Fabio Pavesi, Plus24 28/8/2010, 28 agosto 2010
LA LEZIONE PER LE BANCHE DAI FALLIMENTI ANNUNCIATI
Dici crack e tutti vanno con il pensiero ai dissesti della Parmalat o della Cirio. Ma quest’anno lo sforzo di memoria non è necessario. Uno dopo l’altro il mercato ha assistito ai fallimenti di Burani , di Viaggi del Ventaglio e della vecchia Snia .
Insieme fanno circa un miliardo di denari bruciati da parte delle banche. D’altronde c’è poco di cui stupirsi. La grave crisi finanziaria mondiale e la conseguente stretta sul credito ha fatto saltare chi per molti, troppi anni aveva fatto del debito la sua ragione di vita.
Al di là dei comportamenti dolosi e truffaldini che hanno portato in carcere Giovanni e Walter Burani, è venuto al pettine un nodo essenziale: di troppo debito prima o poi si muore se i flussi di reddito prodotti dalla società anziché crescere si inaridiscono. È vero per Mariella Burani; è accaduto lo stesso per i Viaggi del Ventaglio e il copione è analogo per quanto riguarda Snia. Il caso di Burani è illuminante.
Gran parte delle accuse di bancarotta fraudolenta riguardano i trucchi contabili messi in atto per abbellire i bilanci del gruppo e la folle movimentazione del titolo da parte della famiglia allo scopo di tenere alti i prezzi di Borsa. Più alto è il valore del titolo, più debito ulteriore puoi chiedere alle banche; più sono alti i tuoi margini di nuovo più denaro puoi chiedere alle banche. Il giochino perpetrato per anni dai Burani era questo, come l’inchiesta della Procura di Milano, condotta dai Pm Luigi Orsi e Mauro Clerici ha dimostrato. Ebbene quei bilanci puzzavano di artefatto da molto lontano. I Burani compravano e vendevano marchi, pezzi di aziende e facevano figurare il tutto tra i ricavi come proventi straodinari. Ma come anche un ragioniere di provincia sa, quei ricavi e quei margini non sono riproducibili all’infinito e quel che conta è la capacità di generare reddito dal business tipico dell’azienda. In più molti di quei ricavi, come ha documentato la Procura erano fittizi per svariate decine di milioni. Ebbene se i bilanci di Mariella Burani Fashion Group fossero stati depurati da quella girandola di operazioni finanziarie, si avrebbe avuto il quadro di un gruppo in palese crisi di redditività industriale già dal 2006, in tempi certo non sospetti. Il margine lordo così come il fatturato, come ha ricostruito «Plus24» nel febbraio 2010, appaiono ampliati nel triennio 2007-2009 da partite straordinarie, per lo più plusvalenze che gli ammini-stratori appostavano alla voce altri proventi del conto economico, assimilandoli ai ricavi caratterisitici. Il Mol, se depurato, come farebbe qualsiasi analista, da queste componenti risultava dal 2007 sempre più negativo così come il reddito operativo. E l’autofinanziamento disponibile era in rosso già dal 2006. Ecco il trucco dei Burani: abbellire artificiosamente i bilanci per alterare la realtà di un gruppo incapace di ripagare i prestiti.
Prestiti al raddoppio
Ma se è così cosa doveva avvenire? Che i sindaci e i revisori dovevano segnalare l’anomalia (cosa non successa) e soprattutto le banche dovevano drizzare le antenne. Invece è accaduto il contrario. Le banche hanno aumentato l’esposizione di un gruppo in manifesta difficoltà concedendo nuovi prestiti: dai 257 milioni del 2007 agli oltre 500 milioni a fine 2008. Si dirà che gli istituti sono stati tratti in inganno dai trucchi contabili architettati da Giovanni Burani e il padre. Può essere in parte vero, ma come insegnano all’università va monitorata la gestione ordinaria di un’impresa tolte le partite straordinarie per capire se sarà in grado di rimborsare i prestiti.
Il quesito se lo sono posti anche in Centrobanca, l’istituto del gruppo Ubi che ha finanziato per 45 milioni la dispendiosa e inutile Opa del 2008. In quel momento la banca era esposta per oltre 100 milioni nei confronti della galassia Burani. E come scrive il Gip «Centrobanca sapeva perfettamente dell’incapacità dei Burani di rimborsare il finanziamento con i soli proventi della gestione ordinaria e che pertanto il rientro dell’esposizione era vincolato alle possibilità del gruppo di portare a termine interventi di tipo straordinario come ad esempio cessioni di pacchetti azionari e/o rami d’azienda».
Centrobanca sapeva
Che vuol dire? Che Centrobanca sa, a metà del 2008, della rischiosità del finanziare ulteriormente i Burani, eppure lo fa chiedendo però contropartite assai elevate. La banca presieduta da Mario Boselli chiederà a pegno un controvalore in denaro pari a sei volte l’entità del nuovo finanziamento. Valeva la pena? Certamente no: ora Centrobanca ha patito svalutazioni per una cinquantina di milioni dall’avventura con i Burani.
Frode penale a parte, anche la storia di Viaggi del Ventaglio corre da sempre sul filo del rasoio affilato del debito. Nel ’98, un’era geologica fa, i debiti valevano già 13 volte il capitale e quasi 10 volte il margine industriale. Poi la quotazione nel 2001. Arrivano soldi freschi. Dovrebbe essere la svolta. E invece no: nel 2002 i debiti tornano a valere otto volte il Mol. E così l’elastico tra acquisti e cessioni forzate, va avanti ininterrotto fino al capitombolo finale. La costante: quei debiti sono sempre talmente tanti che è inimmaginabile possano essere ripagati. E che dire di Snia? Morte annunciata già da anni con un deficit patrimoniale per oltre 100 milioni cumulato dal 2006. Meritava credito Snia? Dite voi.