Salvatore Cannavò, il Fatto Quotidiano 28/8/2010, 28 agosto 2010
ALTRO CHE CURA MARCHIONNE LA RINASCITA DI VOLKSWAGEN
La Fiat sembra faticare non poco nel trovare un suo equilibrio per fronteggiare la crisi dell’auto. Ma in Europa un’altra casa come la Volkswagen viaggia decisamente con una marcia in più, scalando la classifica dei costruttori mondiali e ponendosi l’obiettivo di divenire il primo marchio al mondo nel 2018. Ad oggi al primo posto, dati 2009, c’è la Toyota con 7 milioni, 234 mila vetture prodotte, seguita da General Motors (6,5 milioni) e dalla Volkswagen (6 milioni). La Fiat è nona con 2 milioni, 460 mila auto prodotte. Vista la crisi di GM ci sono però molte aspettative che la Volkswagen possa balzare al secondo posto già nel 2010. Un confronto con quest’ultima si impone.
La prima cosa che salta agli occhi è l’articolazione produttiva delle due aziende: la Vw produce oltre un terzo delle sue vetture in Germania (35 per cento) e il 59 per cento in Europa. Il resto è sostanzialmente in America latina (Brasile) e in Cina dove produce il 20 per cento delle proprie vetture. Anche la Fiat produce circa un terzo in Italia (30 per cento, meno della Germania), come in Brasile, ma solo il 3 per cento in Cina. Considerando che secondo tutte le analisi il mercato dell’auto volge da quella parte – la Cina è già il primo Paese al mondo per produzione di auto – la differenza non è irrilevante.
Quando il sindacato
partecipa
CON UNA TESTA così forte in casa e in Europa la Volkswagen si serve facilmente della “politica” e del modello capitalistico “renano” basato su coinvolgimento e partecipazione alle sorti dell’impresa. Questo modello in Volkswagen passa per la specificità di un governo regionale, la Bassa Sassonia, azionista al 14 per cento (macondirittidivotoparial20per cento) nel capitale dell’azienda in cuipossiedeancheundirittodiveto sulle scelte strategiche. Ma passa anche per la cosiddetta Cogestione (Mitbestimmung) che vede la presenza dei sindacati nel controllo delle aziende. Il processo nasce nel1976attornoaunariformache prevedeva due organi per le imprese: un Consiglio esecutivo e un Consigliodisorveglianzaincuiilavoratori avevano diritto a eleggere la metà dei rappresentanti. Nel 2001 c’è stata una parziale modifica, che ha reso i consigli di sorveglianza obbligatori in un numero maggiore di imprese (da 300 a 200 dipendenti) e conferendo ai lavoratoripiùdirittidicontrollosu formazione,sicurezza,ambientee pari opportunità. Il Mitbestimmung ha avuto un ruolo non secondario nel permettere alla Volkswagen di affrontare la crisi acuta del 2001-2004, quando sembrava dovesse licenziare circa 30 mila operai. La Fiat, in quel periodo sprofondava nei debiti con le banche (risolto grazie all’ingresso di quest’ultime nell’azionariato), provava la fusione con General Motors, che però falliva (regalando al Lingotto due miliardi di euro), e avrebbe messo fuori dagli stabilimenti, nell’arco di un decennio, circa 20 mila dipendenti.
I sacrifici
dei dipendenti
IN GERMANIA azienda e sindacati arrivarono a un compromesso particolarmente audace – e tutto sommato favorevole all’azienda. I sindacati, infatti, accettarono di congelare gli stipendi per 28 mesi in cambio del mantenimento dell’occupazione. Alla fine uscirono comunque 5000 operai ma senza licenziamenti, solo con pensionamenti e prepensionamenti. Inoltre, la Volkswagen inaugurò il modello “5000x5000” cioè l’assunzione di 5000 nuovi operai a un salario più basso del 20 percentorispettoaglialtrioccupati. Una mossa che fece discutere a lungo la IgMetall, il potente sindacato metalmeccanico, ma che fu possibile solo perché “5000” stava per marchi tedeschi pari a circa 2500 euro e grazie all’impegno a un massiccio piano di investimenti (effettivamente realizzato). Nel 2006 il sindacato ha ottenuto comunque un aumento del 3 per cento di quello stipendio e nel 2008 i dipendenti “5000x5000” sono stati integrati al pari degli altri, anche se nel 2006 la settimana lavorativa, ridotta a 28,8 ore nel 1994, tornò a 34 ore consentendo alla Volkswagen di incassare una riduzione eccezionale del costo del lavoro e un formidabile aumento di produttività. Nel frattempo a Torino, dal 2004, era arrivato un nuovo amministratore delegato Sergio Marchionne. In quegli anni lanciava la nuova 500, rispolverava il marchio Alfa, lavorava sull’immagine. Ma tagliava anche 7000 posti di lavoro – con balzo degli utili nel 2007 – annunciava la chiusura di Termini Imerese, avviava la produzione in Serbia con conseguente minaccia per lo stabilimento di Mirafiori. Infine, in questi ultimi mesi, l’annuncio di 20 miliardi di investimenti in cambio di più produttività, innescando lo scontro con i sindacati.
Inseguendo
la produttività
E’ PROPRIO il differenziale di produttività che salta agli occhi nel confronto con i tedeschi: Vw produce con gli stessi dipendenti quasi un milione in più di vetture nelcorsodicinqueannimentrela Fiat sprofonda. Ma la responsabilità della scarsa performance del Lingotto è davvero degli operai che non vogliono lavorare? Un rapporto del Centro studi della Cameradellascorsalegislaturaindica altri problemi. L’industria italiana nel suo insieme soffre di una dimensione troppo piccola (8,7 addetti medi per impresa, un terzo di quello rilevato in Germania) e se questo nel passato aveva rappresentato una forza, in tempi di globalizzazione diventa una debolezza (come ha spiegato il ministro dell’Economia Giulio Tre-monti qualche giorno fa a Rimini); ai problemi “dimensionali” si collega la “difficoltà dell’impresa italianaaun’adeguataattivitàdiricerca e innovazione”.
Questione di
modelli (e idee)
ANCHE SUL FRONTE dei modelli le cose non vanno per il meglio. La Golf Vw è la macchinapiùvendutainEuropaseguita amoltadistanzadallaPunto.Volkswagen è attiva in tutte le fasce ma eccelle in quella media e alta del mercato, che ha il più alto valore aggiunto. La Fiat si affida al successodella500(vendutacon un prezzo interessante per l’azienda) e l’economica Panda . Tra l’altro, nel 2009, il più noto dei “Marchionne’s boys” che avevano risollevato la Fiat, contribuendo al rilancio dei marchi, Luca De Meo, se ne è andato a lavorare proprio alla Volkswagen, si dice dopo una rottura con lo stesso Marchionne.
E’opinionediffusa,Marchionne lo ripete sempre, che in questa fase possano sopravvivere solo i gruppichecontanolevenditein milioni, non in centinaia di migliaia. E quindi serve la massima attenzione al prodotto. Le case europee hanno quindi lavorato su questo contestualmente a un processo di fusioni ed espansioni (Peugeot-Citroen, Renaul-Nissan, Volkswagen-Porsche-Suzuki). Fiat ha deciso di essere preda e non predatore in questo consolidamento, mettendo le mani sulla più piccola delle Big Three di Detroit, la Chryslet (poco più di 900 mila vetture nel 2009). Ma l’ obiettivo fissato da Marchionne, 6 milioni di vetture venduteogniannonelmondo,è ancora molto lontano.