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 2010  agosto 29 Domenica calendario

TOGLIAMOCI LA MASCHERA - È

vero che oggi gli effetti della democrazia letteraria delegittimano la critica, come suggerisce Alfonso Berardinelli ( «Corriere della sera», 11 agosto), intervenendo sui canoni proposti nel domenicale del Sole 24 Ore? Certo nessun critico potrebbe verosimilmente seguire l’insieme della nostra produzione letteraria. Sarebbero infatti almeno 120 i romanzi italiani di qualche interesse che ogni anno un critico dovrebbe leggere. Probabilmente l’espansione incontrollata della democrazia letteraria, la possibilità che chiunque possa pubblicare (a pagamento, non a pagamento, su carta, in rete, su Kindle...), farà tornare il bisogno di filtri selettivi e di spazi pubblici più qualificati. Ma intanto quella lettura annua di oltre 120 romanzi appare un’impresa sovrumana, adatta a recensori che somigliano più a software che a esseri umani. Eppure i critici si ostinano, contro ogni evidenza, a recensire romanzi, a scrivere libri, a stilare canoni. Come uscire da questo rompicapo? Suggerisco un’ipotesi lievemente spiazzante. Il punto è che tutti (o quasi) – e mi scuso per l’estensione indebita – fingiamo di essere critici letterari, in realtà siamo altro. Cosa? Il catalogo è ampio: ritrattisti, storici delle idee, moralisti, psicologi della cultura, saggisti, analisti del costume, critici dell’ideologia, ideologi... Perché allora fingiamo di essere critici letterari? Perché anzitutto questo ci garantisce un minimo di pubblico, e poi perché delimita un oggetto preciso (e una "competenza") a partire dal quale poter parlare di tutto, pur senza pretese scientifiche. Cosa si cela dietro questa maschera sociale? Credo che ognuno sia mosso da una fondamentale passione, da una ossessione conoscitiva (o demone persona-le), anche non sempre ne è consapevole. Ad esempio per quanto mi riguarda tendo a usare le opere letterarie della contemporaneità per dialogare con un pubblico – abbastanza tangibile – su temi morali e filosofici che mi stanno particolarmente a cuore. Forse questo approccio utilitaristico alle opere potrebbe "deprimerne" la specificità (della loro lingua, struttura, e insomma ragion d’essere). Eppure un romanzo ci aiuta a capire il mondo e noi stessi quanto più riusciamo a descriverlo con precisione. Ed è importante sceglierlo bene (gli stessi "canoni" sono ipotesi di
Avviato da un articolo di Gabriele Pedullà e dal parere di sei critici, il dibattito sulla generazione di scrittori italiani under 40, partito il 1º agosto scorso, durante tutta l’estate è proseguito su questo e sugli altri maggiori quotidiani nazionali (quali il Corriere della Sera, l’Unità, Avvenire, Il Messaggero), e blog letterari con interventi di critici e scrittori.
interpretazione del presente)!
Ma quali sono le veraci passioni degli altri critici che fingono – ovviamente esagero un po’ – di essere criticiletterari?Azzardo –e mi assumo ogni responsabilità delle mie definizioni epigrammatiche –: Onofri è un fanatico dell’argomentazione e indagatore della fenomenologia del kitsch, Ferroni ci ricorda – per resistere alla barbarie – gli interrogativi muti ma pressanti della tradizione, Cortellessa esplora gli indizi di una auspicabile eversione dell’esistente (che per lui è anzitutto eversione delle forme), Fofi insegue l’utopia di una verità utile alle minoranze sociali del ben fare, Manica ha il gusto del collezionista attratto da «quello che resta» (del passato, di noi stessi), Leonelli sembra condensare la memoria critica del ’900 italiano, Belpoliti scruta il quotidiano con appuntita immaginazione semiologica eccetera. Mi scuso ancora per l’estrema sintesi (certo limitativa), ma vorrei almeno indicare una mutazione in atto della critica, un suo consolidarsi più come genere letterario che come attività nobilmente "servile" (sarà un fare di necessità virtù?). Anche perciò la letteratura non è composta solo di romanzi.
Se cominciassimo a leggere i libri di questi saggisti come libri di "scrittori" ( benché senza fiction), dunque tentativi di rappresentare attraversouna lingua personale la verità della nostra condizione, di decifrare destini individuali, di allargare la nostra immaginazione morale, più che come repertori esaustivi della narrativa contemporanea (sulla quale continuano comunque a darci informazioni preziose), se ne trarrebbe sicuro giovamento. Di fronte a una produzione letteraria pletorica, e spesso deludente, può anche capitare che la critica reagisca surrogando la letteratura.