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 2010  agosto 27 Venerdì calendario

LA SCUOLA DOVE NASCE LA POLITICA DEL FUTURO

«Mi chiamo Mat- thew Simmons e vi ringrazio di aver sacrificato il vostro weekend. Cercheremo di divertirci insieme, dimostrando come può funzionare davvero la democrazia. Per i primi venti minuti facciamo conoscenza». Al mio tavolo le presentazioni cominciano: a destra ho Cindy, infermiera in un ospedale di San José, «preoccupata per i tagli di spesa e il peggioramento del servizio sanitario». A sinistra Shanty, ingegnere di software nella Silicon Valley, «reduce da un picchettaggio di protesta davanti alla sede di Google, che vuol trasformare Internet in un monopolio». Siamo un centinaio dentro la sala conferenza presa in affitto presso la Cathedral of Christ the Light di Oakland, nella Baia di San Francisco. Siamo tornati sui banchi di scuola, ma non è catechismo. È un addestramento particolare: qui si formano i militanti di MoveOn, la più potente organizzazione della sinistra americana.

Un movimento che per la sua presa tra le nuove generazioni ha contribuito a far eleggere Barack Obama nel novembre 2008; e che oggi non esita a criticare il presidente se tradisce la promessa di cambiamento.
Nato 12 anni fa proprio in questa Baia, MoveOn oggi conta 5,1 milioni di iscritti: un miracolo. È dentro gli ingranaggi di questo prodigio che mi sono infilato per un weekend di "formazione di base". Una Frattocchie americana del XXI secolo (per i più giovani: Frattocchie era la sede della scuola di partito del Pci). Per iscrivermi ho risposto all´invito ricevuto per email: «Abbiamo dimostrato di saper fare l´impossibile. Ma la democrazia americana è ancora malata, le grandi imprese hanno il potere di corromperla. Vuoi unirti a noi per liberare il paese dall´invadenza delle lobby? Viene a costruire il tuo talento di organizzatore».
Eccomi qua, alle otto del mattino di un sabato, in mezzo a tanti sconosciuti con cui imparerò a «usare le mie motivazioni personali per trasformarle in movimento, comunicarle, trascinare gli altri». Siamo le cavie di un nuovo esperimento. Nel primo decennio della sua vita MoveOn ha fatto grandi battaglie - contro George Bush e le sue guerre, per conquistare leggi ambientali più avanzate o il diritto all´assistenza sanitaria per tutti - sempre usando Internet. È una forza politica figlia delle nuove tecnologie, di cui ha fatto un utilizzo magistrale. Come ricorda il suo coordinatore, Ilyse Hogue, «MoveOn è davvero controllato dai suoi membri, come nessun partito o movimento lo è mai stato nella storia. Ogni settimana fa un sondaggio tra gli iscritti, e il sondaggio decide le campagne da fare. Tutto deciso dal basso. Così siamo fedeli alla nostra missione: riportare al centro della politica le persone». Un´operazione tanto più ambiziosa perché dietro MoveOn non c´è ovviamente un padrone, ma neppure un´ideologia con la i maiuscola: solo un insieme di valori condivisi come l´ambiente, l´equità sociale, il pacifismo.
Ma ora MoveOn esplora una nuova dimensione. Per la prima volta costruisce anche un´organizzazione territoriale, presente in tutte le grandi città d´America. Conserva una struttura agilissima (solo 30 dipendenti a tempo pieno e una dozzina di consulenti esterni per le tecnologie), continua a comunicare online con i 5 milioni di membri. Ma adesso ha anche 110 consigli territoriali, 25.000 militanti che s´incontrano in luoghi "fisici". «La ragione - spiega uno dei fondatori, Eli Pariser - è che vogliamo poter incalzare i nostri politici anche nei loro collegi elettorali, davanti ai loro uffici. E a destra il Tea Party, che ha molti meno seguaci di noi, c´insegna che occupando le piazze con poche migliaia di manifestanti si finisce su tutti i telegiornali».
A questo serve il seminario di Oakland. Formare i nuovi militanti. Che infatti sono fisicamente diversi da come immagino la base originaria di MoveOn: qui sono circondato da gente di tutte le età, non mancano i capelli bianchi. Non più solo studenti e "professioni digitali", ma tanta middle class ordinaria: insegnanti, professionisti, qualche casalinga e perfino pensionati.
