Umberto Bottazzini, Il Sole 24 Ore 29/8/2010, 29 agosto 2010
I MATEMATICI CHE FECERO L’ITALIA
Nel novembre 1860 un giovane trentenne inaugurava l’insegnamento della geometria superiore nell’antica Università di Bologna. In quell’anno di «memorabili imprese» che «ricostituivano la nazione» e «rinnovavano tutta la vita italiana», l’eco della guerra non copriva la voce di Luigi Cremona, che dalla cattedra bolognese delineava il vasto programma di ricerca, che egli stesso e la sua scuola si accingevano a svolgere. La geometria superiore, coltivata con grande successo in Francia e Germania, è «un ospite affatto nuovo nelle nostre università» affermava allora Cremona in un’appassionata prolusione al corso, che si concludeva esortando gli studenti ai «militari e scientifici studi che vi faranno ajutatori alla grandezza di questa nostra Italia che sta per rientrare, al cospetto dell’attonita Europa, nel consorzio delle potenti e libere nazioni», sotto la guida di «un solo e massimo eroe, Garibaldi».
Come Cremona a Bologna, a Napoli Giuseppe Battaglini è nominato professore di geometria superiore nell’ottobre 1860 con decreto dittatoriale di Garibaldi, e il suo «Giornale di matematiche» (1863) si afferma come uno dei principali veicoli di diffusione della nuova geometria non-euclidea di Lobacevskij. Nello stesso anno alla Normale di Pisa Enrico Betti inaugura un corso di analisi superiore, così come Francesco Brioschi all’Università di Pavia. «Fu primo e luminoso pensiero del governo nazionale la istituzione delle cattedre speciali di insegnamento superiore delle matematiche » dirà Vito Volterra nel 1908 a Roma, nel discorso di apertura del Quarto congresso internazionale dei matematici. A quegli «uomini illustri» negli anni successivi «altri non meno illustri seguirono. Così d’un tratto un nuovo ambiente si formò ed un’era nuova ebbe principio ». Matematico tra i più autorevoli in campo internazionale, senatore del Regno, ed erede della generazione risorgimentale, di fronte alla comunità internazionale Volterra misura con legittimo orgoglio il cammino percorso dai matematici italiani nel mezzo secolo trascorso dall’Unità del paese.
Quella che ha saputo dar vita al risorgimento italiano in campo matematico è una generazione che si è formata sul campo delle battaglie nelle guerre d’indipendenza. Cremona, che ha come compagni di studi a Pavia i fratelli Enrico e Giovanni Cairoli, ha solo diciott’anni quando, nel 1848, il battaglione di studenti napoletani «Italia libera» arriva in città. Si arruola volontario, combatte contro gli austriaci sul Piave, e partecipa alla difesa di Venezia, che si arrende nell’agosto 1849 con l’onore delle armi. A Curtatone e Montanara conosce il campo di battaglia Enrico Betti, che si è arruolato nel battaglione degli studenti toscani guidato da Fabrizio Ottaviano Mossotti, astronomo e fisico-matematico di fama internazionale, che aveva lasciato Milano sospettato di far parte del gruppo del Conciliatore e, dopo un lungo esilio a Londra e Buenos Aires, era rientrato in Toscana per dar vita alla Normale. A Milano, alla vigilia delle Cinque Giornate, Brioschi fa parte del gruppo di giovani che si riuniscono a casa di Gabrio Piola per discutere e aggiornarsi sui più recenti sviluppi della matematica d’Oltralpe. Piola, come il cognato Gabrio Casati, appartiene a quella intellettualità cattolica di cui fa parte anche Alessandro Manzoni. Brioschi è tuttavia lontano dalle convinzioni filosofico-religiose del maestro e manifesta pubblicamente la sua fede laica e repubblicana.
Partecipa attivamente all’insurrezione della città e, dopo la sconfitta dei piemontesi a Custoza, si arruola volontario insieme a un centinaio di milanesi «delle più distinte famiglie» a fianco di Mazzini, nella speranza che l’esercito piemontese riprenda l’iniziativa. Dopo la delusione della «fatal Novara» il suo impegno nella ricerca scientifica diventa prevalente. Ha solo 26 anni quando comincia a tenere corsi all’Università di Pavia. Al tempo stesso, nella convinzione che lo sviluppo della cultura scientifica e tecnica sia un ingrediente necessario alla creazione del nuovo stato nazionale, a Milano Brioschi cerca di ridar vita con alcuni amici al «Politecnico», la rivista di Carlo Cattaneo, e partecipa alle iniziative della Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri. Nel 1858 fonda gli «Annali di matematica pura e applicata», un’impresa alla quale chiama Betti e Angelo Genocchi, un avvocato di Piacenza che nel 1848 aveva lasciato la cattedra di Istituzioni civili alla notizia che, dopo Custoza, gli austriaci «inorgogliti della vittoria» stavano per rientrare in città. Genocchi si era rifugiato a Torino, dove aveva rinunciato alla professione di avvocato per dedicarsi allo studio della matematica da autodidatta e vincere poi per concorso una cattedra di algebra e geometria all’università, dove avrà come allievo Giuseppe Peano.
