Marino Longoni, ItaliaOggi 30/8/2010; Valerio Stroppa, ItaliaOggi 20/8/2010, 30 agosto 2010
[3 art.] IL TRUST DIVENTA GLAMOUR - Cresce il numero di trust in Italia, e l’interesse per questo istituto di origine anglosassone che consente la segregazione di un patrimonio per un fine predeterminato
[3 art.] IL TRUST DIVENTA GLAMOUR - Cresce il numero di trust in Italia, e l’interesse per questo istituto di origine anglosassone che consente la segregazione di un patrimonio per un fine predeterminato. A rilevare il forte aumento dell’attenzione sull’argomento è, oltre al sentiment dei professionisti che si occupano di questa materia, anche la relazione di accompagnamento alla legge comunitaria 2010 che, proprio per venire incontro a queste aspettative, contiene una delega al governo, da esercitare entro due anni, per la regolazione del contratto di fiducia, così come hanno già fatto altri paesi europei. Le ragioni che spiegano il crescente appeal del trust sono diverse. Da una parte la crescente complessità della società civile che spesso richiede strumenti di separazione patrimoniale per i fini più disparati: dalla regolazione di una successione all’assistenza a un disabile, al finanziamento di attività particolari, alla messa in garanzia di una parte del patrimonio aziendale. È anche vero che fino a qualche anno fa la creazione di un trust in Italia era ostacolata dall’incertezza della disciplina fiscale applicabile. E succedeva spesso che solo chi aveva finalità poco trasparenti era disponibile ad accettare questa aleatorietà. Dopo la legge finanziaria 2007, che conteneva un primo riconoscimento dell’istituto, l’Agenzia delle entrate ha emanato la circolare 6 agosto 2007 n. 48 che ha regolato la materia delle imposte dirette e la circolare n. 3 del gennaio 2008 con i chiarimenti per imposte indirette. Rendendo così possibile la pianificazione fiscale, che presenta alcuni aspetti di convenienza grazie a esenzione di dividendi e plusvalenze di cui beneficiano i trust non commerciali. Oltretutto i costi per la realizzazione di un trust sono ragionevoli: anche di fronte a problematiche relativamente complesse, avvalersi di un buon professionista, in grado di cucire un abito su misura, costa da 15 a 30 mila euro. La gestione annua 10/15 mila euro Si capisce bene quindi il motivo della battaglia politica in atto, per limitare l’utilizzo del trust di diritto estero (l’unico attualmente disponibile) e mettere i bastoni fra le ruote a coloro che pensano di sfruttare la separazione patrimoniale in frode ai creditori (cosa che peraltro sta già facendo in modo coerente la giurisprudenza) o al fisco (e anche qui l’Amministrazione finanziaria non lascia scampo). La novità degli ultimi giorni è che alcune associazioni di professionisti sono scese in campo pubblicamente contro un uso elusivo del trust, per salvaguardarne la sua autentica funzione sociale. Marino Longoni PATRIMONI, CRESCE IL RICORSO AL TRUST - Cresce in Italia la domanda di trust. È un dato di fatto, confermato dalla relazione del governo alla Comunitaria per l’anno 2010, che nell’ultimo decennio la richiesta di consulenze attinenti ad operazioni fiduciarie sia in costante aumento, con particolare riferimento al trust. Uno strumento che, per la sua versatilità, si presta a regolare le relazioni economiche e patrimoniali tra le parti in una moltitudine di casi: dalla separazione del rischio dell’attività d’impresa ai rapporti tra coniugi, dal diritto successorio alla tutela dei soggetti diversamente abili. Uno strumento appetibile, ma che, allo stesso tempo, non essendo previsto né regolato dal diritto civile italiano, si presta anche a possibili utilizzi impropri. La crescente diffusione del trust, secondo gli operatori, è tuttavia prevalentemente dovuta all’accresciuta complessità giuridica ed economica della società, soprattutto per quanto riguarda le vicende familiari e di coppia, anche per quelle tipologie (coppie di fatto, persone dello stesso sesso) che vedono sbarrato l’accesso ad altri istituti di tutela. Ad ogni modo, professionisti e operatori si schierano all’unisono contro l’utilizzo improprio del trust. Chi utilizza il trust al solo scopo di eludere le imposte o frodare i diritti dei creditori, oltre ad esporsi alle possibili responsabilità del caso, non fa altro che fare cattiva pubblicità a un istituto che, sia per il fatto di essere mutuato da un sistema giuridico completamente diverso sia per il fatto di essere piuttosto complesso, ha fatto fatica (e in parte la sta facendo tuttora) a trovare una legittimazione piena nel contesto italiano. È quanto sostengono alcuni qualificati operatori del settore, interpellati da ItaliaOggi Sette, dopo che nei giorni scorsi è stata avviata un’azione a tutela dell’istituto del trust. L’Associazione «Il Trust in Italia» ha inviato un esposto al consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma e di Milano, nonché al garante delle concorrenza e del mercato, «affinché si adottino tutti provvedimenti urgenti e di rispettiva competenza al fine di tutelare l’istituto del trust contro le iniziative messe in campo da una nota