Gaia Piccardi, Corriere della Sera 23/8/2010, 23 agosto 2010
I velocisti Livio Berruti e Wilma Rudolph s’innamorarono alle Olimpiadi di Roma del 1960. Racconta Berruti: «Alta, elegante, magnetica
I velocisti Livio Berruti e Wilma Rudolph s’innamorarono alle Olimpiadi di Roma del 1960. Racconta Berruti: «Alta, elegante, magnetica. Due occhi vivi e colmi di promesse. Un fluido ammaliante, dentro il quale immergersi». Si incontrarono al Villaggio Olimpico e fu un colpo di fulmine: «La Rudolph vorrebbe scambiare la tuta con te, Livio», gli dissero. Cinque minuti dopo la presentazione li fotografarono già mano nella mano. Nei giorni successivi seguirono incontri fugaci, ma non rimasero mai da soli: «C’erano sguardi lunghissimi, occhi negli occhi, perché da subito ci eravamo sintonizzati. Con le mani, che stringevamo appena potevamo, ci comunicavamo tutto ciò che le parole non esprimevano. Negli abbracci Wilma mi trasmetteva una magia e una volta le rubai un bacio a fior di labbra, fugace e rapidissimo, però i coach erano come cani da guardia, le trasgressioni non erano permesse e all’epoca vigeva una legge ferrea: mai sesso prima delle gare». Berruti aveva già pronto un piano da mettere in atto a Giochi finiti: «L’avrei invitata fuori a cena, immaginavo di portarla a Trastevere senza sapere che, a casa, aveva un figlio e un uomo, speravo che fosse lei a fare la prima mossa. Il mio inglese era scarsissimo. La mia esperienza con le donne, nonostante la tresca con la russa Tonya l’anno prima a Mosca, limitata. Dopo la cena, avrei chiesto qualche dritta a un taxista, quelli di Roma sono i più sgamati: ci porti in un hotel discreto, in fretta». Invece non accadde nulla: «Gli allenatori della squadra Usa, che ci seguivano ovunque, mi fecero capire che su Wilma aveva messo gli occhi un giovane pugile del Kentucky, che sarebbe stato meglio non infastidire per due motivi: perché era a Roma per vincere l’oro dei mediomassimi, e perché, se provocato, avrebbe potuto diventare aggressivo. Quel pugile che stava dietro a Wilma era Cassius Clay». La Rudolph, dopo aver vinto tre ori, fu rispedita subito in America: «Sparì dalla sera alla mattina, senza salutare. Mi sentii tradito, impotente. La vissi come una fuga, ma con il sollievo di non essere deluso. E se non ci fossimo piaciuti?». Conserva ancora, sotto naftalina, la tuta della Rudoplh: «Se ne occupa mia moglie Silvia, che l’accudisce senza gelosia. Nemmeno la Loren e la Lollobrigida mi stregarono così».