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 2010  agosto 30 Lunedì calendario

“Quel giorno a Nassiriya non ci diedero la scorta” - Da una sigaretta all’altra. Un pacchetto iniziato in Italia e finito in Iraq, a Nassiriya, il 12 novembre 2003, nel giorno della strage dove persero la vita 19 italiani

“Quel giorno a Nassiriya non ci diedero la scorta” - Da una sigaretta all’altra. Un pacchetto iniziato in Italia e finito in Iraq, a Nassiriya, il 12 novembre 2003, nel giorno della strage dove persero la vita 19 italiani. Dopo aver raccontato tutto in un libro (Venti sigarette a Nassiriya, Einaudi), Aureliano Amadei, romano, classe 1975, prende la macchina da presa e rivive minuto per minuto il dramma che gli ha cambiato per sempre l’esistenza: «Il film è il frutto di una lunga elaborazione dell’esperienza più atroce della mia vita, nel tentativo di trarne qualcosa di costruttivo». Con Amadei (sullo schermo Vinicio Marchioni), al seguito della missione di pace dei militari italiani, c’era il regista Stefano Rolla (Giorgio Colangeli). Lui si è salvato, l’amico no: «Di quei minuti di terrore ricordo ogni singolo fotogramma e ho scelto di non risparmiare nulla allo spettatore. Tutto è girato in soggettiva, offrendo la possibilità di vivere quegli attimi come li ho vissuti io: confusione, panico, ricerca di un nascondiglio, orrore per le ferite, per il sangue, e poi chiasso, cadaveri, fiamme, colpi di mitra». Una prospettiva che farà discutere, soprattutto quando Venti sigarette, prodotto da Tilde Corsi, Gianni Romoli e Claudio Bonivento, a Venezia per Controcampo Italiano, descrive, dopo l’orrore dell’esplosione, la processione dei politici con le facce di circostanza, il dolore inconsolabile dei parenti delle vittime, le diverse versioni dei soldati scampati alla morte. C’è una scena in cui il protagonista affronta in ospedale uno dei militari sopravvissuti accusandolo di essersi fatto passare ingiustamente per eroe: «E’ un episodio realmente accaduto - spiega Bonivento - nel film non si fanno nomi, ma nel libro Amadei ha scritto quello che ha visto con i suoi occhi». Comprese certe immagini della cerimonia funebre: «C’erano i genitori in fondo, nella chiesa, e davanti, in prima fila, i politici. Lui l’ha notato e l’ha raccontato». Al fronte, appena arrivato, Aureliano Amadei, «un 28enne anarchico e antimilitarista», coglie particolari importanti: «Al campo non c’è lo scarico delle armi». E quando il gruppo lascia la base per effettuare le riprese, c’è un dialogo che sottolinea l’assenza della scorta: «La verità è quella, il protagonista è partito da Pisa e la mattina dopo è saltato in aria». Una verità che poteva dar fastidio: «Abbiamo fatto leggere la sceneggiatura ai rappresentanti dell’esercito - racconta Bonivento -, e loro, nonostante il racconto contenga alcuni punti critici, ci hanno offerto aiuto, mostrando grande apertura e spirito di collaborazione». E poi c’erano i familiari delle vittime, bisognava sapere se erano d’accordo o meno con il tono della ricostruzione: «I rapporti con loro li ha mantenuti il regista, qualcuno ha letto la sceneggiatura, altri vedranno il film adesso che è pronto». A Nassiriya era già stato dedicato un film tv: «La tv ha altre esigenze, noi raccontiamo quello che è accaduto, dal punto di vista di un testimone oculare». Magari alcuni politici non saranno contenti di vedersi rappresentati nei loro riti formali, intorno al letto del ferito, telecamere accese, un mazzo di fiori, due parole, e poi via: «Certo, potranno polemizzare, ma questa è la realtà, ognuno tira acqua al suo mulino, lo si sa». E’ vero anche che tutto si sapeva, ma è pur vero, come aggiunge Bonivento, «che una cosa è un’immagine e un’altra una pagina scritta». La forza del cinema, in fondo, dovrebbe essere questa: «Un’esperienza così - scrive Amadei - non lascia solo umanità e amore. Lascia anche una buona dose di rabbia».