L’iniziativa di Brioschi ha carattere scientifico e politico al tempo stesso: l’impresa degli Annali si colloca nel quadro della formazione di una cultura scientifica nazionale e trova giustificazione nella necessità di creare, insieme a un’identità politica del paese, una cultura matematica che ponga l’Italia nel rango delle altre nazioni europee. Nell’Avviso che apre il primo numero i "compilatori" della rivista invitavano i matematici italiani a impegnarsi «perché un giornale che si propone di rappresentare lo stato della scienza tra noi, possa richiamare l’attenzione continua dei dotti degli altri paesi; e far cessare il lamento che i nostri lavori non sono conosciuti fuori d’Italia». Allo stesso scopo risponde il viaggio che, nell’autunno di quell’anno, Brioschi intraprende insieme a Betti, e al suo giovane assistente Felice Casorati, alla volta delle capitali della matematica europea, da Gottinga e Berlino a Parigi. Quando il processo unitario si avvia a compimento, l’impegno di Brioschi nel campo della ricerca matematica si accompagna a una febbrile attività politica. Abbandonati gli ideali mazziniani per posizioni moderate, insieme all’amico Quintino Sella partecipa all’elaborazione della Legge Casati (1859), destinata a regolare la vita universitaria italiana per oltre 60 anni, fino alla Riforma Gentile. Ancora su suggerimento di Sella viene chiamato come segretario generale del ministro della Pubblica istruzione Francesco De Sanctis, incarico che mantiene anche col successivo ministro, il fisico della Normale Carlo Matteucci, che firma il decreto che istituisce l’Istituto tecnico superiore di Milano, l’attuale Politecnico, posto sotto la direzione di Brioschi. Se si confrontano le attuali condizioni politiche, economiche e amministrative con quelle del 1859, al momento della vittoriosa guerra d’indipendenza, dirà Brioschi nel 1863 nel discorso di inaugurazione dell’Istituto, chiunque «per quanto poco favorevole possa essere a noi, dovrà pur riconoscere che qui si è compiuto una grande rivoluzione politica, amministrativa, economica». Ora, continuava Brioschi, il nuovo Istituto rispondeva a «quei grandi concetti» che nella storia «accompagnano le grandi rivoluzioni politiche, e diedero alla Francia la Scuola politecnica, la Scuola normale, l’Istituto nazionale, e furono in Germania la principal causa del movimento scientifico delle sue università». Del resto, «lo sviluppo industriale crea condizioni la più parte inaccettabili da governi dispotici e poco illuminati», condizioni «incompatibili con i reggimenti governativi simili a quelli che per tanti anni ebbe l’Italia ». Deputato al Parlamento del nuovo Regno, e poi senatore, negli anni a venire Brioschi coniugherà l’attività di ricerca matematica con il crescente impegno nella vita politica del paese, forte delle sue competenze tecniche e scientifiche. Così come farà Betti, a lungo membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione, come Cremona – ministro della Pubblica istruzione nella breve vita del secondo governo Cairoli, e infine vice-presidente del Senato – e come i tanti altri matematici cresciuti alla loro scuola, che Volterra ricordava al Congresso di Roma. Anche la geografia dei Congressi internazionali dei matematici è rivelatrice: dopo l’iniziale riunione a Zurigo (1897), nella neutrale svizzera, il Congresso tenuto a Roma faceva seguito a quelli di Parigi (1900) e di Heidelberg (1904) a testimoniare il livello di eccellenza ormai raggiunto dalla matematica italiana accanto alla Francia e la Germania, le nazioni che a lungo avevano dominato il panorama internazionale. Il paesaggio della matematica sarà tuttavia destinato a cambiare radicalmente con la Grande guerra. In Europa, ma anche in Italia, e forse più di quanto gli stessi protagonisti all’epoca riescano a immaginare.