti dalla intraprendenza del giovane collega. A non sopportarlo era anche il dottor, pardon, il professore Benedetto, come si legge sui biglietti da visita, pure lui con studio privato, in via Garibaldi, ma non «mega» e privo di quel richiamo «tridimensionale» che fra le gestanti di Messina trasformava il giovane De Vivo in uno dei professionisti più gettonati della città. Perché lì, assicura un certo tam tam di interviste, convegni e conviviali in circoli che contano, si eseguono le cosiddette «morfologiche», si studia l’ anatomia fetale, si usa la metodica X-ray, si accerta lo sviluppo morfologico dell’ embrione e così via echeggiando. Roba normale. Roba probabilmente comune a tanti laboratori, ma in quello studio a 3d il rampante De Vivo aveva trovato la chiave per comunicare e catturare pazienti. A insinuare che sotto ci fosse un «bluff» ecco le chiacchiere percorrere i corridoi di questa ginecologia trasformata in arena, buco nero del Policlinico, diretta da un primario anche lui con studio privato dalle parti di viale Italia, Mimmo Granese, non ordinario perché qui il titolo non è riuscito a guadagnarselo nessuno, ma professore associato, pronto a dividersi fra reparto, studenti e laboratorio personale. Adesso giura che l’ esito devastante dell’ intervento concluso con l’ asportazione dell’ utero e il bimbo in rianimazione sarebbe stato lo stesso anche se non si fosse persa un’ ora e mezza nella rissa: «Nessuna relazione, le complicazioni ci sarebbero state comunque come possono confermare i due aiuti intervenuti...». Ma proprio su questo punto evitano di pronunciarsi i due colleghi che ha chiamato in soccorso, Alfredo Mancuso e Vittorio Palmara, anche loro titolari di studi privati. No, meglio non parlare delle tensioni accumulate nei mesi precedenti. Meglio escluderle come fa il professore Mancuso: «Non ricordo agitazioni e nervosismi in un reparto dal clima assolutamente normale. Ma essendo intervenuto solo dopo la lite, posso solo dire che resta una cosa difficile da spiegare. Stop». Ma è pronto a essere più chiaro con la commissione istituita dal direttore generale del Policlinico, Giuseppe Pecoraro, stanco di una tendenza elevata a sistema: «Purtroppo anche i ginecologi che frequentano i nostri reparti hanno pazienti personali seguiti fuori dalle mura ospedaliere, gestanti che spesso partoriscono nelle cliniche private, se possono, ovvero che arrivano qui sperando di trovare in sala parto il "loro" medico». È così che l’ altra mattina a De Vivo è sembrato scontato accogliere la «sua» paziente, pronto con il gel per l’ ecografia, avviando poi la stimolazione per una accelerazione del parto e decidendo infine per il cesareo con una convocazione immediata dell’ anestesista per la sala operatoria. Cosa che al piano di sopra ha fatto impazzire «Benedetto il professore» arrivato come una furia davanti al giovane famoso per la storiella del tridimensionale: «Ma chi seiii tuuu?». E giù botte da orbi alla prima reazione. Mani al collo, parolacce, dita insanguinate e inseguimenti conclusi con grida e telefonate accorate per chiamare da una parte e dall’ altra i carabinieri. Come ha fatto pure il marito della povera gestante impietrita in quel ring. Con l’ effetto di vedere arrivare fra pazienti e infermieri terrorizzati tre diverse pattuglie di militari. Ce n’ è voluto per capire cosa stava accadendo, come ha ricostruito Angela Fattori, 34 anni di servizio nel reparto adesso sotto i riflettori, in pensione dal primo agosto, ovvero come dice lei «rottamata dal ministro Brunetta»: «Mi sono ritrovata lì per caso il giorno dopo, angosciata come tutti perché così diamo un’ immagine devastante di una clinica dove adesso sembra diventare reato il rapporto personale con i pazienti. E non è così. Certe frizioni fra di noi non sono però tollerabili. E quando si personalizza troppo il rapporto con la paziente si sbaglia. Perché ci sono delle regole da rispettare». A queste regole si richiama Francesco Tomasello, il rettore tornato in sella dopo una inchiesta giudiziaria e una sospensione, adesso deciso a tuonare invocando «una relazione immediata» a Pecoraro per potere prendere «decisioni immediate». E già aleggia il verdetto della punizione sui due contendenti che avranno qualche difficoltà a difendersi. A cominciare da De Vivo, a meno che decida di cavalcare la tesi (non infondata) del così fan tutti.
Felice Cavallaro