Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 28/8/2010, 28 agosto 2010
L’ODORE DEI SOLDI
Soldi. È questa la risposta a tutte le domande sul perché l’Italia e il governo siano disposti a tollerare tutte le bizzarrie e le esigenze dell’ex terrorista Muhammar Gheddafi, da oggi in Italia (con due giorni di anticipo). La “guida della rivoluzione”, come gli piace essere chiamato, si porterà anche 30 cavalli libici. Ma anche questo gli è concesso nel nome di un flusso di denari che scorre tra i due Paesi e che negli ultimi due anni, dopo la firma del cosiddetto Trattato dell’amicizia, è aumentato a dismisura.
La grande
partita petrolifera
LA PARTITA più grossa è quella dell’Eni. La società petrolifera italiana è l’attore chiave delle relazioni tra Italia e Libia, dove estrae oltre 800mila barili di petrolio al giorno. Il 6 dicembre 2008, con una prassi assai inusuale, la presidenza del Consiglio dei ministri annuncia in una nota che la Libia vuole usare le società finanziarie controllate dal governo per comprare il 10% dell’Eni. Era già chiara anche la tempistica: una prima operazione per salire al cinque per cento, una seconda per arrivare all’8 e infine il passaggio al 10%. Poi le oscillazioni delle Borse hanno impedito di procedere,troppe incertezze. I tempi, però, potrebbero ora essere maturi: nelle scorse settimane è circolata la voce – non smentita – secondo cui dentro l’Eni si starebbe discutendo su un investimento libico di addirittura il 15%, con tutte le conseguenze diplomatiche e strategiche che comporta avere un azionista (il secondo più forte dopo il Tesoro) così ingombrante. Perché Gheddafi, quando tratta con l’Italia, ci guadagna sempre: l’Eni, per lavorare in Libia, deve versare tasse salate e una serie di contributi come i 150 milioni di dollari che ha stanziato per un progetto di formazione di ingegneri libici che poi verranno assunti proprio dall’Eni.
La prova generale
su Profumo
MA QUELLA energetica è una partita molto delicata, quindi, per ora, Gheddafi fa le prove generali con l’Unicredit. Dopo essere corsi in soccorso dell’istituto guidato da Alessandro Profumo nel suo momento più nero, l’autunno 2008 del fallimento di Lehman Brothers, nelle scorse settimane la Lybian Investment Authority (un fondo sovrano governativo con dotazione di 50 miliardi di euro da investire) è salita dal 2 al 7,05%. Il legame con l’Unicredit dura da 13 anni, quando la Libia entrò in Capitalia, ora confluita in Unicredit. “I libici? Sono stati azionisti collaborativi, i migliori che abbia mai avuto”, ha detto nei giorni scorsi Cesare Geronzi, oggi presidente delle Generali ma all’epoca numero uno della banca romana. L’avanzata libica in Unicredit non è piaciuta molto ai leghisti, che dopo il successo alle elezioni regionali speravano di influenzare le politiche creditizie della banca (tramite le nomine giuste nelle fondazioni bancarie azioniste da parte degli enti locali). Invece che concentrarsi su Veneto e Lombardia, Unicredit ha ora ottenuto la licenza per aprire uno sportello bancomat a Tripoli. La Banca d’Italia osserva inquieta e ha chiesto a Profumo, per il futuro, di avere costanti aggiornamenti sulle mutazioni dell’assetto azionario.
Aerei, cavi
e musei del leader
BASTA SCORRERE le note dell’Ice, l’Istituto del commercio estero, per capire che tutti i grandi gruppi italiani hanno ottime ragioni per guardare con simpatia al leader libico, dimenticando i suoi trascorsi da finanziatore del terrorismo e intermediario nel business dell’immigrazione clandestina. La Sirti, storica società italiana di infrastrutture per le telecomunicazioni, si sta occupando di piazzare 7mila chilometri di cavi in fibra ottica, un affare da 68 milioni di euro. Nello stesso settore è attiva la Prysmian, quel che resta del settore cavi di Pirelli, che ha un contratto da 35 milioni di euro con la Libya General Post and Telecommunications Company.
Ma sono pochi spiccioli in confronto a un appalto da un miliardo di euro vinto nel 2008 da Impregilo percostruire tre centri universitari. La Agusta-Westland, del gruppo Finmeccanica, fornisce elicotteri e formazione per imparare a guidarli. E anche il culto della personalità del leader può diventare fonte di business: il gruppo di costruzioni Co.Ge.L era stato coinvolto nel progetto per la realizzazione di un museo dedicato a Gheddafi, a Tripoli. L’affare non ha portato fortuna alla società che, dall’estate 2009, è in liquidazione.
La riabilitazione (americana ed europea) di Gheddafi, quindi, si è rivelata un ottimo affare. Ma il colonnello ha quasi 70 anni. Non durerà per sempre. Ma per la successione si affaccia il superliberista Seif Al-Islam Gheddafi e con lui le cose potrebbero anche migliorare per le aziende italiane.