Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 30/08/2010, 30 agosto 2010
SACCONI: DIAMO PIU’ SPAZIO ALLA SOCIETA’. CON LA CRISI E’ FINITO LO STATO PESANTE
«Con la crisi mondiale finisce il Leviatano. Finisce lo Stato pesante e invasivo, più o meno consapevolmente costruito sul presupposto di Hobbes, ovvero sulla base di quell’antropologia negativa a sua volta fondata sull’homo homini lupus, sulla malfidenza verso la persona e la sua attitudine verso gli altri. Sta emergendo ovunque, per convinzione o per convenienza, un’antropologia positiva». Ministro Sacconi, dove ne vede i segni? «Nel discorso alla nazione del nuovo premier britannico Cameron, sulla Big Society opposta al Big Government che lui imputa ai laburisti e in particolare a Gordon Brown. Nella neo-governance americana che riconosce la collaborazione tra il pubblico e la crescente filantropia nella società. E rivendico a questo governo di aver cominciato la legislatura con una visione di antropologia positiva».
Cosa intende per "antropologia positiva"?
«Avere fiducia nella persona e nella sua attitudine a potenziare l’autonoma capacità dell’altro. Una scelta che ha molte conseguenze. E’ una premessa fondamentale per costruire la crescita futura, non più fondata sulla diffusa presenza pubblica nell’economia e nella società ma su un nuovo assetto regolatorio, capace di sviluppare le tante potenzialità della comunità nazionale».
Quali sono state secondo lei le conseguenze sull’azione del governo italiano?
«Il governo pratica fin dall’inizio una rigorosa disciplina di bilancio, ma lo fa nell’ambito di una visione che si compone di due elementi tra loro incrociati: il federalismo fiscale e il nuovo modello sociale sussidiario descritto nel mio libro bianco; vale a dire, l’incrocio della sussidiarietà verticale con quella orizzontale. Meno Stato, più società. Non “più mercato”; più società. Ne deriva un grande spostamento di potere dal centro alla periferia e dal pubblico verso le persone, le famiglie e le tante forme associative che le persone e le famiglie sanno produrre in un paese in cui c’è una straordinaria tradizione di esperienze comunitarie. E’ una rivoluzione nella tradizione. Una rivoluzione che affonda le radici nella tradizione della fraternità francescana, delle opere pie, delle società di mutuo soccorso, delle cooperative laiche e socialiste. E nella stessa tradizione delle parti sociali, che in nessun paese sono importanti come in Italia. Altro che algide tecnocrazie centrali».
La "rivoluzione" di Berlusconi doveva essere innanzitutto fiscale.
«Ma tutto questo è il presupposto finanziario e culturale della stessa riforma fiscale. Il federalismo costruito sui buoni costi standard è destinato a responsabilizzare l’impiego delle risorse, quindi a liberare coperture per la riforma fiscale. Anche la sussidiarietà orizzontale può e deve concorrere a contenere il perimetro delle funzioni pubbliche e della relativa spesa. E la nuova fiscalità disegnata da Tremonti corrisponde alla maggiore autonomia dei poteri locali e della stessa società. Ne usciranno privilegiati il lavoro, la famiglia. E il non profit, che non va più definito terzo settore : un nome che evoca una residualità destinata a venire meno». E il ruolo delle parti sociali? «Pomigliano è un simbolo evidente del “meno Stato, più società”. Un tempo la Fiat investiva nel Mezzogiorno se incoraggiata da incentivi pubblici. Oggi non chiede incentivi allo Stato, ma cerca nella stessa comunità dei lavoratori la convenienza a realizzare l’investimento. Come diceva Marco Biagi, non c’è incentivo finanziario che possa compensare un disincentivo regolatorio da norme o da contratti. Solo i lavoratori e le loro organizzazioni possono determinare quella produttività che garantisce il ritorno dell’investimento».
Resta lo scoglio dell’articolo 18. E dei due sistemi: quello per i garantiti, e quello per gli altri.
«Il governo, nei primi giorni di agosto, ha approvato un piano triennale per il lavoro fondato sul riconoscimento della capacità delle parti di costruire nelle aziende e nei territori percorsi condivisi. Meno Stato, più società significa limitare ai diritti fondamentali le norme inderogabili di legge e consentire alla contrattazione locale la modulazione delle tutele in modo da stimolare crescita economica, partecipazione, incremento dei salari, nuova occupazione. Il governo ha detassato tutta la parte del salario conseguente a questi accordi, perché l’antropologia positiva porta ad avere fiducia negli effetti virtuosi dell’autonomia contrattuale prossima alle persone».
Sui tre di Melfi lei non si è ancora espresso.
