Marco Magrini, Il Sole 24 Ore 28/8/2010, 28 agosto 2010
SUGLI «EXOPIANETI» LA NASA ALZA LA POSTA
Mentre celebra i successi del satellite Kepler (messo in orbita un anno fa per cercare nella galassia altri pianeti come la Terra), la Nasa pensa già ai satelliti e agli strumenti del futuro. Insieme alla National Academy of Science, l’agenzia spaziale americana ha appena redatto il Decadal Survey che, come dice il nome, è un rapporto pubblicato ogni dieci anni, raccogliendo i suggerimenti della comunità scientifica sugli investimenti da mettere in cantiere per il lungo periodo. O, se volete, i progetti da sottoporre allo Zio Sam per ottenere i necessari finanziamenti.
La questione è sempre più delicata. Da un lato, Washington deve tenere d’occhio la voragine del deficit federale. Dall’altro, non vuole certo abdicare alla supremazia spaziale e scientifica che - dai tempi dello Sputnik, il satellite russo che mise i brividi all’America è diventata parte integrante della geopolitica. O, se volete, dell’astropolitica.
In poche parole, l’ultimo Decadal Survey - intitolato «Nuovi mondi, nuovi orizzonti nell’astrofisica e nell’astronomia - raccomanda tre priorità: gli exopianeti (ovvero quelli fuori dal sistema solare, come i due curiosi pianeti "multipli" annunciati due giorni fa dalla Nasa), la formazione delle prime strutture nell’Universo e la fisica che ha governato la sua evoluzione.
«Nel Decadal Survey di dieci anni fa - commenta Claire Max, un’astronoma dell’Università della California e membro del comitato che ha fatto le raccomandazioni – di exopianeti quasi non si parlava e l’energia oscura non veniva menzionata. In ballo, ci sono un sacco di cose nuove». L’energia oscura è l’ipotetica forma di energia che, si teorizza, contribuisce ad aumentare il tasso di espansione dell’Universo. La chiamano oscura perché non si vede e non si rileva. Ma è un passaggio fondamentale per sciogliere i restanti rebus dell’astrofisica.
Quanto agli exopianeti, è perfino naturale che siano diventati di moda: in un mese mezzo di osservazioni, Kepler ha trovato 706 possibili candidati. Quelli bizzarri annunciati due giorni fa, con un interazione gravitazionale fra di loro, sono solo gli ultimi.E intanto anche l’Eso europeo è sulle stesse tracce: col suo spettrografo in Cile, ha trovato un sistema solare con 5, forse 7, pianeti. Chi troverà per primo una Terra ( ovvero un piccolo pianeta alla distanza giusta da una stella come il Sole) farà bingo: sappiamo già in anticipo che sarà un evento miliare, nella storia del genere umano.
Kepler sta dando delle belle soddisfazioni, ma è costato 600 milioni di dollari. Quanto costerà salire al prossimo livello, nella caccia alle nuove Terre raccomandata dal Decadal Survey? Certo non noccio-line: un miliardo e seicento milioni di dollari.
Il Wide-Field Infrared Survey Telescope (Wfirst, in sigla) viene giudicato il passo necessario, dopo Kepler. Innanzitutto, perché consentirebbe di dare risultati in tutte e tre le priorità di ricerca prescritte dal Survey. E poi perché, se i costi fossero quelli, non sarebbe granché: il celeberrimo Hubble è costato, incluso il lancio, 10 miliardi di dollari. E il James Webb Telescope, che la Nasa dovrebbe inaugurare nel 2014, ne costerà cinque.
Ma il Wfirst non è l’unica proposta dasottoporre all’amministrazione Obama. Gli scienziati suggeriscono di considerare anche un upgrade per l’osservatorio Chandra, con l’International X- ray Observatory (5 miliardi da finanziare fifty-fifty con l’Esa, l’agenzia spaziale europea). E anche progetti a terra, come il Large Synoptic Survey Telescope – capace di scansire l’intero cielo ogni tre giorni - da costruire in Cile con 460 milioni d’investimento e un budget di 40 milioni all’anno.
L’Europa, a suo modo, insegue. La Russia è un po’ in ribasso e la Cina ha le sue brave ambizioni. Ma l’America non rinuncerà alla supremazia scientifica e tecnologica nello spazio. È una precisa questione di astropolitica.