Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 30/8/2010, 30 agosto 2010
IL PREZZO PIÙ DEBOLE DELLE VALUTE
Un anno fa, su queste colonne, avevamo notato che la più sconvolgente crisi economica del dopoguerra non aveva turbato i cambi più di tanto. In confronto ad altri episodi d’instabilità valutaria – le involate dello yen nei primi anni 90, gli strappi del dollaro prima e dopo gli accordi del Plaza Hotel di New York del 1985, l’umiliazione dell’euro nei primi anni di vita...–, gli anni recenti hanno visto, dopo tutto, soltanto variazioni composte. Quando crolla la domanda, il problema non sta più nel rosicchiare qualche punto di competitività/ prezzo attraverso variazioni dei cambi: «Le variazioni del cambio – scrivemmo allora – non mutano il problema di fondo e un’eventuale "guerra valutaria" sarebbe, in ultima analisi, una guerra fra poveri».
Questa interpretazione tiene ancora, nonostante il fatto che quella che Ben Bernanke ha chiamato la "insolita incertezza" che circonda questa anomala ripresa, rende tutti più attenti anche a modeste variazioni dei cambi. Ma la principale domanda che dobbiamo porci,in realtà,è un’altra: gli andamenti di fondo delle valute sono tali da facilitare o da ostacolare l’uscita dalla crisi?
Le variabili cui prestare attenzione sono, più che i cambi nominali, quelli reali, che monitorano gli andamenti della competitività/ prezzo dei paesi. E più che i cambi bilaterali, quelli medi effettivi, che seguono il cambio di una moneta nei confronti di tutte le altre valute dei paesi con cui si scambiano beni e servizi, attribuendo a ogni "altra" moneta il peso che le conviene sulla base del volume degli scambi. Il risultato è un "cambio effettivo reale", in cui la parte "reale" viene calcolata così da tener conto della differenza fra i tassi d’inflazione fra i vari paesi. Se, per esempio, la moneta A si svaluta del 5% nei confronti della moneta B, ma i prezzi nel paese A aumentano a un ritmo di 5 punti più rapido rispetto ai prezzi del paese B, la svalutazione è solo nominale: in termini di cambio reale nulla muta. Per rispondere alla domanda posta più sopra, quindi, useremo i cambi effettivi reali, deflazionati con gli indici dei prezzi al consumo.
Il primo grafico mostra, facendo uguale a 100 il luglio 2007 (quando scattarono le prime avvisaglie della crisi finanziaria, poi trasformata in "grande recessione") come si è andato evolvendo il cambio del dollaro Usa. Come si vede, gli scostamenti dai livelli iniziali sono stati modesti e oggi ci ritroviamo più o meno al punto di partenza. Ma, e questo è un punto positivo, le valute dei paesi emergenti si sono rafforzate contro il dollaro del 5%: la direzione è quella giusta, dato che quei paesi crescono di più e gli Usa devono rientrare dal deficit corrente.
Il secondo grafico mostra i cambi reali di euro, yen e yuan. Anche qui i paesi con forti surplus con l’estero (Cina e Giappone) hanno visto un tendenziale apprezzamento delle loro monete, mentre l’euro ha subito una svalutazione reale del 9% circa, che sta aiutando la ripresa.
Ma i cambi hanno in fondo meno influenza di quanto si creda. E mette conto ricordare le sagge parole, scritte decenni fa ma sempre valide, di Joseph Schumpeter: «Appena la concorrenza sulla qualità e sui servizi al cliente viene ammessa nei sacri recinti della teoria, la variabile- prezzo scende dal suo piedestallo. Nella realtà del capitalismo, in quanto distinta dall’immagine che ne danno i libri di testo, non è la concorrenza sul prezzo che conta. La competitività è quella che viene dal nuovo prodotto, dalle nuove tecnologie, una competitività che determina un vantaggio decisivo di costo o di qualità, e che non opera al margine; minaccia non tanto i profitti o le quantità prodotte ma le fondamenta stesse, la vita stessa delle imprese. È di tanto più efficace della concorrenza di prezzo quanto un bombardamento è più efficace dello scasso di una porta».