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 2010  agosto 29 Domenica calendario

BICICLETTA MON AMOUR

«La bicicletta è nata come anti- cavallo. Per essa l’uomo diventò somiero di se stesso e si esaltò del proprio vigore. Bicicletta e uomo si fusero con gli anni fino a suscitare misteriosissime simbiosi dinamiche. Uomini difformi piccoli sgraziati ottennero con la bicicletta risultati sportivi strabilianti. I "giganti della strada" nacquero dall’impulso turistico dei poveri e dal loro desiderio di rivincita sociale. I borghesi abbandonarono la bicicletta, di cui erano stati entusiasti, non appena si accorsero che era di tutti, e che non giovava a distinguerli. Scopersero il motorismo e lasciarono la casta ebbrezza del pedalare ai più poveri di loro». Così Gianni Brera nella prefazione alla ristampa di Addio, bicicletta ( Longanesi, 1964), pubblicato inizialmente a puntate su «La gazzetta dello sport» (1952) e poi in volume col titolo di L’avocatt in bicicletta .
Racconta la vita e le corse di Eberardo Pavesi, all’inizio dell’altro secolo, quando i distacchi al Giro d’Italia si misuravano con la sveglia e qualche volta i corridori, sfiniti, si fermavano per un pisolino in un casolare tra i monti.
Pavesi fu uno dei "Tre moschettieri" dell’epoca eroica. Era forse un po’ meno svelto di gamba di Carlo Galetti e Luigi Ganna, ma era uno stratega in corsa: dirigeva la squadra pedalando e al momento giusto era lui – "l’avvocato" – a battere cassa per tutti con chi di dovere.
Nelle intenzioni di Brera, a L’avocatt in bicicletta avrebbe dovuto seguire L’avocatt in automobil . Il "memoir" dei tantissimi anni in cui Pavesi fu in serpa all’ammiraglia della Legnano come direttore sportivo. Prima di Alfredo Binda (che ingaggiò nel 1925 con un contratto di un tanto al km) e poi di Learco Guerra (1936); infine, di Gino Bartali (1936) e Fausto Coppi ( 1940).
Pavesi campò fino ai 91 anni, ma quel libro non fu mai scritto. Avrebbe sicuramente compreso aneddoti degni delle Memorie
di vita letteraria dei fratelli Goncourt. Ne ricordo uno. Fine degli anni 50: l’ultima speranza di Pavesi è un campioncino veneto che si chiama Massignan. Di nome fa Imerio, che significa "ardente". Va forte in salita ma è privo di quell’attributo che Napoleone si aspettava dai suoi generali.
Non è, cioè, fortunato. Al traguardo di una tappa in cui pure è passato primo sull’ultimo colle, Massignan tarda a comparire. Quando finalmente arriva nell’acquivento, è troppo tardi. La maglia rosa è perduta. «E tu dov’eri?», lo apostrofa Pavesi. «Ciò, a g’ho forà...». «Di forare son buoni tutti», ribatte, pragmatico, il vecchione. Mi sono soffermato su Addio bicicletta
perché, quando lo scrisse, Brera era già Brera – il cronista di cose sportive per cui un lettore può delirare – e quella biografia, o romanzo che sia, è tuttora - insieme a
Il dio di Roserio di Giovanni Testori (1954,
CORBIS
ora ristampato negli Oscar Mondadori) e a Coppi e il diavolo dello stesso Brera (1981, ora ristampato da B.C. Dalai) – di gran lunga il libro più bello sull’arte del pedalare che ci sia in circolazione.
Quella dei rapporti tra bici e letteratura è comunque una storia che risale ai primordi. Scrive Alfredo Oriani, autore di un volume, La bicicletta , pubblicato nel 1902 – l’anno prima che partisse il Tour de France – e ristampato in occasione del centenario da Longo Editore: «Era la mia chimera, ora è la mia libertà, giacché dal primo giorno che inforcai la sella della bicicletta mi sentii come un evaso, e voi sapete che solamente i prigionieri hanno della libertà una profonda passione e la più lirica idea». Gli fanno eco gli scritti di Alfred Jarry, Émile Zola e Stephane Mallarmé, contenuti in un’antologia "fin de siècle" – Ciclismo patafisico
– appena uscita da Shake Edizioni e curata da Igor Longo.
In libreria, troviamo anche – fresco di stampa – un libriccino di Curzio Malaparte,
Coppi e Bartali (Adelphi), a suo tempo (1949) pubblicato in Francia su «Sport Digest » come Le deux visages de l’Italie. Più in là, tre volumi della editrice Otto/Novecento:
Cronache dal Giro d’Italia (maggiogiugno 1947) di Vasco Pratolini, con introduzione di Goffredo Fofi; Cronache del primo Giro d’Italia (1909), a cura di Ermanno Paccagnini, e Battista al Giro d’Italia. Intermezzo giornalistico di Achille Campanile (1932); nonché una succosa silloge su di un secolo di gare, Eroi, pirati e altre storie su due ruote, a cura di Simone Barillari (Bur), che comprende gli scritti di un drappello di cronisti guidati da Gianni Brera, Mario Fossati, Luigi Gianoli, Gianni Mura (autore anche di Giallo su giallo , Feltrinelli), e da Bruno Roghi, Vittorio Varale e Orio Vergani, seguiti a distanza, ma – diciamolo – con qualche difficoltà, da autori di chiara fama come Dino Buzzati, Enrico Emanuelli, Alfonso Gatto e Mario Soldati. A metà tra gli uni e gli altri pedala Indro Montanelli, che si fa trainare da Edmondo De Amicis.
Fa corsa a sé, com’era da aspettarsi, Anna Maria Ortese. Vestita da uomo come inviato del settimanale «L’Europeo» al Giro del 1955 – perché, dirà, «le donne non erano ammesse» –, stava in realtà correndo dietro a un altro inviato, Marcello Venturi, di cui era innamorata. Me lo conferma al telefono il suo biografo, Luca Clerici, al quale ricordo che negli anni 20, cioè ai tempi di Girardengo, Belloni e Bottecchia, correva insieme ai maschi anche una signora di Castelfranco Emilia, Alfonsina Strada, née Morini, che peraltro – racconta Paolo Facchinetti ( Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada, Ediciclo) – non sempre tagliava il traguardo per ultima.
Arrivati alla fine di questo "excursus" nel quale mi hanno assistito dall’ammiraglia Gino Cervi, filologo dello sport e autore (con Paolo Facchinetti) di Il Giro d’Italia. Strade storie oggetti di un mito ( Bolis Edizioni), nonché – al volante – Andrea Maietti, "biografo ufficiale" dello stesso Brera e "scriptor optimus" in proprio ( Quel che resta di Coppi, Limina), segnalo due volumi di Alberto Brambilla. Il primo è Biciclette di carta. Un’antologia poetica del ciclismo (Limina) nel quale procede a ritmo blando un gruppone guidato da Giovanni Pascoli, che fa dlin-dlin con il campanello attaccato al manubrio. Ci sono tutti, i nostri poeti, da Gozzano a Campana e da Ungaretti a Montale, fino a Roversi, Giudici e Cucchi. L’altro libro si intitola
La coda del drago (Ediciclo) e contiene tutto quel che c’è da sapere (bibliografia inclusa) sugli scrittori al seguito delle corse. Buona lettura.