Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 27/8/2010, pagina 72, 27 agosto 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
7 giugno 1953
Destino cinico e baro
Scatterà, non scatterà? L’Italia politica aspetta il responso delle urne col fiato sospeso. Consapevoli di non poter bissare il plebiscito del ’48, i partiti di centro hanno previsto un premio di maggioranza per la coalizione che supererà il 50% dei voti. La sinistra, con Calamandrei, l’ha subito battezzata legge-truffa. La stabilità dei governi non è ancora percepita come un bene prezioso, mentre il ricordo dei «listoni» fascisti getta sulla Dc un’ombra liberticida che non merita. Altre sono le sue colpe. Una riforma agraria già vecchia prima di nascere. I carrozzoni mangiasoldi della Cassa del Mezzogiorno e delle Partecipazioni Statali. E la riforma fiscale di Vanoni: nata col nobile intento di far pagare le tasse ai ricchi, ottiene il risultato di tartassare i lavoratori dipendenti, gli unici impossibilitati all’evasione. Minato dal male che lo ucciderà (sclerosi renale con alto tasso di azotemia) De Gasperi assiste alla deriva clericale di un partito che aveva voluto laico e interclassista. Rompe col Papa, che si rifiuta di riceverlo da quando il leader Dc ha posto il veto a un’alleanza coi post-fascisti del Msi. E ottiene l’approvazione della legge-truffa solo dopo scontri inauditi in Parlamento e nelle piazze, dove le gimkane dei celerini di Scelba vengono messe sul suo conto. Né lo aiuta la tracotanza con cui l’ambasciatrice Luce dichiara che l’America non accetterà una sconfitta della coalizione moderata.
Scatterà, non scatterà? Il quorum non scatta per 50.000 voti. Saragat parla di «destino cinico e baro». Un destino chiamato Achille Lauro, l’armatore monarchico che agli elettori di Napoli regala una scarpa prima del voto e l’altra eventualmente dopo, e che quando alla radio non funziona il microfono invoca l’intervento di un radiologo. I voti che mancano li ha presi lui. La nuova Camera nega a De Gasperi la fiducia. Persino Guareschi lo pugnala, pubblicando (in buona fede) una lettera risalente alla guerra in cui il capo della Dc chiede agli alleati di bombardare Roma. È falsa e il papà di Don Camillo finirà in prigione. Ha i suoi guai anche il Pci: Nino Seniga, factotum del vicesegretario Secchia, scappa con la cassa, ma Togliatti si guarda bene dal denunciarlo: dovrebbe dichiarare da dove provengono i soldi. Estromesso dal nuovo governo, De Gasperi rimane segretario di una Dc che non gli assomiglia più, frantumata in correnti concordi solo nel farsi la guerra e nel farla a lui. L’ultima amarezza gliela danno i francesi, affossando il suo sogno di un esercito europeo. Ai funerali in Valsugana, inondati da lacrime di coccodrillo, un elettore liberale si insinua sotto la bara gridando «De Gasperi è nostro!» Nessuno può contraddirlo.