Carlo Puca, Panorama 2/9/2010, 2 settembre 2010
MAFIOSI, ARRENDETEVI
C’è un paese europeo che in 27 mesi è riuscito a catturare circa 6.500 boss e ha sottratto quasi 15 miliardi di euro dal portafoglio dei clan. Un paese, l’Italia, che pur avendo la mafia al Sud, ha affidato la sua sicurezza a un uomo del Nord, avvocato, tifoso del Milan, ex manager, ex ministro del Welfare, tastierista del gruppo musicale Distretto 51 e ministro dell’Interno del governo Berlusconi. Si chiama Roberto «Bobo» Maroni e troppe cose ha già prodotto nei suoi 55 anni d’età: «La mia non è una vita da mediano» dice lui. Semmai, da regista della squadra che lotta contro la mafia, in mezzo al campo, tra Palermo e Corleone. È qui ad annunciare l’assalto finale alla mafia. E per Panorama indossa la coppola. È questione di principio: «Pure i berretti bisogna sottrarre al simbolismo delle cosche: vanno restituiti ai siciliani liberi».
Ministro, l’avrebbe mai detto una trentina d’anni fa, quando aderì alla Lega, il partito del Nord, che sarebbe diventato una speranza per il Sud?
Con franchezza: ci sono voluti un percorso lungo e qualche capacità. Ma mi considero un uomo fortunato, la casualità della vita mi ha regalato grandi occasioni. Una è stata la conoscenza di Umberto Bossi, nel 1979. Grazie a lui ho avuto una immensa scuola, quella della Lega, che mi ha insegnato la coerenza del federalismo. E il senso del sacrificio. Ho ancora un manifesto della Lega lombarda, «Programma in 13 punti», col telefono di casa Bossi e la scritta: «Chiamare ore serali».
Tutto questo che c’entra con il Sud e la lotta ai boss?
Il federalismo è anche legalità, equità e giustizia sociale contro ogni tipo d’ingiustizia, comprese le nefandezze della criminalità organizzata. Di conseguenza considero normale che un leghista, al Viminale, faccia quello che faccio io.
Ma lei è davvero convinto che in tre anni la mafia possa essere sconfitta? Non si sente un po’ come quel tizio che voleva risanare le Ferrovie?
Macché, ci credo davvero. I nostri risultati stanno facendo davvero male alle cosche. Prima si pensava che mettere in galera i mafiosi fosse sufficiente. Non è così, ai boss bisogna portar via anche i soldi, per colpire al cuore la struttura del loro stato parallelo, l’antistato. Abbiamo sviluppato una strategia di aggressione ai patrimoni mafiosi che sta producendo risultati straordinari: nessun governo ha fatto meglio di noi. E poi nei miei numerosi vertici nelle regioni del Sud ho visto segnali confortanti di ripresa di coraggio nella tanta gente onesta che vive in quelle bellissime terre. Ed è significativo il fatto che i boss tentino di spostare altrove gli affari criminali.
Parla così perché le cosche abitano al Nord da tempo.
Sono arrivate negli anni Settanta, spinte dall’infausta misura del soggiorno obbligato, che denunciammo. Poi il soggiorno obbligato è stato abolito, ma il danno era già prodotto.
Il contrappasso è Angelo Ciocca, il consigliere regionale del Carroccio fotografato con il boss calabrese Pino Neri. Voi, però, avete minimizzato la storia.
Siete voi giornalisti che l’avete enfatizzata. C’è un’indagine in corso, ma che non lo vede coinvolto. Dico di più: giorni fa sono stato in un ristorante a Napoli, ogni tanto qualcuno mi chiedeva di fare una foto. E se c’era un camorrista?
Insisto: la Lega sarebbe stata così indulgente con Clemente Mastella o Nichi Vendola?
Senta, Ciocca non è nemmeno indagato, punto. E poi, per chiarezza: abbiamo 370 sindaci e 14 presidenti di provincia. Se c’è un luogo dove c’è un presidio di legalità sono i governi dalla Lega. Lo rivendico con grande orgoglio.
