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 2010  agosto 30 Lunedì calendario

Israele volò con i sei giorni del falco - Nel maggio 1977, dieci anni dopo la conclusione vitto­riosa della cosid­detta «Guerra dei sei giorni», la sto­ria politica di Israele subì una svolta fondamentale

Israele volò con i sei giorni del falco - Nel maggio 1977, dieci anni dopo la conclusione vitto­riosa della cosid­detta «Guerra dei sei giorni», la sto­ria politica di Israele subì una svolta fondamentale. Le elezio­ni portarono al potere il leader del partito di destra, Mena­chem Begin, il quale formò un governo che interruppe un tren­tennio di egemonia laburista. Il suo partito, il Likud, nato nel ’73, come accertarono studi sta­tistici e politologici, era stato vo­tato soprattutto dalle più giova­ni generazioni. Il successo di Begin e del suo partito, destina­to a inaugurare una nuova ege­monia che- soprattutto su alcu­ni temi come quello dei confini dello Stato - dura tuttora, non era dovuto soltanto agli effetti della guerra vittoriosa o alle po­lemiche, giuste o sbagliate che fossero, che avevano investito i laburisti e ne avevano messo in crisi l’immagine. Era anche, quel successo, il frutto del­l’emergere di un filone intellet­tuale e ideologico le cui radici affondavano lontano nel tem­po. Begin, infatti, non era un uo­mo politico «nuovo». Nato a Brest-Litovsk nel 1913, aveva ben presto deciso di dedicarsi all’attività sionista a tempo pie­no e nel 1944, da poco giunto in Palestina con l’armata polacca, aveva guidato-alla testa dell’Ir­gun, un gruppo militare consi­derato dagli inglesi terrorista ­la rivolta ebraica contro i britan­nici. Era guidato da una convin­zione precisa, che si riallaccia­va a una visione romantica del­la libertà quale si era realizzata con le rivoluzioni francese e americana e che aveva ispirato gran parte del cosiddetto risve­glio delle nazionalità del secolo XIX. La sollevazione ebraica, in questa ottica, era percepita da lui come una combinazione fra il destino degli ebrei nella sto­ria e le leggi della rivolta. In un suo bel saggio dal titolo I masti­ni della terra. La destra israelia­na dalle origini all’egemonia (I libri di Icaro, Lecce, pagg. 404, euro 13), arricchito da una pre­sentazione di Sergio Romano, un giovane studioso del sioni­smo, Paolo Di Motoli fa notare come nel pensiero di Begin con­fluissero diversi motivi derivati dal nazionalismo europeo (in particolare polacco, italiano e ceco) e come vi si fondessero «i valori romantico-messianici del XIX secolo con i valori “oscu­ri” del nazionalismo integrale». Padre ispiratore di Begin, e quindi del Likud, era stato un personaggio poliedrico, Vladi­mir Zeev Jabotinski, un agitato­r­e politico e nazionalista ferven­te, profondamente anticomuni­sta, che nel 1925 aveva elabora­to­la piattaforma programmati­ca del cosiddetto «sionismo re­visionista » che postulava la ne­cessità di una «revisione» della politica del movimento sioni­sta, allora guidato da Chaim Weizmann. In sostanza, egli so­steneva che si dovesse recupe­rar­e lo spirito originario del pro­feta del sionismo, Theodor Her­zl il quale, a suo parere, era sta­to «tradito» proprio da Weiz­mann. E che Herzl e Weizmann esprimessero due visioni diver­se, pur nell’ambito di un mede­simo orizzonte politico, è, a ben vedere, ovvio se solo si con­sideri il fatto che la prima si era sviluppata nel clima del liberali­smo nazionale austro-ungari­co, mentre la seconda portava in sé i geni di un liberalismo pro­­gressista di matrice britannica. Proprio Weizmann sarebbe stato, nel 1948, il primo presi­dente di quello Stato di Israele che Jabotinsky non fece in tem­po a vedere, essendo morto nel 1940. E, per alcuni decenni, ap­punto fino alla «svolta» rappre­sentata dalla «Guerra dei sei giorni», Israele parve realizzare in concreto, dal punto di vista politico-istituzionale, ma an­che dal punto di vista economi­co- sociale, un originale e sor­prendente esperimento lib­lab . Ma alla creazione dello Sta­to di Israele avevano contribui­to anche gli eredi di Jabotinsky, in particolare Begin proprio con le attività di guerriglia del­l’Irgun. Una volta costituito lo Stato di Israele, Begin continuò a portare avanti le sue idee che, recuperando le tesi di Jabotin­sky e il suo stesso militarismo intriso di tradizionalismo, po­stulavano l’aspirazione a un «Grande Israele» esteso sulle due rive del Giordano. Lo fece attraverso la lotta politica e i partiti di cui fu creatore o ani­matore. Il primo, da lui creato nel 1948 subito dopo la procla­mazione dello Stato dalle cene­ri dell’Irgun, si chiamò Herut, ovvero il partito della libertà.Al­l’interno del mondo ebraico progressista quella formazione politica non piacque e destò preoccupazioni per il suo radi­calismo. Al punto che, quando Begin decise di effettuare una visita negli Stati Uniti per pre­sentare il suo partito, il New York Times pubblicò una lette­ra firmata da autorevoli perso­nalità del mondo ebraico, co­me Albert Einstein e Hannah Arendt, che non esitava a defini­re l’Herut«un movimento poli­tico vicino nell’organizzazio­ne, nei metodi, nella filosofia politica e nel profilo sociale ai partiti nazisti e fascisti». Naturalmente non era vero, ma l’Herut faticò a trovare una sua legittimazione politica. In seguito, alla metà degli anni Sessanta, dalla sua fusione con i nazional-liberali, nacque un’altra formazione politica che assunse il nome di Gahal, un acronimo per indicare il blocco Herut-liberali. Infine, negli anni Settanta, venne fon­dato da Begin insieme con Ariel Sharon il Likud, protagoni­sta della svolta politica del 1977. Si trattò di una svolta che, mettendo in un canto l’egemo­nia laburista, ha finito per carat­terizzare gli avvenimenti suc­cessivi di Israele fino ai nostri giorni. Lo studio di Paolo Di Mo­toli, equilibrato e ben docu­mentato, contribuisce a chiari­re come la destra israeliana ab­bia un ben definito e definibile albero genealogico dove si ritro­vano insieme, fra gli altri, Jabo­tinsky, Begin, Shamir, Netan­yahu. Un albero genealogico che ha alle sue origini gli ideali romantici di popolo, terra e san­gue, tipici del nazionalismo quale si sviluppò nell’Europa centrale e orientale: un nazio­nalismo, per usare le parole del grande storico Zeev Sternhell, «volkista, culturale, religioso e immerso nel culto di un passa­to eroico ». Un nazionalismo, in­somma, i cui seguaci, ben a ra­gione, per la loro strenua difesa di Erez Israel, possono essere definiti «i mastini della terra».