Eduardo Di Blasi, il Fatto Quotidiano 28/8/2010, 28 agosto 2010
IL FATTO E SCHIFANI L’INCHIESTA LUNGA UN ANNO
Ombre. La seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Renato Schifani, si dice pronto a fugarle, dopo che una di queste gli è stata gettata addosso da Gaspare Spatuzza ‘u tignusu, boss di Brancaccio, un tempo braccio dei fratelli Graviano, reggenti della zona, e oggi pentito ritenuto attendibile dalle procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo. Un’accusa terribile, quella lanciata dal collaboratore di giustizia nello scorso ottobre: l’allora avvocato palermitano sarebbe stato il tramite che avrebbe messo in contatto Marcello Dell’Utri e i due fratelli, Filippo e Giuseppe Graviano. Ai magistrati fiorentini, Spatuzza avrebbe raccontato delle vecchie clientele dell’avvocato con alcuni costruttori edili legati al mafioso palermitano Stefano Bontade, il “principe di Villagrazia” ucciso dai corleonesi nella primavera dell’81 durante la “seconda guerra di mafia” che vide la vittoria dei “viddani”, Luciano Liggio, Totò Riina e Bernardo Provenzano, sui mafiosi di città.
OMBRE. Che l’Espresso e il Fatto Quotidiano hanno contribuito a far conoscere alla pubblica opinione. E che il diretto interessato, Renato Schifani, adesso intenderebbe chiarire. “L’ipotesi formulata dal settimanale l’Espresso, sulla scorta di non riscontrate né riscontrabili dichiarazioni che avrebbe reso Gaspare Spatuzza, è priva di ogni fondamento e del tutto fantasiosa”, attacca una nota di Eli Benedetti, portavoce del Presidente del Senato. “È di dominio pubblico infatti che l’inizio del suo impegno politico-parlamentare risale al 1996 data della sua prima elezione a senatore della Repubblica, per cui soltanto successivamente alla stessa ha avuto modo di conoscere i vertici nazionali del partito ed il Presidente Berlusconi. Da politico siciliano – ricorda ancora il portavoce – il Presidente Schifani si è sempre battuto, con onestà etica e politica, per l’adozione di leggi di rigore contro la mafia. Ne sono testimonianza ad esempio la stabilizzazione del 41 bis, avvenuta su suo specifico impulso nel 2002, e il recente rafforzamento della norma sul sequestro dei patrimoni mafiosi. Norme che hanno permesso di infliggere colpi durissimi alla criminalità organizzata”. Fuori dalla retorica, però, Schifani “assicura fin d’ora comunque la massima disponibilità con l’autorità giudiziaria qualora decidesse di occuparsi della questione ed è certo che tali eventuali verifiche, ove necessarie, saranno svolte in tempi brevi al fine di pervenire ad una immediata definizione della vicenda”. La seconda carica dello Stato precisa anche che “la sua pregressa attività di avvocato è stata sempre improntata al pieno e totale rispetto di tutte le leggi e di tutte le regole deontologiche proprie dell’attività forense”. E certo, è un passo avanti, che non può che essere accolto da Il Fatto Quotidiano, come una notevole inversione di tendenza. Da mesi, infatti, il nostro giornale racconta la cronaca di quegli anni e chiede alla seconda carica dello Stato di sgomberare il campo dagli equivoci che in terra di Sicilia, luogo certamente non facile per chi ha a che fare con la politica e gli affari, lo hanno visto in contatto con nomi chiacchierati.
SCHIFANI fu ad esempio avvocato di Pietro Lo Sicco, successivamente condannato per mafia, che costruì un palazzo abusivo a Palermo, stabile che fu anche abitato da Giovanni Brusca, l’uomo che azionò l’ordigno a Capaci. Una storia incredibile, che Marco Lillo scrisse nel novembre scorso, sperando in una reazione da parte dell’interessato e delle forze politiche. Chiedendo trasparenza, anche sugli altri incroci a rischio della vita del Presidente di Palazzo Madama. La risposta arrivò un mese dopo: il 4 dicembre del 2009, l’avvocato Claudio Scognamiglio scrive alla nostra redazione informandoci di un’azione civile intrapresa da Schifani contro questo giornale e richiedendo la cifra di 720mila euro per diffamazione.
Ieri, intanto, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianfranco Miccichè, postulava in difesa dell’amico siciliano: “Schifani l’ho presentato a Berlusconi nel 1996. Quindi, mi chiedo: come può essere stato protagonista dei fatti a lui addebitati?”. Ribatteva a stretto giro Leoluca Orlando (Idv): “Dopo la smentita di Schifani, pure Miccichè prende le distanze dal Presidente del Senato, chiarendo – excusatio non petita – di aver presentato Schifani a Berlusconi solo nel 1996. Nessun commento alla presa di distanze del suo compagno di partito”.