Rivendichiamolo così. Scriva le prime righe di un saggio. Titolo: «La mafia spiegata ai miei figli».
La malavita organizzata è l’antistato, è qualcosa che distrugge la vita civile e sfrutta la violenza e il crimine per fare soldi. La mafia è quindi il male assoluto.
Efficace. Quando fu la prima volta che sentì pronunciare la parola mafia?
Probabilmente alle medie.
Allora non era così sentita come un problema.
A Lozza, nel Varesino, si lasciavano le porte di casa aperte. In compenso c’era un controllo sociale totale. La «centrale operativa» era l’unico negozio del paese, quello di mia madre.
Che tipo di negozio era?
Di generi alimentari, con l’insegna: «Fiaschetteria». Ma vi si vendeva di tutto, dai casalinghi ai giornali. Le donne venivano a fare la spesa ma poi rimanevano lì più o meno dalle 8 di mattina fino a mezzogiorno. Mia mamma metteva a disposizione le sedie e tutte si raccontavano storie e aneddoti, mentre controllavano pure il territorio: «Hai visto chi era quel tizio di ieri? Ah, tu sai che è il nipote di Giovanni? Bene». Ma se arrivava lo sconosciuto di turno, considerato che non c’erano i carabinieri, s’informava il prete oppure il sindaco, ché in negozio c’era sempre la moglie. Questo tipo di controllo sociale era l’anticorpo più importante contro la criminalità. È lo stesso sistema che ho reintrodotto con le ronde. Il modello è quello lì: socializzazione e informazione. Niente di più.
I sociologi dicono che i ragazzi di oggi sono depressi per l’incertezza del futuro. I suoi figli come stanno?
M’inchino davanti alla scienza dei sacerdoti della sociologia. Ma tutti i giovani che conosco io sono molto motivati. Comunque, una cosa è certa: i miei figli sceglieranno la loro strada senza confidare sui vantaggi del cognome.
A proposito di figli: voi leghisti sembrate tutti abbastanza amici. Ma tra 100 anni, quando Bossi non farà più politica, basterà suo figlio Renzo a tenervi uniti?
Il futuro è nella testa di Giove. Certo, l’esperienza della Lega è unica per il contesto storico. Il nostro verbo si affermò per tre ragioni: il tema del territorio, cioè la dialettica Nord-Sud invece che destra-sinistra; la leadership di Bossi; l’essere gente del popolo, che lavora e nel tempo libero fa politica. Sono tre condizioni difficilmente ripetibili. Primo: dopo Bossi, fra 100 anni, servirà una leadership altrettanto carismatica. Secondo: noi abbiamo tanti bravi amministratori di 30-35 anni, che però hanno fatto sempre e soltanto politica. Infine il federalismo: una volta realizzato, la Lega cosa diventerà? Probabilmente un partito del buon governo territoriale, chissà. Sono certo che vinceremo la sfida, ma non so ancora indicare come.
Perché il personale della Lega non viene mai considerato «classe dirigente»?
Perché lo stabiliscono i soliti noti, un gruppo di aristocratici: 30-40 persone che si alternano regolarmente sui giornali.
Beh, il terzo polo conta su un nuovo leader politico, dal nome aristocratico: Luca Cordero di Montezemolo.
Certo: il «nuovo che avanza»… Se i nomi sono questi, la Lega dormirà tra due guanciali. Noi non siamo un’élite, siamo il popolo che governa: questa è la differenza tra noi e loro.
In tema di élite, lei a Corleone ha inaugurato la Bottega della legalità in un edificio sottratto a Bernardo Provenzano. L’ha assegnato all’associazione Libera, di don Ciotti. Ma, appena lei ha lasciato Corleone, don Ciotti ha iniziato a dire che questo governo non fa abbastanza contro la mafia.
Lei non sa come m’infastidiscono quelli che in privato ti chiedono i beni confiscati alla mafia e poi in pubblico recitano una seconda parte in commedia. Ma è un fenomeno molto diffuso in quegli ambienti.
