ANGELO AQUARO, la Repubblica 29/8/2010, 29 agosto 2010
L´ARTE DI DISEGNARE LA GUERRA
Il giorno in cui dovette scegliere tra il suo nome, Kristopher, e il suo cognome, Battles, il signor Cristoforo Della Battaglia - ex missionario, ex marine, artista a tempo indeterminato - chiamò la moglie, guardò negli occhi il figlio, e alzando lo sguardo al cielo, in cerca dell’ ultimo conforto, domandò sconcertato: che faccio? Negli Usa - da quando negli ultimi anni del Vietnam abolirono la leva obbligatoria - funziona così: puoi decidere di fare il soldato di carriera, puoi decidere di non farlo e puoi entrare nella riserva, cioè ti impegni per un periodo minimo e poi torni civile, pronto a essere richiamato in caso di necessità. Kristopher Battles, nel suo piccolo, come riserva aveva già dato. Ma la passione per l’ arte, come tutte le passioni, era più forte di lui. E grazie al blog di un blog di un blog, entrato in contatto con uno degli ultimi grandi "artisti combattenti" d’ America, Michael D. Fay, il pittore con le stellette, un bel giorno anche Kristopher si chiese: e se la mia vera missione fosse questa qui? Così quel ragazzo con la passione per l’ arte e un cuore grande grande, il missionario del Missouri che per amore dei disperati era finito ad Haiti già prima del terremoto imparando perfino il creolo, decise di rimettere firma e di intrupparsi per l’ ultima avventura. Avrebbe raccolto, proprio lui, il fardello della "combat art": l’ arte di raccontare le battaglie per immagini. Kristopher Battles è l’ ultimo marine disegnatore della storia d’ America. L’ ultimo rimasto in attività dopo che il suo maestro, Michael D. Fay, se n’ è andato in pensione. «Certo che è meraviglioso. Un onore. Ma anche una responsabilità. I grandi artisti che ti hanno preceduto: Henry Caselli, per esempio, che raccontò il Vietnam e oggi è quel maestro dell’ arte contemporanea. Harry Jackson, il pittore della Seconda guerra mondiale». L’ arte di raccontare la guerra per immagini è vecchia come la guerra. Ma la "combat art" moderna è un’ invenzione di quel genio non solo militare che va sotto il nome di Napoleone Bonaparte. Ci sarebbe perfino una data di nascita: 19 maggio 1798. Quella campagna d’ Egitto che non per niente ancora oggi si ricorda quasi più per le sue acquisizioni culturali: prime tra tutte la scoperta della Stele di Rosetta. Napoleone s’ imbarcò da Tolone con un esercito, vero, di 167 artisti e studiosi. I Savants agli ordini di quel Vivant Denon che era lui stesso diplomatico e disegnatore. Il sergente Battles è figlio dei figli dei figli di quei primissimi militari e pittori. L’ ultimo della dinastia. Per la verità lui, "pittore realista", specifica, sarebbe l’ ultimo dei marine: ci sono ancora i suoi colleghi dell’ Esercito, dell’ Aeronautica... «Ma per quelli dell’ Airf Force l’ arte è tutta aeroplani», ironizza sul New York Times un’ esperta militare come Anita Blair, «per quelli dell’ Army è tutta mezzi corazzati. Solo i marine si concentrano sui marine». Sugli uomini, cioè: sulla vita. E - siamo o non siamo in guerra? - irrimediabilmente sulla morte. Kristopher Battles ricorda ancora la sua prima pattuglia. Iraq, ottobre 2006. «Sapete che cosa vuol dire uscire in pattuglia? Tu cammini cammini cammini e naturalmente non sei solo, segui la linea tracciata dal compagno, però sei completamente esposto, cammini e ti guardi intorno, guardi i compagni più avanti e senti addosso gli occhi del nemico. Il giorno prima ci avevano attaccati e feriti, avevano attaccato i nostri compagni, non era stato facile ma poi loro si erano difesi e avevano contrattaccato. E io adesso ero lì, la pattuglia del giorno dopo, cammini cammini cammini ed eccolo lì: il primo morto della mia vita. Cioè, io sono stato anche missionario ad Haiti, so che cos’ è una tragedia, ho visto altri morti. Ma questo era il primo ucciso in combattimento. Un ribelle, un nemico. La mia prima pattuglia. Io in guerra ci ero andato per fare l’ artista ma in quel momento mi sono maledetto: che ci facevo lì?». Oggi il sergente Battles quasi non si capacita che