Lorenzo Mondo, La Stampa 29/8/2010, pagina 33, 29 agosto 2010
Laggiù in miniera tra romanzo e pietà - I 33 minatori cileni rimasti imprigionati nelle viscere della terra offrono un test significativo delle emozioni che si provano davanti a una sciagura che coinvolge una comunità più o meno grande
Laggiù in miniera tra romanzo e pietà - I 33 minatori cileni rimasti imprigionati nelle viscere della terra offrono un test significativo delle emozioni che si provano davanti a una sciagura che coinvolge una comunità più o meno grande. C’è l’alone avventuroso, dovuto al fatto che questi uomini l’hanno almeno provvisoriamente scampata, trovando rifugio nella bolla d’aria costituita da un chilometro e mezzo di metri quadrati a 700 metri di profondità. C’è la suggestione delle risorse tecnico-scientifiche che permettono a una sonda di rifornirli, perforando la roccia, con viveri e generi di conforto, insieme con una telecamera che trasmette in tutte le case le loro immagini. Mentre un’enorme perforatrice si appresta a scavare un tunnel che dovrebbe riportarli alla luce tra alcuni mesi, se resisteranno. Il pensiero corre inevitabilmente, per il mix di scienza e avventura, a certe pagine di Verne (il Viaggio al centro della terra?). Ma colpiscono in particolare i volti dei minatori che ci arrivano da laggiù. Il pallore accentuato dalla barba e dai capelli incolti, la magrezza, gli occhi allucinati e febbrili. E accanto a ciascuno il nome e cognome, insieme all’età, allo stato di famiglia. Li sentiamo vicini, anche per la tenacia con la quale si dispongono a organizzare la loro vita umbratile in parvenze di normalità, e siamo portati a seguire con apprensione la loro sorte. Cosa c’è di comune tra l’insidiosa miniera cilena e le acque devastanti cadute sul Pakistan? Niente, per le proporzioni del disastro e per la lontananza, non soltanto spaziale, che penalizza lo sfortunato Paese asiatico. Gli operatori umanitari lamentano infatti la lenta e insufficiente mobilitazione internazionale nel portare soccorso ai milioni di superstiti ridotti allo stremo, l’assenza di una gara di solidarietà sperimentata in altre occasioni. Certo, esistono difficoltà logistiche, diffidenze e pregiudizi per questo crocevia del fondamentalismo islamico, che minaccia tra l’altro ritorsioni insensate contro le «interferenze» occidentali. Ma conta anche il fatto che le vittime, per la loro smisuratezza, restino indistinguibili e anonime. Sembra imporsi, incongruamente, la legge che presiede alle creazioni romanzesche, tanto più vere in quanto esaltano il particolare e l’identità dei personaggi. Ma qui non si tratta di romanzi (che, in forza della qualità, saprebbero d’altronde attingere con profitto alla sfuggente, indifferenziata moltitudine umana). Dovrebbe semplicemente soccorrere, senza troppi sforzi di immaginazione, una generosa pietà per i tanti, per gli sconosciuti.