società di consulenza milanese, molto attiva a promuovere i propri servizi in internet, che propaganda trust di protezione patrimoniale in maniera assolutamente impropria», si legge in una nota dell’associazione. Un’iniziativa mirata a salvaguardare il trust «sia dal punto di vista deontologico e di correttezza del messaggio promozionale, sia sotto il profilo di merito», commenta Maurizio Lupoi, presidente dell’associazione Trust in Italia. «Annunci che individuano nel trust lo strumento giuridico per raggiungere fini illeciti», si legge nell’esposto inoltrato dall’associazione, «non possono far passare il messaggio che il trust sia un contenitore buono per qualsiasi uso al riparo del quale si pongono beni dei quali si rimane di fatto proprietari. Questo è un assunto giuridicamente insostenibile, che purtroppo però, rivolgendosi a persone disperate, rischia di trovare ascolto (e ci risulta che questo sia avvenuto)». «Il trust consente di colmare lacune del diritto italiano per la protezione di interessi meritevoli che altrimenti rimarrebbero senza tutela», precisa l’associazione guidata dal professor Lupoi. «Ne sono esempi i frequenti trust per soggetti deboli, i trust inclusi nelle condizioni di separazione personale o di divorzio, i trust programmatori di una successione in azienda o nel patrimonio di una famiglia, i trust fra conviventi che non possono accedere al fondo patrimoniale, i trust in favore di ospedali, i trust disposti dai tribunali fallimentari per la chiusura di lunghissime procedure». A proposito di quest’ultima fattispecie, si contano già quattro provvedimenti autorizzatori del tribunale di Roma, così come si registrano casi di trust appositamente approvati dal giudice per realizzare forme di garanzia altrimenti non possibili (per esempio, per destinare il ricavato di una imminente compravendita alla estinzione di un debito verso un fallimento). «Questa diffusione dell’istituto», prosegue la lettera dell’associazione agli ordini forensi e all’Antitrust, «ha probabilmente creato l’impressione che con il trust si possa raggiungere qualsiasi risultato, in particolare la protezione del patrimonio di un debitore con illegittimo pregiudizio dei suoi creditori. Ove questo fosse possibile, la figura del trust ne uscirebbe distrutta. In realtà, questo non è possibile». Valerio Stroppa Uno strumento di per sé neutro «L’automobile è uno strumento molto utile, ma se guidata a 200 km all’ora in centro città può causare incidenti gravissimi». Con questa metafora Andrea Moja, avvocato e presidente Assotrusts (l’associazione costituita fra trustees aderenti alla Confedilizia con lo scopo di promuovere, in Italia e in Europa, l’uso e la conoscenza dell’istituto giuridico del trust), descrive gli utilizzi scorretti che possono essere fatti del trust. «Si tratta di un istituto relativamente nuovo, con meno di vent’anni di vita in Italia, e come tutte le novità necessita di regole che si devono stabilizzare», spiega Moja. «È fondamentale far passare il messaggio che non devono essere fatti utilizzi impropri, tuttavia il trust è di per sé neutro, come tutti gli altri strumenti che il diritto mette a disposizione degli operatori». Insomma, né più né meno rispetto ad altri contratti tipici. «Anche la compravendita o la donazione si prestano a utilizzi impropri, messi in atto in frode ai creditori o al fisco alienando o donando a un terzo un bene. È evidente che questi contratti, esattamente come i trust, non devono andare contro le norme imperative in ambito civilistico e quelle antielusive previste dal diritto tributario. Viceversa, gli effetti protettivi del trust possono essere facilmente disconosciuti dai giudici e dall’amministrazione finanziaria». Sulla stessa linea l’associazione «Il Trust in Italia», secondo cui «i trust interni non solo non si prestano a eludere la garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 del codice civile, ma sono sotto questo profilo più agevolmente attaccabili di quanto lo sarebbero i consueti negozi ai quali, in queste circostanze, fanno ricorso i debitori. L’associazione si è sempre mossa su questa linea: sostenere i trust che perseguono legittime finalità e neanche considerare tutti gli altri». È infondata, dunque, a giudizio delle associazioni rappresentative degli operatori di trust del nostro paese, l’equazione che alla presenza di un trust fa corrispondere un maggior rischio di illecito rispetto ad altre fattispecie più consolidate. La spiegazione di ciò, secondo Moja, è che il trust «proviene da un ordinamento di common law diverso dal nostro e in più è tecnicamente complesso, essendo un negozio astratto, senza causa tipica, che non rientra nelle categorie giuridiche tradizionali. Oltre a essere nuovo. Per tutte queste ragioni chi non lo conosce a fondo può scambiarlo per uno strumento di evasione, quando invece è un istituto utile a tutelare in maniera perfettamente legittima determinati soggetti, che altrimenti resterebbero senza protezione. Realizzarlo al solo scopo di risparmiare le imposte o di violare la par condicio creditorum è chiaramente una condotta censurabile e punibile».