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 2010  agosto 28 Sabato calendario

MANUALE DI CONTROINSURREZIONE


Il suo nome in codice è Fm 3-24 (Fm sta per Field Manual); il titolo originario è Counterinsurgency. Ma su amazon.com lo potete comprare come The U.S. Army/Marine Corps Counterinsurgency Field Manual, a firma dei generali David H. Petraeus a James Ames. È il primo manuale di guerra a essere ripubblicato da una prestigiosa casa editrice, la University of Chicago Press. È anche il primo (e finora unico) manuale di guerra a diventare un best seller: fu messo su Internet nel dicembre 2006, fu ripubblicato in volume nel 2007, e in un anno era stato scaricato dalla rete 2 milioni di volte; la sua forma cartacea era rimasta per molti mesi tra i 100 libri più venduti da amazon.com.
Il suo successo è dovuto al fatto che a uno dei suoi due autori (Petraeus) è stato riconosciuto il merito di aver fermato tra il 2007 e 2008 l’escalation insurrezionale in Iraq, attraverso il cosiddetto surge. È comprensibile che gli statunitensi fossero curiosi di conoscere la dottrina militare in base alla quale Petraeus era stato in grado di ridurre il ritmo delle perdite Usa in Iraq dal centinaio al mese a meno di 10 al mese.
Ma proprio l’averlo diffuso in rete e averlo ripubblicato come saggio esplicitano uno degli intenti dell’operazione: infatto la pubblicazione di Counterinsurgency «può essere vista come un gesto politico», scrive Douglass Ollivant (membro del National Security Council) nel dossier che la rivista Perspectives on Politics ha dedicato al manuale nel giugno 2008. E Ollivant aggiunge: «Sarebbe un’esagerazione, un’eccessiva semplificazione vedere il manuale come la salve di apertura in una battaglia per la cultura interna dell’esercito (e, per estensione, del Dipartimento della difesa): ma solo di poco». Counterinsurgency va contro quella che Ollivant chiama «l’American way of war», la «guerra all’americana», cioè schiacciante superiorità in armamenti, in tecnologia, in effettivi, dispiegata al puro scopo di sconfiggere e distruggere l’esercito nemico, una concezione di cui era portavoce il generale, poi Segretario di Stato, Colin Powell. Ma Counterinsurgency è un «affronto» anche per la scuola di pensiero opposta, quella sostenuta dall’ex segretario alla difesa Donald Rumsfeld, che mirava «a un esercito molto più piccolo, più letale e più facilmente dispiegabile», perciò «è, nell’accezione più reale, un diretto affronto al modo in cui l’esercito vede se stesso».
Quindi Fm-3-24 è un’arma nello scontro interno tra le diverse scuole di pensiero che si contendono l’egemonia al Pentagono. Prima di proseguire nella lettura del manuale, una nota sul termine Counterinsurgency, che non può essere tradotto «antiguerriglia» perché la guerriglia è solo una delle molte forme che le insurrezioni assumono. Né è maneggevole il termine «controinsurrezione», o quello proposto nelle scuole di guerra in Italia di «controinsurgenza», anche perché il sostantivo counterinsurgent non può essere tradotto con «controinsurgenti» e neanche con «controinsorti». Perciò userò sempre la sigla con cui il manuale la designa, e cioè Coin.
Poiché non sono uno studioso di cose militari non so valutare la portata realmente innovativa di Counterinsurgency, né la fondatezza di molti suoi assunti che sono stati per altro sottoposti a varie critiche. Posso però da un lato valutare se la condotta della guerra in Afghanistan, il cui comando è appena stato affidato a Petraeus, rispetta o meno le raccomandazioni del manuale (vedi l’articolo accanto). D’altro lato posso cercare di desumere la cultura di cui questo manuale è portatore.
Ogni manuale, in ogni disciplina, si discosta solo di poco dai manuali che l’hanno preceduto, e si avvale di un lavoro collettivo anche di studiosi civili, che gli autori coordinano. Così, l’antropologo David Price ha scoperto nel manuale intere frasi scippate da Anthony Giddens, Max Weber, Victor Turner. Il testo risente della forte influenza di Machiavelli e di Clausewitz. Cita di frequente il libro di Mao sulla guerriglia, come anche i Sette pilastri della Saggezza di T. E. Lawrence. Nella bibliografia è citata anche La battaglia di Algeri, il film di Gillo Pontecorvo definito «commovente e istruttivo». Il manuale fa spesso ricorso ai concetti della teoria dei sistemi, come feedbak e processi iterativi.
Un civile rimane colpito dalla dimensione epistemologica di questo trattato che non a caso inizia con la perentoria affermazione «Le Counterinsurgencies sono state definite ’competizioni di apprendimento’ (learning competitions)» e quindi gli eserciti che vogliono condurre in porto una vittoriosa Coin devono essere «macchine cognitive» (learning machines): «Le macchine cognitive sconfiggono le insurrezioni; le gerarchie burocratiche no». Addirittura il manuale risale alla vecchia idea di Nicola da Cusa per cui porre il problema nel modo giusto è il passo decisivo per risolverlo (bisogna prima scrivere l’equazione che meglio descrive il problema, e poi cercare di risolverla), quando distingue tra il «disegno (design) della campagna» e il «piano di campagna»: «la pianificazione vuole risolvere il problema (problem solving); il disegno lo pone (problem setting)» (4-3); la pianificazione «è analitica e riduzionista» (4-6), «il disegno va visto in modo olistico» (4-16).
