Walter Riolfi, Il Sole 24 Ore 28/8/2010, 28 agosto 2010
PER GLI OPERATORI IL PEGGIO SEMBRA PASSATO
Mi rimprovera un gentile lettore d’essere sostanzialmente un ribassista. «La sua convinzione che le quotazioni siano sempre troppo alte rispetto ad una situazione economica che tende a una nuova recessione, mi lascia molto perplesso. Sono d’accordo sulla nuova recessione (purtroppo), ma è anche evidente che le quotazioni in quasi continua discesa la scontano abbondantemente». E conclude: «Non vorrei che lei considerasse normali le quotazioni del 9 marzo 2009».
La lettera contiene una parte di verità, ma prospetta un’accusa immeritata: perché proprio su queste pagine, tra febbraio e marzo 2009, s’era ripetutamente denunciata l’irrazionalità di un ribasso che non aveva precedenti, specie sui titoli bancari. Di vero c’è che, a partire dal novembre scorso, chi scrive ha cominciato ad essere preoccupato per una esuberanza delle borse che non trovava supporto nei fondamentali dell’economia. Forse è solo una coincidenza, ma dopo parecchi alti e bassi Wall Street si ritrova oggi agli stessi livelli di 11 mesi fa, con la differenza che allora le prospettive immaginate daanalisti ed economisti erano sensibilmente migliori delle attuali. Il lettore sostiene, inoltre, che la recessione è evidente e abbondantemente scontata. Non è affatto vero, per fortuna. Però stanno aumentando i rischi di una ricaduta dell’economia, specie negli Usa. Ma se ci toccherà un’altra ravvicinata recessione è cosa impossibile da predire. Di certo, i mercati azionari non stanno "prezzando" l’ipotesi estrema e il nervosismo che da qualche tempo scuote le borse deriva soprattutto dall’aver capito che la ripresa economica non è come s’immaginava e che il rallentamento è destinato a durare a lungo.
Bond e azioni
Il dramma dei mercati, da parecchi mesi a questa parte, è che, ragionando sui fondamentali, non si capisce cosa accadrà. Basta guardare ai risultati dei fondi macro o alle gestioni azionarie per accorgersi che gli investitori non sono riusciti a guadagnare nulla. I soldi li hanno fatti invece i trader professionisti, specie quelli che si affidano alle analisi quantitative e ai modelli matematici. Il dramma dei mercati è che in questo momento l’investitore razionale non è più in grado di sciogliere il tradizionale dilemma tra bond e azioni. I primi, specie i titoli di stato, segnalerebbero con i rendimenti ai minimi storici una immancabile recessione o, peggio, la prospettiva di una lunga depressione. Se questo messaggio non fosse attendibile, l’unica conclusione è che i titoli di stato, a causa della presunta «fuga verso la qualità», siano in una enorme bolla speculativa. Le azioni invece non sanno dove andare, con gli investitori combattuti tra giudicarle a buon mercato, se le cose dovessero migliorare nel 2011, o pericolosamente alte, se davvero dovesse ricadere l’economia.
L’irrazionalità sperimentata in questi giorni a Wall Street è il frutto di contrapposte sensazioni. In apparenza è davvero irrazionalità, perché l’S&P è salito mercoledì in presenza di disastrosi dati macroeconomici (vendite di case, attività manifatturiera e ordini di beni durevoli). S’è sfiorato il ridicolo quando, con vendite di nuove abitazioni cadute ai minimi degli ultimi 50 anni, l’indice dei costruttori è salito del 3%. Qualcosa d’analogo è capitato ieri a Intel, il cui titolo è salito pur avendo gli amministratori ridotto del 10% le previsioni di vendita nel trimestre in corso. «Intel è l’esemplificazione di come ragiona adesso il mercato», ha spiegato un operatore americano: se davvero pensi che ogni cattiva notizia sia scontata, corri a comperare. La logica sottostante è che si sia toccato il fondo. Ma più che un ragionamento è una scommessa azzardata.
Utili e dividendi
Chi sostiene la convenienza dei titoli azionari ha buoni motivi per farlo: gli utili, spiegano, sonocresciuti parecchio e miglioreranno anche il prossimo anno consentendo alle azioni di salire ampiamente. Come corollario, i dividendi sono più che attraenti. È la tesi sostenuta anche da un prestigioso fondo americano come Gmo. E c’è del vero. Il dividend yield dell’S& P100, per esempio, ossia il rapporto tra monte dividendi e valore dei titoli è attualmente al 2,55% e potrebbe salire al 2,8% nel 2011. Sulle borse europee, dove è meno diffusa la pratica del riacquisto di azioni proprie, il dividendo è ancora la maggior forma di remunerazione: per lo Stoxx50 il rapporto è del 4,3% per il 2011 e del 5% per il 2012. Con i rendimenti dei titoli di stato vicini al 2,5% negli Usa e al 2,2% in Germania, le azioni sono a sconto sui bond. Lo si capirebbe anche dai pe ( prezzo/utili) sotto 11 per lo Stoxx600 e S&P500 il prossimo anno.
Il problema sta ancora nell’attendibilità delle stime. Se l’economia si rafforza, sono credibili anche le previsioni di utili; se peggiora, o se cade in recessione, il ragionamento diventa vano. Se gli utili di Wall Street (stimati a 96 $ per l’S&P nel 2011) non dovessero invece crescere, il p/e prospettico sarebbe vicino a 13: superiore sì alla media storica, ma a quella degli ultimi 30 anni che si preannunciano irripetibili per l’economia e per le borse. Inoltre, va considerato che buona parte degli utili mostrati finora dalle aziende industriali e commerciali sono arrivati dal taglio dei costi (riduzione dei salari e del personale) e marginalmente da un incremento delle vendite.
In settimana l’S&P ha perso lo 0,7% (-1,2% il Nasdaq) e lo Stoxx lo 0,4% (-0,9% Francoforte, -0,5% Parigi, -0,3% Milano, +0,1% Londra).