Sempre a Corleone, i ragazzi di Libera hanno cantato «Bella ciao». È una canzone che le piace?
Mi piace molto. Oggi i nuovi partigiani sono questi ragazzi coraggiosi che lottano contro la mafia, soprattutto in quei posti lì. A Corleone, per esempio, una cooperativa ha messo su un agriturismo in una masseria sottratta a Totò Riina. Funziona benissimo.
E Roberto Saviano? È anche lui un partigiano?
Saviano mi è simpatico. L’ho incontrato prima che diventasse il Saviano di adesso. Mi venne portato da Gianni Riotta, quando era direttore del Tg1, all’inizio del mio mandato.
Come mai Saviano è passato attraverso Riotta?
Non lo so. Il direttore, che è mio amico, mi disse: ti devo presentare una persona, un giovane scrittore. Era appena uscito Gomorra e io francamente Saviano non lo conoscevo. Riotta mi disse che aveva problemi con la scorta.
In conclusione, Saviano è un partigiano oppure no?
Saviano è bravo a raccontare e a divulgare, quando fa l’analista sostituendosi alla Criminalpol lo è meno. Non è un investigatore, è un divulgatore: prima di avventurarsi in reprimende, dovrebbe fare più attenzione, pena la perdita di credibilità. Se posso dargli un consiglio, non deve farsi strumentalizzare dal «partito di Repubblica». Sarebbe un peccato se diventasse uno strumento nelle mani della politica.
Lei ce l’ha, e pure tanto, con «Repubblica»…
Io non ce l’ho con nessuno, ci mancherebbe. Ma mi dà fastidio quando, anziché raccontare la verità, la si distorce a fini politici. Anche se poi ci avvantaggiano. Lo dico a Berlusconi ogni volta che si lamenta di Michele Santoro: lascialo stare Annozero, non vedi i risultati? A inizio 2010 ha detto e fatto cose terribili su di te. Il risultato è che hai stravinto le regionali.
Di Denis Verdini e Nicola Cosentino cosa pensa? Ritiene cioè che la domanda di «Repubblica», di Santoro e di tanti altri sia campata in aria?
Per me vale il principio della presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva. Poi se il soggetto decide, personalmente, che è opportuno fare un passo indietro, non si può che apprezzarlo. Ma non esiste che ci sia la regola per cui uno sottoposto a indagine debba dimettersi. Detto questo, ho una visione diversa da loro della politica. Io sto lontano dagli affari. La politica è politica, gli affari sono affari.
Possibile che lei non abbia mai avuto una qualche sollecitazione?
Ricordo una cosa che mi scioccò, nel 1994, quando fui nominato per la prima volta ministro dell’Interno. Ricevetti la strana telefonata di un tizio che si presentò come agente di borsa e mi disse: «Vorrei incontrarla perché lei può venire a conoscenza d’informazioni utili per le quotazioni». Ovviamente non se ne fece nulla, ma capisco che uno possa essere tentato. Per questo devi essere rigoroso tre volte. E poi io non faccio politica per diventare ricco, sennò avrei continuato nel mio mestiere.
Per la sicurezza, però, ci vorrebbero più risorse. Non è bello vedere gli agenti protestare per strada.
Altre inutili chiacchiere. Sono due anni che si racconta di una polizia che non può pagare la benzina. Ma è una rappresentazione falsa. Certo, c’è stata una riduzione degli stanziamenti, ma i risultati dimostrano che la nostra azione è all’altezza: il pacchetto sicurezza è stato attuato in ogni sua parte.
Suvvia, qualche euro in più le farebbe comodo.
Nel 2011 avremo più risorse a disposizione grazie ai 2,2 miliardi confiscati alla criminalità organizzata, senza contare il patrimonio che viene gestito dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati. Se n’è parlato per tanti anni. Ma chi l’ha fatta? Noi. In due mesi l’abbiamo messa in piedi: è un altro fatto.
Il battesimo dell’agenzia è stato sostenuto anche dall’opposizione. Strano, no? A sinistra c’è chi si fida di lei.