«Lascio al giudice vagliare il caso concreto e consiglio alla Fiat di evitare forzature. Ma il caso solleva un problema generale. Dagli anni ‘70 si è affermato un metodo di lotta sindacale, per fortuna sempre più desueto, per cui chi sciopera, anche se minoranza, cerca di impedire agli altri di lavorare. E tutto questo non può essere più consentito non solo dalla competizione globale ma anche dal rispetto che meritano tutte le persone e, perché no?, le stesse imprese».
A proposito delle imprese, avete ipotizzato la modifica dell’articolo 41 della Costituzione.
«L’antropologia positiva investe anche il tema della libertà d’impresa. Si tratta di passare dai controlli “ex ante”, tipica espressione dell’antropologia negativa, ai controlli “ex post”. Basti ricordare la norma di Visco sul controllo preventivo all’atto della richiesta della partita Iva, fondata sul sospetto che la partita Iva sia una forma di elusione fiscale e non uno strumento per promuovere iniziativa economica. Dobbiamo capovolgere i termini della questione: io mi fido, fino a prova contraria».
Il governo sembra avere altre priorità, a cominciare dalla giustizia.
«Ma lo stesso tema della giustizia vede un discrimine tra antropologia positiva e negativa. L’esigenza fondamentale della persona e delle forme comunitarie che genera, a partire dall’impresa, è di disporre di un quadro di
certezze. E quindi la giustizia è giusta se è certa. La nostra anomalia è l’incertezza che domina la giustizia civile, penale, del lavoro, amministrativa, contabile. Tempi lunghi, schizofrenia giurisprudenziale, imponderabilità. Ci deve essere riconosciuto che, a parte la contingenza della doverosa difesa di Berlusconi dalla giustizia politicizzata, ci siamo sempre posti il tema della giustizia certa, che coincide, ancor più oggi, con una imprescindibile esigenza del Paese».
Quali sono altri segni di "antropologia negativa"?
«I radical-chic e i loro giudizi sprezzanti sul meeting di Rimini. Uno non capisce Rimini, quella grande folla di giovani e di giovani coppie, quei 3120 volontari paganti, se non muove dall’antropologia positiva. Questo discrimine, tradotto in politica, segna l’ambito del confronto, circoscrive l’ambito del dialogo e della possibile alleanza politica. Berlusconi è una sorta di simbolo vivente dell’antropologia positiva. Ma tutto il mondo cattolico moderato muove da un’antropologia positiva: i cattolici della maggioranza, l’Udc, i cattolici moderati del Pd. Nella sinistra di formazione comunista vedo invece il persistere di un’antropologia negativa, una domanda di Stato pesante e invasivo, di Leviatano». E il Manifesto per la vita e la sussidiarietà lanciato a Rimini?
«Servirebbe a far ritrovare i molti che nelle organizzazioni sociali e politiche muovono da questi obiettivi condivisi, a partire dal riconoscimento del valore della vita. Non solo i credenti, per i quali la persona è immagine di Dio, ma anche i non credenti che muovono dall’antropologia positiva, nel momento in cui riconoscono la ricchezza della persona, sono portati a difendere il valore della vita. Credenti e non credenti si troverebbero così riuniti da una condivisa laicità adulta: adulta perché riconosce e pratica la verità dei valori della nostra tradizione. Il governo ha presentato la propria agenda biopolitica, con l’indicazione dei temi di cui ci siamo occupati, ci stiamo occupando, ci occuperemo nel nome della difesa della vita. Ho visto che alcuni hanno reagito nervosamente a questa agenda non perché legittimamente non la condividono ma perché disturba l’opportunismo delle alleanze anomale». Casini parla di "esibizionismo valoriale". «Non vorrei che questa battuta indicasse la propensione a mettere sotto il tappeto i valori fondamentali per avere mano libera nel gioco delle alleanze, che a quel punto diventerebbe cinico. Basti pensare al sostegno dell’Udc alla Bresso in Piemonte nonostante le sue posizioni nel caso della pillola abortiva o del percorso eutanasico di Eluana Englaro. Confido invece che nel prossimo futuro, grazie anche a quell’ideale Manifesto che io sollecito soprattutto agli attori sociali di buona volontà, i rapporti politici risultino positivamente condizionati dai valori e dalle conseguenti visioni. In un tempo nel quale la politica è chiamata a ricostruire fiducia nel futuro, si è parlato e si parla di coalizioni a prescindere, sostenute solo dall’ostilità a Berlusconi. Al contrario, i temi della vita, del profondo ridisegno del rapporto tra Stato e società, della libertà delle persone, del libero gioco associativo sono i contenuti di una rivoluzione nella tradizione che già in questa legislatura possono dare luogo a più ampie maggioranze parlamentari».
Aldo Cazzullo