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 2010  agosto 30 Lunedì calendario

«TRATTATI COME BESTIE» ITALIANO MORTO IN UN CARCERE FRANCESE —

«L’hanno lasciato morire solo come un cane in una cella di un carcere straniero. E a me, che sono la madre, mi hanno avvertito solo dopo due giorni».
Davanti all’obitorio di Nizza mamma Cira piange il figlio Daniele Franceschi, 36 anni, viareggino, morto mercoledì nel carcere di Grasse, nell’entroterra di Cannes, dove era stato rinchiuso a marzo per una storia di carte di credito irregolari utilizzate al Casinò.
Aspetta ancora di vederlo, quel figlio, «sanissimo, un atleta» dice lei. Piange, mamma Cira, chiede verità e denuncia soprusi che suo figlio avrebbe subito nella prigione francese e una fatale carenza nei soccorsi.
«Mi aveva mandato lettere drammatiche — racconta la donna —. Aveva tanta paura, mi raccontava che in quel posto terribile odiavano gli italiani, subiva continue sopraffazioni, si sentiva minacciato. "Mamma ci trattano peggio delle bestie", mi aveva scritto. Subito dopo l’arresto era stato colpito da una strana febbre. La temperatura era salita sino a 41, da ricovero immediato, ma nessuno lo aveva aiutato, si faceva da solo impacchi di acqua sulla fronte. Lo accusavano di non voler lavorare, tutti contro di lui: guardie e detenuti. Adesso devono dire che cosa è successo a mio figlio, mi devono spiegare perché lo hanno lasciato morire in quella cella da solo».
Nel certificato di morte, firmato alle 17.30 di mercoledì dal medico del carcere, si parla genericamente di arresto cardiaco. Secondo il racconto dei familiari (che sostengono di aver parlato con il direttore del penitenziario francese), Daniele, verniciatore e carpentiere navale, separato, padre di un bambino di 9 anni, aveva accusato forti dolori al petto e alle 12.30 lo avevano accompagnato in infermeria, ma dopo un elettrocardiogramma risultato normale, lo avevano chiuso nella sua cella da solo. E qui è stato trovato morto, quattro ore più tardi. Il corpo riverso sul pavimento, apparentemente nessun segno di violenza.
Lo zio di Daniele, Marco Antignano, è stato l’ultimo a parlare con il nipote. «Mi aveva chiamato al telefonino qualche giorno fa — racconta —. Non so come fosse riuscito a procurarselo in carcere. Mi sembrava molto preoccupato. In cella, dopo una perquisizione, le guardie avevano trovato hashish e lo avevano accusato, poi era stato scagionato. Aspettava da mesi il processo che non arrivava mai. Era demoralizzato, depresso, temeva che qualcosa di brutto potesse accadergli».
Secondo lo zio c’era stato un altro episodio che aveva turbato il nipote. «Daniele aveva iniziato a lavorare nelle cucine del carcere — racconta Antignano — e mi aveva confidato che lo facevano lavorare con ritmi massacranti minacciandolo di rinchiuderlo in cella con detenuti pericolosi. Pochi giorni prima di morire aveva protestato duramente per i turni insostenibili e temeva ritorsioni».
L’avvocato della famiglia, Aldo Lasagna, si è già messo in contatto con le autorità francesi. «Ci sono troppi elementi oscuri in questa vicenda — dice — vanno approfonditi. Chiediamo trasparenza e vogliamo conoscere al più presto l’esito degli esami autoptici».
L’autopsia su Daniele Franceschi sarà effettuata stamani. «Però non potrà partecipare nessun medico di nostra fiducia — denuncia la madre —. Ci hanno detto che la procedura si sarebbe allungata. Tutto è complicato qui per noi italiani. In sei mesi sono riuscita a visitare mio figlio solo due volte. Adesso non lo posso vedere neppure da morto». Il responsabile carceri del Pd, Sandro Favi, chiede che i ministri degli Esteri Franco Frattini e della Giustizia Angelino Alfano «acquisiscano tutte le informazioni necessarie per fare chiarezza sull’accaduto».
Marco Gasperetti