Perché non ragiono da politico di professione. All’inizio della mia carriera ho lavorato tre anni in tre banche diverse: ero irrequieto, non m’accontentavo di fare il mediano. Poi sono andato in una multinazionale, la Avon, dove ero capo degli affari legali a 30 anni e guadagnavo bene. Lì eravamo abituati a ottenere risultati e a valutarli. Ho dato al ministero la stessa impronta: pianificare non sulla base dell’emergenza; monitorare i risultati. Al Viminale facciamo report mensili sui risultati nel contrasto alla criminalità, ordinaria e organizzata. Anche qui: è il metodo dei fatti contro l’antimafia delle chiacchiere.
Sono fatti anche i nuovi centri d’identificazione ed espulsione?
Ne sorgeranno di nuovi, a breve, in Campania, Piemonte, Veneto e Toscana. Ne avremo uno in ogni regione. Intanto gli sbarchi di clandestini si sono drasticamente ridotti, anche grazie all’accordo con la Libia: funziona così bene che cercheremo di applicarlo anche con altri paesi.
L’ultima novità è che lei vuole espellere anche i cittadini comunitari, a partire dai rom.
Sì, ma ovviamente vale soltanto per chi viola la direttiva europea del 2004 che stabilisce le regole per poter risiedere stabilmente in un paese dell’Unione: avere un reddito minimo, disporre di una dimora adeguata e non essere a carico del sistema sociale del paese ospitante. Molti rom sono comunitari ma non rispettano nessuno di questi requisiti.
Così però fomenta le accuse di razzismo contro di voi.
Chi considera la Lega un sottoprodotto sociale intriso di xenofobia e razzismo è in totale malafede o non ha ancora capito nulla di noi. Come gli ultimi strampalati articoli sulla Lega scritti da Farefuturo, la fondazione di Gianfranco Fini.
Che fa: colpisce Farefuturo per educare Fini?
Nel rapporto con i cosiddetti finiani mi aspetto una soluzione definitiva a breve termine. Dentro o fuori, fiducia o elezioni. Senza vie di mezzo.
Il tema immigrazione la divide da Fini. Degli italiani di colore nelle forze dell’ordine cosa pensa?
Per me l’unica differenza è tra i cittadini «italiani ed europei» e i cittadini extracomunitari. D’altronde sono io che ho dato la cittadinanza ad Amauri affinché giocasse in Nazionale. Prendiamo il diritto di voto: ritengo che non possa essere dato a chi non è cittadino italiano o comunitario. Questo è lo spartiacque: quando uno diventa cittadino italiano ha tutti i diritti. Ma quanto dico è scritto nella Costituzione.
Meno male che la difende lei la Costituzione. Secondo l’articolo 5, l’Italia è una e indivisibile. Ma a Ferragosto Roberto Calderoli ha di nuovo minacciato la secessione.
La colorita espressione di Calderoli è quel che dico io con parole diverse: che la Lega non è disponibile a un governo diverso da quello uscito dalle urne. La democrazia esige il rispetto del principio costituzionale che la sovranità appartiene al popolo, non alle congiure dei palazzi romani.
Ora a Castel Volturno le consegneranno le chiavi della città. È il trionfo del «modello Caserta». Ma l’Italia non è tutta uguale: quel modello può essere valido ovunque?
Solo in parte. Per me è fondamentale l’articolazione federalista della sicurezza, che tiene conto che Milano è diversa da Palermo, Palermo è diversa da Bari, e così via. La strada è più complicata, ma è l’unica seria.
E c’è ancora tanto da fare. Alla lista degli arrestati manca il nuovo «capo dei capi», Matteo Messina Denaro…
Contro la mafia stiamo ottenendo risultati senza precedenti. Oltre all’aggressione ai patrimoni dei boss, sono stati scovati e catturati ben 26 dei 30 superlatitanti più pericolosi. Verrà presto anche il turno di Messina Denaro.
Così quel giorno celebreremo la festa della coppola.
Magari!