Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 30/08/2010, 30 agosto 2010
DEBITO, DEFICIT E RISPARMIO VIZI E VIRTÙ DELL’ITALIA
L’Italia fatica a pagare gli interessi sul debito pubblico. Del resto altri Paesi europei non sono messi tanto meglio. Circa il 50% dei titoli di Stato è posseduto dalle famiglie italiane. Lo Stato è l’insieme di tutti i cittadini, quindi sono i cittadini che hanno un debito con loro stessi. Alcuni economisti sostengono che tale forma di indebitamento non è da considerarsi neanche debito. La domanda è: ma se a malapena riusciamo a pagare gli interessi sul debito, quando mai pagheremo il debito? Ho sentito parlare di «quota 90» riferita ai primi anni del secolo scorso. Di che cosa si trattò esattamente? Può essere azzardato dire che in passato, maturando simili presupposti, economici e non, si giungeva alle guerre e poi si ripartiva daccapo?
Mauro Lorenzi
idra3teste@libero.it
Caro Lorenzi, lei solleva almeno tre problemi: il debito pubblico italiano (115% del prodotto interno lordo), «quota novanta» (la manovra finanziaria decisa da Mussolini nel 1926) e la possibile esistenza di un legame tra il debito degli Stati e le guerre di cui sono responsabili.
Debito pubblico. Non è interamente vero che l’Italia faccia fatica a pagare gli interessi sul debito. Le periodiche emissioni di obbligazioni (i bond del Tesoro) vengono bene accolte dai mercati mondiali e la domanda è generalmente superiore all’offerta. I mercati sanno che il debito è elevato, ma constatano che il deficit è contenuto e sorvegliato. Sanno che i creditori dello Stato italiano sono in buona parte i suoi cittadini e che una considerevole porzione degli interessi pagati dallo Stato resta in famiglia. Sanno infine che in Italia, a confronto di quanto accade in altri Paesi, la percentuale del risparmio è elevata. Beninteso il debito resta una delle nostre maggiori servitù e occorre ridurlo. Ma vi riusciremo probabilmente soltanto quando il Paese ricomincerà a crescere. Allorché il Pil aumenta, il debito incide su di esso, percentualmente, in misura minore.
Quota novanta. Dopo il risanamento del bilancio statale, realizzato fra il 1922 e il 1925 dal ministro delle Finanze Alberto De’ Stefani, Mussolini decise la rivalutazione della lira rispetto alla sterlina (allora moneta di riferimento per gli scambi internazionali). Voleva difendere la valuta italiana dalla speculazione internazionale, dare al Paese un segnale di stabilità e fermezza, dimostrare al mondo che il governo era capace di controllare la situazione e infine imitare la Gran Bretagna dove Churchill, in quel periodo, stava tornando all’oro. La brusca rivalutazione della lira fu ottenuta grazie al consolidamento del debito e a maggiori controlli sulla massa monetaria, ma mise in grande difficoltà le industrie esportatrici, provocò una generale diminuzione dei salari e dei consumi e altri effetti tipici delle politiche deflazioniste. Alla fine Mussolini fu costretto a moderare le sue ambizioni.
Debito e guerre. Non credo che un governo mediamente serio e responsabile faccia una guerra per risolvere i problemi finanziari del Paese. Ma è vero tuttavia che le guerre hanno l’effetto, soprattutto nella fase iniziale, di far girare a pieno regime tutte le ruote dell’economia nazionale. Così accadde per esempio negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, quando il Paese poté finalmente superare la fase della lunga stagnazione. Poi, prima o dopo, soprattutto se la guerra va male, arrivano l’inflazione, l’aumento del debito, la disoccupazione. E qualche volta anche la rivoluzione.
Sergio Romano