MARINELLA VENEGONI, La Stampa 28/8/2010, pagina 35, 28 agosto 2010
I migliori Beatles della nostra vita - Sarà davvero, come dice qui sotto Franco Battiato, che le classifiche sono un fenomeno estivo per perdere tempo
I migliori Beatles della nostra vita - Sarà davvero, come dice qui sotto Franco Battiato, che le classifiche sono un fenomeno estivo per perdere tempo. Ma quella che fa discutere in questi giorni - le dieci migliori canzoni dei Beatles - esce da un quindicinale di provata e storica esperienza in campo musicale, Rolling Stone, in una edizione speciale da collezione tutta sui Fab Four. Il problema è che questa Top Ten è a dir poco stravagante, manca di (quasi) tutti i caposaldi del gruppo, e indica come canzone più bella in assoluto A Day in The Life, che onestamente avrà pure una melodia accattivante, ma è lungi dal poter esser considerata «Il» capolavoro; se poi si guarda al n.2, I Want to Hold Your Hand, siamo sempre nel campo delle cose gradevoli, senza però strapparci i capelli (Battiato è assai più crudele); almeno, al n.3. e al 4 Strawberry Fields e Yesterday (certo un po’ consumate dall’uso) già rientrano fra le indimenticabili, come pure la più nascosta In My Life al quinto posto, seguita da Something una delicata prova d’autore di George Harrison che ritroviamo pure al decimo posto con While My Guitar Gently Weeps. La sospetta presenza di Harrison come autore, ci fa intuire che trattasi di una classifica «politica», con pretese onnivore, che mette in fila i tre autori della mitica band: come si sa, nei Beatles chi cantava la parte principale del testo era senza dubbio l’autore del brano, e a far i conti in questo elenco ci ritroviamo in un equilibrio che farebbe invidia a Montecitorio. A Day in the life è cantata da Lennon-McCartney, prova provata che la scrissero davvero lavorando insieme (e chissà se il primo posto è un omaggio indiscriminato agli autori). Ma seguendo il ragionamento, ci sono nella Top Ten quattro canzoni cantate da Lennon (e dunque di Lennon: la n.2, la 3, la 5 e la 9 Come Together), seguite da tre di McCartney (la 4, la 7 Hey Jude e la 8 Let it Be) e due appunto di Harrison. Meglio, un manuale Cencelli non avrebbe saputo fare: più che un omaggio all’arte dei Fab Four, l’elenco è un tributo alla loro storia e alle loro personalità; non a caso manca del tutto il povero Ringo Starr, che cantò solo in Yellow Submarine. Ciascuno di noi avrebbe potuto aggiungere - senza sfigurare - qualche titolo migliore dei prescelti, fra i più di duecento che hanno segnato la carriera dei Liverpoodiani: in un periodo di tempo alquanto breve, durato dal 1962 al 1969, ma che segnò il mutamento culturale che rese irresistibili i Sessanta, anche perché essi incisero immediatamente sulla propria epoca nel costume e negli stili di vita. Cosa impensabile oggi. L’impressione è che, da quella storia breve e cruciale, i compilatori della classifica abbiano estratto brani per ogni periodo, da quello fresco e frizzante dei primi tempi, di I Want to Hold Your Hands (ma allora non era meglio She Loves You?), al più complesso periodo di mezzo di A Day in the Life, fino alla parabola un poco decadente di Let it Be. Comunque sia, ci sarà da discutere per anni (e bisogna riscriverla da capo, questa classifica).