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 2010  agosto 30 Lunedì calendario

ROMA —

Dopo aver rimpianto «lo sciagurato scioglimento del Pci», condannato la sinistra «dispersa in mille rivoli inessenziali e disponibile a farsi nuovo fucile della borghesia». Dopo aver liquidato Nichi Vendola come «il nuovo caudillo populista di uno schieramento di sinistra liberista e bipolarista», Fosco Giannini, leader dell’Ernesto (corrente Prc), conclude la severa analisi con una giusta questione: «Compagni, come si può porre, oggi, la questione dell’esigenza sociale e storica del partito comunista?».

Già, come si può porre? E, soprattutto, dove sono finiti i compagni? Eliminata dal Parlamento, estromessa dal dibattito pubblico, emarginata dall’insostenibile leggerezza della modernità, la sinistra a sinistra del Pd resta pervicacemente affetta da frazionismo, malattia infantile (ma anche senile) del comunismo. La sua coperta di Linus è la falce e martello, la sua parola feticcio il comunismo. Gli unici a sdoganare l’XXI secolo sono stati quelli di Sinistra ecologia e libertà, capitanata dal «caudillo» Vendola. Non è un caso che ora si proponga come possibile leader di un nuovo centrosinistra, magari proprio del Nuovo Ulivo lanciato da Bersani. Poi c’è la Federazione della sinistra dei ben noti Ferrero (Rifondazione) e Diliberto (Comunisti italiani). Oltre, infuria la battaglia per conquistare un lembo della cortissima coperta.

Francesco Ricci, per esempio, è indignato. A nome del microscopico Pdac, Partito di alternativa comunista (Progetto comunista) — nato per scissione dal Prc di una parte della corrente trotskista Associazione marxista rivoluzionaria-Progetto comunista — se la prende con i centristi. L’Udc, però, non c’entra. Ce l’ha con Plc e Sc, «due organizzazioni centriste, che oscillano tra pratica riformista e dichiarazioni rivoluzionarie». Dove il Plc — «un partito lasso, menscevico» — è il partito comunista dei lavoratori-Crqi di Marco Ferrando, che non si fa mancare l’Organizzazione comunista alternativa proletaria come componente interna. E Sc è Sinistra critica, che si definisce «ecologista, comunista e femminista» e ha tra i portavoce una vecchia conoscenza della sinistra riformista, Franco Turigliatto, coltivatore di rose ma soprattutto noto come un «cecchino» del secondo governo Prodi.

Curiosare su siti e forum dà una leggera vertigine. Trovi il Pdac che rievoca i 70 anni dell’assassinio di Trotsky, attacchi «ai revisionisti della Federazione della sinistra», cenni ad Andropov, alle «elezioni borghesi», alle «manovre padronali». Il Pdac ha il solito «Comitato centrale», ma anche una «Commissione di morale rivoluzionaria». Il sito dell’Ernesto inneggia ai comunisti giapponesi, 400 mila iscritti: «Si avvalgono di un tenace lavoro militante, che si accompagna a ricerca teorica, perseguimento dell’unità ideologica e senso della disciplina».

Doti non molto diffuse nella sinistra nostrana, come spiega Piero Sansonetti, che questi lidi li ha frequentati a lungo: «Già a 17 anni mi lodavano i giapponesi del Zengakuren, giovani compagni che erano oltre Mao. Io già allora ridevo, perché oltre Mao non riuscivo ad andare». Per Sansonetti questa sinistra non ha più senso: «È solo folklore. È demenziale pensare di rifondare il comunismo nel 2010. Questa è gente che invece di fare la fatica di rimettersi a pensare, come ha fatto Vendola, continua ad affidarsi a falce e martello».

Non è d’accordo, ovviamente, Marco Rizzo che, espulso dal Pdci per aver adombrato amicizie piduiste per Oliviero Diliberto, ha fondato nel 2009 i Comunisti Sinistra popolare, che si propone come «lobby morale». E non è d’accordo il trotzkista Ferrando, 210 mila voti nel 2008: «È vero, di clan e partitini comunisti ce ne sono molti, ne potrei citare altri 50. Ma pochi hanno consistenza elettorale. L’anticapitalismo è ancora più attuale oggi che ai tempi di Marx, altro che reducismo. E se la sinistra radicale è in difficoltà è perché paga la politica governista del Prc, per anni appendice dei partiti dominanti».