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 2010  agosto 29 Domenica calendario

IL RIFUGIO DELLA MARCHESA

L’isola dei festini proibiti
Nella villa di Zannone, tra i ricordi dei Casati Stampa
LA STORIA
SAN FELICE CIRCEO (Latina) — Quando quella foto della marchesa Anna, scattata sull’esclusiva isola di Zannone, fece il giro dei quotidiani e dei settimanali, la soglia del comune senso del pudore ebbe un abbassamento verticale. Gli italiani, che a dicembre avrebbero vista approvata la legge sul divorzio, non si erano ancora riavuti dallo choc per l’arresto di Walter Chiari, incarcerato ingiustamente per tre mesi con l’accusa di uso di cocaina, che subito dovettero familiarizzare con una storia di libertà sessuale spinta agli estremi: un discendente delle più antiche famiglie lombarde, titolare di uno dei maggiori patrimoni, organizzava orge con la seconda moglie, Anna Fallarino, ex modella e soubrette di modeste origini beneventane, che aveva recitato per pochi secondi accanto ad Antonio De Curtis, in «Totò Tarzan».

Il marchese Camillo, Camillino per gli amici, Casati Stampa di Soncino, provava il massimo piacere a vedere la consorte unirsi in amplesso con altri uomini, mentre lui fotografava. Un ménage culminato, esattamente quarant’anni fa, nel duplice omicidio e suicidio nel superattico di via Puccini a Roma, quando Camillo uccise a fucilate, con un Browning calibro 12 caricato a pallettoni, la moglie e il giovane Massimo Minorenti, studente iscritto a scienze politiche senza molto profitto, militante del Msi, che si vantava di aver avuto una relazione con la pantera nera della tv, Lola Falana, e che agli occhi del marchese aveva la colpa di essersi ribellato al ruolo di marionetta innamorandosi della bella Anna. Poche ore dopo che Camillo Casati Stampa aveva fatto fuoco sulla moglie e sul giovane amante e che si era ucciso con un altro colpo di fucile, la sera del 30 agosto 1970, dai cassetti emersero 1.500 foto che documentavano gli audaci costumi sessuali e un diario, rilegato in pelle verde, in cui il marchese annotava nomi, circostanze, luoghi, prestazioni, sensazioni, prezzo pagato a soldati, marinai, studenti, camerieri per farli giacere con Anna.

Uno dei luoghi degli incontri era la villa di Zannone, l’isola nell’arcipelago del Circeo, diciotto miglia marine a Sud del porto di San Felice, che dal 1979 è inserita nel Parco Nazionale del Circeo e che dagli anni Venti era stata data in concessione alla famiglia Casati come riserva di caccia. Camillino si vantava di tener lontano i turisti a suon di fucilate, oggi l’isola disabitata è visitabile di giorno, ma il pernottamento è vietato. Vi siamo arrivati scortati da una comitiva di naturalisti con il presidente dell’ente parco, Gaetano Benedetto, Enrico Romito, ricercatore della Pangea, e l’ispettore della Forestale Ignaz Reichegger, conoscitore di ogni angolo degli oltre cento ettari dell’isola in cui la natura regala emozioni fortissime, perché è una delle piattaforme preferite dagli uccelli migratori prima di riprendere la loro lunga corsa, ma anche perché ogni sasso sembra ancora grondare di una storia dolorosa e torbida.

Doppiato Capo Negro, dove accanto al vecchio faro accorrono due mufloni, si attracca nella località Varo, vicino alla pescheria romana dove la bella Anna Fallarino in Casati Stampa si fece riprendere dal marchese in quella posa discinta, simbolo del rinnovato mito della maga Circe mangiatrice di uomini. Un sentiero scavato nella roccia dai monaci benedettini che coraggiosi si insediarono a Zannone nel VI secolo dopo Cristo, costeggiato da piante di mirto, lentisco, erica, cisti, fillirea, corbezzolo, ginestra, lavandula, euforbia arborea, conduce in una sinfonia di profumi all’abbazia benedettina, o meglio alla villa che i Casati vi hanno costruito sopra. Una dozzina di stanze di un edificio su due piani che dalla sommità di questo grande scoglio domina il mare. I due terrazzi offrono una vista mozzafiato sulle isole vicine, Ponza e Palmarola. L’edificio di due piani, utilizzato sino a due anni fa dalle guardie forestali, ma ora inagibile, è rimasto sostanzialmente quello abitato da Camillino Casati e Anna Fallarino: al pian terreno un terrazzo, un enorme soggiorno e una grande cucina, costruita sopra una delle cisterne che i benedettini avevano scavato per la raccolta dell’acqua piovana. Al secondo piano cui si accede attraverso una scala di ardesia con civettuola ringhierina nera e rossa le stanze da letto che danno su una grande loggia. Alcune stanze sono comunicanti: testimoni raccontano che al posto delle porte ci fossero enormi falsi specchi da cui i marchesi potevano vedere gli amplessi degli ospiti.

Di certo in quella villa si amoreggiava e soprattutto di beveva molto e bene: Ignaz Reichegger racconta che con i suoi collaboratori durante un’opera di bonifica ha raccolto trenta metri cubi di cocci di bottiglie, quasi tutti d’origine francese. Attraversando un sentiero ombroso che conduce al faro e a una spiaggia, ogni angolo è un invito alla sosta. Difficile dire dove Mariateresa Fiumanò, cugina e confidente di Anna Fallarino che ha scritto il libro «La marchesa Casati» (edizioni Anordest), vide le quattro coppie di scambisti che la indussero scandalizzata a fuggire dall’isola il 15 agosto 1970, pochi giorni prima della tragedia. Ora il problema che si pone all’ente parco è come sfruttare questo patrimonio unico. L’idea del presidente Benedetto è di ristrutturare la villa e farne un rifugio aperto come quelli di alta montagna. Occorrono non meno di 1,6 milioni. Forse troppi di questi tempi.

Dino Messina
29 agosto 2010
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