sia toccato proprio a lui tenere alta l’ ultima bandiera. Il deficitè alle stellee il Pentagono taglia taglia e taglia. Così i fondi destinati al programma - che durante la seconda guerra mondiale impiegava settanta artisti combattenti - sono scesi da venticinquemila a ventimila dollari all’ anno: non ce n’ è neppure per pagarsi le tele e i pennelli. Che i pittori da combattimento devono tirarsi dietro insieme a tutto l’ equipaggio d’ ordinanza: armatura, elmetto Kevlar, mitraglietta M-16, pistola da nove millimetri... Bye bye combat art? Il sergente non si arrende: «Questa settimana il 2 settembre, ci rivedremo a Quantico, il quartier generale dei marine, per il nostro summit. Ci saranno gli altri artisti veterani, quelli che hanno fatto il Vietnam, la prima Guerra del Golfo.E pianificheremo insieme qualcosa, discuteremo su come rivitalizzare, ricostruire il programma». Per carità: nel rispetto della scala gerarchica. A proposito: quant’ è libero un artista soldato? «Beh, c’ era un comandante che mi chiedeva di riprendere le scene sempre da una certa prospettiva. Ma gli ordini sono rari: siamo liberi di esprimerci come crediamo. Perché questo deve essere molto chiaro: si tratta di creazione e non di rappresentazione. Può anche essere un quadro astratto: ma deve riprodurre un’ autentica esperienza artistica». Il valore dell’ artista da combattimento è proprio quello: testimonianza. E dice il sergente Battles che il comandamento numero unoè quello che gli ha insegnato il maestro Fay: «Essere il più vicino possibile alla source: alla fonte». Battles è stato due volte in Iraq e una volta in Afghanistan. A febbraio l’ hanno spedito ad Haiti in missione umanitaria dopo il terremoto: «Un ritorno a casa». Ora dice che spera di tornare presto in Afghanistan. La differenza tra le due missioni? «Parlo da artista: le architetture, i colori, gli abiti della gente». Certo gli manca non essere là. Soprattutto adesso: nell’ Iraq in cui tra due giorni il presidente Barack Obama dichiarerà conclusa l’ operazione militare. «Avrei voluto ritrarre l’ ultimo battaglione. Avrei voluto testimoniare il nostro addio». L’ ultimo artista combattente ha il destino scritto perfino nel nome. «Battles viene da Hastings, dalla battaglia di Hastings». Poi con il tempo il genitivo sassone si è modificato, l’ apostrofo è caduto ed è rimasta la s. «I miei antenati venivano dalla Scozia e tutti i Battles hanno questa battaglia nel loro passato. Che cosa buffa, eh? Se io fossi un civile sarebbe un nome impegnativo da gestire. Invece se sei l’ artista dei marine è perfetto: non potresti chiamarti meglio». Hastings naturalmente è anche la grande battaglia del passato che Battles avrebbe voluto dipingere. Come quell’ altra grande memorabile per i marine come lui: Belleau Wood. Un paio di mesi fa il sergente si è regalato un viaggio a Parigi con la moglie per festeggiare il loro decimo anniversario. E se sei un’ artista e non sei mai stato a Parigi che fai? Ti chiudi dal Louvre in giù nei musei più belli del mondo. Ma Kristopher Battles è anche un combattente. Così la prima cosa che ha fatto è stato andare in pellegrinaggio nella foresta dove i marine fermarono i tedeschi nella più sanguinosa battaglia combattuta dagli Usa nella Prima guerra mondiale. Eppure... «Eppure speravo di non sentirmi fare questa domanda. Però sì: se un domani dovessi scegliere tra la carriera militare e quella di artista, prenderei quella di artista». Ma come: proprio ora che sta combattendo per non chiudere il programma? «Non parlo di adesso: ma non puoi fare il soldato per sempre». La verità è che Battles - come tutti i veri artisti - è un personaggio senza confini. Missionario, pittore, marine. Mica per caso sul suo blog miscela tra i libri preferiti la Bibbia e la Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams e, tra i dischi, «quasi tutto Mozart» e i dannatissimi Cure. «Più vai avanti negli anni e più ti esprimi meglio. E l’ arte è la mia vocazione più profonda. L’ impulso creativo è più forte». Anche di un nome e un cognome che disegnavano un destino.