Il manuale è intriso di Machiavelli perché la peculiarità della Coin è la sua dimensione politica: «un’insurrezione è un protratto scontro organizzato politico-militare volto a indebolire il controllo e la legittimità del governo insediato, del potere di occupazione o di un’altra autorità politica, e nel frattempo a estendere il controllo da parte degli insorti» (par 2-1). «L’insurrezione è un approccio comune usato dal debole contro il forte» (1-9), perciò gli Usa si troveranno sempre più spesso impegnati in questo tipo di conflitto proprio per il loro strapotere militare/tecnologico, che rende impossibile affrontarli in campo aperto in conflitti convenzionali ma costringe i suoi oppositori a questa «guerra irregolare».
In quanto scontro eminentemente politico, l’azione propriamente militare (cioè l’eliminazione fisica degli insorti e il controllo del territorio) costituisce solo uno dei componenti della Coin che, se vuole vincere, deve prendere di petto «i motivi» dell’insurrezione, cioè esaminare «1) le sue cause profonde, 2) l’appoggio interno ed esterno di cui gode; 3) la sua base (inclusa l’ideologia e la narrativa) su cui gli insorti fondano il loro richiamo alla popolazione; 4) la motivazione degli insorti e la profondità del loro coinvolgimento; 4) le probabili armi e tattiche degli insorti: 6) l’ambiente (environment) operativo in cui gli insorti intraprendono la loro campagna e strategia» (1-24).
Dopo tanti proclami sulla «morte delle ideologie», è istruttivo vedere un generale americano che afferma «L’ideologia provvede un prisma - compreso un vocabolario e delle categorie analitiche - attraverso il quale i seguaci percepiscono la propria situazione». (1-75) «Il principale meccanismo attraverso il quale le ideologie sono espresse e assorbite è la narrativa. Una narrativa è uno schema organizzativo espresso in forma di storia. Le narrative sono centrali nel rappresentare le identità...» (1-76).
Il manuale ritorna più volte sulla narrativa, in particolare nel capitolo sull’Intelligence che costituisce un vero e proprio concentrato di assiomatica sociologica («una società può essere definita come una popolazione i cui membri sono soggetti alla stessa autorità politica, occupano un territorio comune, hanno una cultura comune e condividono un senso d’identità» 3-20; «una razza è un gruppo umano che si definisce o è definito da altri gruppi come diverso in virtù di innate caratteristiche fisiche. Biologicamente non esiste la razza tra gli esseri umani; razza è un concetto sociale» (3-25); «una cultura è una ’rete di significati’ condivisa dai membri di una società o di un particolare gruppo al suo interno» (3-37): «i comandanti dovrebbero infatti identificare quale narrativa mobilita l’azione politica»(3-71) ; «la più importante forma culturale da capire è la narrativa. Una narrativa culturale è una storia ri-raccontata in forma di un insieme connesso di eventi che spiega un evento nella storia di un gruppo e ne esprime i valori, il carattere o l’auto-identità» (3-49).
Dal manuale traspare una malcelata ammirazione per l’insurgency: «Per loro natura gli insorti sono una minaccia asimmetrica. Non usano tattiche terroristiche e di guerriglia perché sono vigliacchi paurosi di ’combattere a viso aperto’; gli insorti usano queste tattiche perché costituiscono i mezzi migliori per conseguire i loro scopi» (3-102). «I nemici peggiori non sono i terroristi psicopatici dei film, sono guerrieri carismatici che eccellerebbero in qualunque forza armata» (appendice A-8): viene il sospetto che Petraeus e Amos vorrebbero almeno una volta nella vita guidare un’insurgency invece di una counterinsurgency.
Da un punto di vista espressivo, il manuale ricorre spesso alle metafore. Nell’appendice A, uno dei consigli è: «Non rompere per prima la noce più dura», mentre altrove si dice che «inizialmente le operazioni di Coin sono simili al primo pronto soccorso su un paziente» (5-4). Nei nove «paradossi della Coin», che sintetizzano l’anticonformismo della dottrina esposta, prevale la retorica alla Sun Tzu: «Talvolta, più proteggi le tue forze, meno al sicuro sarai»(1-149); «talvolta più forza viene usata e meno è effettiva è» (1-150); «talvolta non far nulla è la miglior reazione» (1-152); «il successo tattico non garantisce nulla» (1-156); «molte decisioni importanti non sono prese dai generali» (1-157).
La tesi centrale del manuale è che per battere l’insurrezione, bisogna sottrarle i motivi di cui si alimenta; se il governo in carica è troppo corrotto, ridurne la corruzione, se i servizi non funzionano, ripristinarli (acqua corrente, rifiuti, elettricità); se il sistema economico langue, farlo ripartire. Insomma, per battere un’insurrezione è necessario ricostruire la nazione in cui è radicata (nation building). Il manuale esprime perciò una visione del mondo, una filosofia e le mette al servizio proprio di quel nation building che era il concetto strategico più aborrito dal presidente Georges Bush e da Rumsfeld. Ma il nation building non sempre è praticabile, e non sempre, una volta portato a termine, garantisce la vittoria e il ritorno della pace, per lo meno non nel caso di guerre civili a base etnica o religiosa.
E poi diciamolo: c’è una certa follia in questa pretesa di fare dell’esercito Usa una «macchina cognitiva» quando i volontari che si arruolano vengono dagli strati più poveri, sottoproletari e analfabeti della società americana.