ADRIANO SOFRI, la Repubblica 29/8/2010, 29 agosto 2010
IL MONDO SIAMO NOI
Una banda armata di sequestratori, violatori e assassini efferati di donne, che usurpa il nome di Stato e si proclama esecutrice del disegno di Dio: a questo vuole ridursi il regime iraniano? Merita questo l´Iran, il suo popolo, le sue donne?
È la partita che si gioca oggi, e che si allarga al rapporto fra la teocrazia iraniana e il resto del mondo. Ma è prima di tutto la partita fra una così colossale potenza e il destino di una donna sola. Si vuole spiegare, ogni volta che una vicenda particolare sfida il diritto e l´umanità, che nella sorte di uno si riassume e si simboleggia la sorte di tanti, ed è vero. Ma è prima di tutto di quell´uno, di quell´una, che si tratta intanto. La signora Sakineh Mohammadi Ashtiani è reclusa nella galera di Tabriz, nell´Iran azero, da cinque anni. È stata accusata di adulterio e condannata. Ha ricevuto 99 frustate al cospetto di un pubblico che comprendeva il suo figlio maschio. È stata forzata a confessioni che ha ritrattato al processo, e ancora, lo scorso 11 agosto, in una ripugnante comparsa televisiva, sepolta in un chador nero come in un sudario, a leggere una nuova inaudita confessione sulla propria complicità nell´omicidio del marito. Il suo coraggioso difensore ha dovuto riparare in Turchia per scampare all´arresto, e il suo difensore attuale, nominato d´ufficio, protesta di non riuscire a conferire con la sua assistita da quando ha annunciato d´essersi convinto della sua innocenza.
Del resto, perfino dibattere di innocenza o colpevolezza suona derisorio di fronte a un regime che somministra in questo modo la sua giustizia. Ferocia e brutalità offendono ogni sentimento di umanità: l´orrore della lapidazione e i suoi elaborati dettagli («Ma come fanno a prepararsi a mirare al mio viso e alle mie mani, a lanciarmi delle pietre? Perché? Dite a tutto il mondo che ho paura di morire»), i tormenti inflitti ai figli, il maschio di 22 anni e la ragazza di 17, cui viene detto che la madre li ha rinnegati, e viceversa, sono fatti per suscitare lo scandalo. Ma rischiano anche di riservare l´attenzione a ciò che è insieme terribile e inessenziale, di lasciar giocare il governo iraniano –come il gatto col topo, stavo per scrivere, e me ne sono vergognato, perché è come l´uomo sequestratore con la donna torturata che gioca – con la commutazione della pena di morte, dalla lapidazione alla benigna impiccagione, o con la compiaciuta dilazione di decisioni ed esecuzione. In qualche appello europeo, si deplorano, nelle frustate e le lapidazioni, misure "d´altri tempi": non direi. Le pietre appuntite, né troppo grosse né troppo piccole, perché l´agonia duri mezz´ora, insieme all´arma nucleare: è questo il compendio della modernità.
La Repubblica islamica d´Iran, i padroni di un popolo di 80 milioni di persone, ha in ostaggio Sakineh e scherza col suo corpo come un macellaio di donne che abbia legato la sua rapita a un letto di contenzione. Ci sono tante altre Sakineh in Iran, ci sono anche tanti altri, come il ragazzo Ebrahim Hamid, l´ennesimo, che aspetta d´esser assassinato per sodomia nel paese in cui Ahmadinejad proclama che «non esistono omosessuali». E del resto gran parte delle migliaia di prigionieri del movimento verde dell´anno scorso è passata attraverso pestaggi, torture, stupri, e delazioni e confessioni forzate.
Su questo giornale avevano firmato ieri per Sakineh 70 mila persone. Appelli si moltiplicano e raccolgono l´adesione di personalità di spicco e di persone senza fama. È pochissimo, una firma, e per giunta a volte ai tiranni che tengono in ostaggio un popolo o una donna piace irridere platealmente la trepidazione e l´auspicio del mondo. E tuttavia il capriccio dei tiranni ha un prezzo da pagare. «Cercano di guadagnare tempo – dice il suo avvocato – finché il mondo si dimentichi di lei. E lei non si arrenderà finché il mondo si ricorderà di lei». "Il mondo" siamo noi. Il mondo, quello delle firme celebri e quello dei nomi senza fama, non è composto di cavalieri dell´ideale senza macchia. Chiunque firmi per la vita e la dignità di Sakineh fa bene a ricordarsi della pagliuzza o della trave nel proprio occhio. Sarebbe mera ipocrisia congratularsi, com´è giusto, della firma di Carla Bruni, e dell´impegno che annuncia a nome del suo consorte, senza avvertire una dissonanza dalla cacciata stentorea dei rom o dalla cittadinanza revocabile, e il bambino bruciato a Roma da una candela da topi non è fatto per acquietare le nostre coscienze. Ma è così che stanno le cose. Battersi per Sakineh, sperare con tutto il cuore che sia salvata lei, il suo bel viso che adesso abbiamo visto, estratto da un fondo di pozzo, come quello dei minatori cileni, può essere un modo per metterci stolidamente in pace con le nostre coscienze, ma anche per metterle in agitazione. Avvengono infinite infamie alla condizione che "il mondo" se ne dimentichi, o non se ne accorga affatto – o finga di non accorgersene. È una partita che ricomincia ogni volta, ogni momento, daccapo. Ma anche quando ci si trovi gli uni accanto agli altri in un´impresa che somigli a un vuotare l´oceano col secchiello, c´è una fraternità, una sorellanza, da riscattare a se stessi, e forse anche ai sequestratori e seviziatori e assassini di donne che si sono fatti Stato e agiscono in nome di Dio. Questa bella e pessimistica utopia ha la sua parte, e non bisogna rinunciarvi né vergognarsene. Ma gli appelli e le firme e le manifestazioni servono anche a far sentire alle brave autorità del nostro mondo, quelle cui ripugna di lapidare le cosiddette adultere e di frustrare in pubblico e di far recitare confessioni estorte in televisione, e che intrattengono comunque relazioni coi colleghi iraniani in una vasta fraternità d´affari, e che il lungo esercizio del potere ha addestrato al cinismo, a far sentire loro sul collo il fiato di elettori e sondabili. Diamo alla sorellanza e alla fraternità umana un 49 per cento della speranza per Sakineh. E diamo un 51 alla pressione esercitata sui nostri potenti: l´Unione Europea, in primo luogo, perché è così perbene, e così affarista. E preghiamo che una Sakineh salvata ed estratta dal fondo di pozzo in cui si trova, a Tabriz, possa presto distribuire a suo modo le quote del proprio conforto e della propria gratitudine.