FEDERICO RAMPINI, la Repubblica 28/8/2010, 28 agosto 2010
TRA INDIA E USA SCOPPIA LA GUERRA DELLO YOGA - NEW YORK
Il maestro Vishwa Prakash nella sua palestra di Manhattan comincia così: «Ha ha! Ho ho! Ha ha! Ho ho!» E tutti in coro a ripetere. Una ventina di allievi alla volta praticano il Laughter Yoga, lo yoga della risata. Non c´è bisogno di raccontare barzellette. La risata, assicura Prakash, è contagiosa: a furia di ripeterla meccanicamente guardandosi negli occhi, si finisce per sghignazzare a crepapelle. E non c´è nulla di più rilassante di una bella risata: fa bene ai muscoli dell´addome, stimola la respirazione, ci distrae dallo stress.
Già, ma è vero yoga? Dai tempi in cui il Beatle George Harrison ne fece una moda di massa, in America il boom dello yoga è dilagato. Oggi lo praticano in più di 30 milioni. Genera un fatturato di almeno 6 miliardi l´anno tra iscrizioni ai corsi e vendite di vestiti ad hoc (una catena specializzata, Lululemon, è l´Armani dello yoga). Ma la logica del business può imprigionare questa disciplina millenaria che viene dall´India?
I puristi si scandalizzano per la proliferazione di varianti eccentriche. A New York si possono trovare corsi di Yogalates (fusione col Pilates), di Yogaerobica, Acroyoga (acrobatico), Yoga anti-gravitazionale e Yoga spinning (sulle biciclette da palestra). Questa contaminazione non è nuovissima: lo yoga della risata, per esempio, fu introdotto già nel 1995 dal Dottor Madan Kataria. Ma più passano gli anni più gli incroci diventano sconcertanti. C´è lo yoga nudista, quello specializzato nel curare la sindrome del tunnel carpale. Perfino lo yoga kosher: non chiedetemi cosa vuol dire.
Un´altra minaccia è più grave. Viste le dimensioni del business, gli americani stanno cercando di «privatizzare» lo yoga. Negli Stati Uniti impazza la corsa a brevettare i metodi. Centinaia di «posizioni» sono concupite da chi vuole metterci il suo copyright.
Chiunque le pratichi dovrebbe versare un diritto d´autore al proprietario. Lo U. S. Patent and Trademark Office ha già riconosciuto ufficialmente 131 brevetti, e ci sono altre 3.700 richieste in attesa di essere esaminate. Finora si tratta soprattutto di libri, vestiti, Dvd. Ma c´è chi vuole estendere il copyright sui movimenti, le posizioni. E stavolta l´India, solitamente tollerante di fronte a tanti stravolgimenti dello yoga, si ribella. In India lo yoga ha radici antichissime: le prime forme risalgono addirittura al 2.500 prima di Cristo. È legato alla religione induista, è stato quasi sempre insegnato gratis, negli ashram o nei giardini pubblici.
L´idea di farne un business privato appare sacrilega. «Furto di yoga», intitolano i giornali indiani. La reazione si organizza, i guardiani dell´antica disciplina passano al contrattacco.
Un´agenzia governativa di New Delhi, la Traditional Knowledge Digital Library, ha chiamato a raccolta i più autorevoli yogi dalle nove scuole principali, e li ha affiancati a duecento scienziati. La loro missione: recuperare e scannerizzare tutti i testi millenari che contengono le sutra dello yoga. Lo scibile completo di questa materia include 900 posizioni. Sarà riprodotto con le tecnologie digitali e messo su video, almeno per i 250 esercizi più popolari.
«È un patrimonio dell´umanità, a disposizione di tutti, e deve rimanere gratuito» è l´obiettivo ufficiale dell´operazione secondo il suo direttore V. K. Gupta. Da 34 milioni di pagine - l´immensa mole di documenti raccolti - gli indiani vogliono arrivare a un «sunto» da tradurre in inglese, cinese, spagnolo, tedesco e giapponese. «Guai se qualcuno volesse impadronirsi di questa sapienza, benefica per l´umanità».
Paradossalmente la guerra per privatizzare lo yoga fu lanciata proprio da un indiano. Nel 2004 il guru di Calcutta Bikram Choudhury, sbarcato a Beverly Hills in California, lanciò lo Hot Yoga in palestre a temperatura da sauna. Quando si accorse che in tutta la California si diffondevano le imitazioni, cercò di brevettare 26 esercizi e di incassare royalties. Oggi lo Yoga «bollente» viene praticato in 400 centri, da San Francisco a Parigi. E Choudhury ha già guadagnato 7 milioni di dollari di copyright.