All´insegna della democrazia dal basso, la giornata comincia con un sondaggio fra di noi: «Quali regole del gioco vogliamo?» Ci alterniamo alla lavagna ed emergono i comandamenti che noi stessi ci diamo: «Obbligatori gli interventi brevi, chi prende la parola non parli più di tre minuti. Vietato alzare la voce. Prestare attenzione al proprio interlocutore anche quando non si è d´accordo. Attenersi al tema, non divagare. Aiutare chi ha difficoltà a parlare in pubblico. Rivolgersi a tutti, non solo a chi la pensa già come noi. Rispetto per l´interlocutore. Guardarsi negli occhi. Non interrompere». La democrazia dal basso viene presa sul serio. Il nostro coordinatore, Matthew Simmons, è il primo a farne le spese. Viene sottoposto a un terzo grado, i partecipanti vogliono sapere tutto su MoveOne: «Chi seleziona le campagne del momento, chi scrive le email, chi sceglie gli slogan per le pubblicità in tv o sui giornali». Risposta: dopo aver sondato i membri, un gruppo di esperti di comunicazione lavora sui messaggi sotto la guida di un celebre linguista, George Lakoff.
Arriva il nostro turno, di rispondere ad altre domande. Quanti di noi conoscono personalmente qualcuno che appena perso il lavoro? Chi di noi ha problemi con il mutuo della casa? Qualcuno è senza assicurazione sanitaria? Chi di noi va regolarmente in chiesa? L´esercizio ha un obiettivo: «Bisogna capire a quale comunità di problemi apparteniamo, trovare i punti che possono legarci ad altri». Fondamentale, per questo, «è sapere ascoltare». Segue questo compito: «Impariamo a costruire una narrazione di noi stessi. Descrivere un problema che ci assilla, la sua soluzione, e farlo in modo da appassionare gli altri: vicini di casa, colleghi di lavoro». Studiamo un video che è un esempio da manuale. E´ il celebre discorso di Obama alla nomination, racconta il passaggio dalle sue origini (figlio di un kenyano, di origini modeste) fino all´immagine di un´America dove «tutto è possibile». Dalla teoria alla pratica, ci dividiamo in gruppetti di due, poi di quattro. Devo esercitarmi a catturare l´attenzione dei miei vicini di tavolo, appassionarli, convincerli. In tre minuti. Poi ascoltare le loro critiche, i consigli: cosa non ha funzionato, come potrei agganciarli meglio.
Pausa pranzo, buffet e panini sempre tutti insieme. Il pomeriggio è dedicato alla comunicazione con i mass media. Un abc del giornalismo. Ecco una notizia di cronaca, dal giornale locale: «Ratto morde un bambino nella culla». Raccontata in tre versioni: nella prima è una storia d´irresponsabilità dei genitori che lo hanno lasciato solo in casa; nella seconda spunta un padrone di casa che non ha mai fatto le disinfestazioni obbligatorie; nella terza finisce sul banco degli imputati il Comune, per l´incuria nei controlli sanitari in un quartiere degradato. S´impara a decifrare, smontare, ri-strutturare il messaggio. Seguono consigli per l´approccio ai media: «Imparate a focalizzare il pubblico con cui volete parlare: e qual è il mezzo d´informazione adatto per raggiungerlo. Ecco chi legge il giornale, ecco chi ascolta la radio, ecco chi guarda Facebook».
«Costruite la vostra storia con aneddoti personali, testimonianze di una difficoltà e di una lotta per superarla. State concentrati sul messaggio principale. Il finale deve essere positivo, date speranza, non siate solo contro qualcosa». Un metodo a tre stadi, valido per comunicare con la gente o con i mezzi d´informazione: «Si parte sempre dal privato, la vita vissuta. Gli si dà un valore universale: il mio problema è rappresentativo di una questione diffusa, acuta. Si conclude su un esempio di azione collettiva: serve a cambiare le cose, e anche a farti sentire migliore». Trucchi del mestiere: «Prima di un incontro, con la stampa o con un deputato, con il consiglio municipale o con l´associazione di quartiere, preparatevi, ripetete e ripassate ancora il messaggio». Parole da usare: «Equità, Famiglia, Comunità, Speranza, Responsabilità, America». Da evitare: «Acronimi. Percentuali. Linguaggio da esperti. Slogan rabbiosi o estremisti». Sui contatti con i media: «La stampa non è il nemico, la maggioranza dei giornalisti sono stressati e sottopagati come noi. Mettersi nei panni del cronista, capire l´agenda del suo giornale, anticipare i temi caldi dell´attualità, giocare d´anticipo. Rispettare i tempi di chiusura. Rispondere alle domande».
Mentre emergo dal campo-reclute di MoveOn immagino le obiezioni di un europeo. Questo addestramento ha qualcosa che ricorda la formazione della forza-vendite di un´azienda. Qualcos´altro evoca la preparazione di "evangelisti", la tradizione di proselitismo molto viva nelle chiese americane. Ma quei metodi vengono applicati a una base laica, scettica, ipercritica, che non smette di pensare con la propria testa. Fa domande scomode, obiezioni continue. "E´ vero che George Soros ha finanziato MoveOn alle origini?" "Sia chiaro che non siamo disposti a votare qualsiasi candidato democratico". Nell´ultima settimana MoveOne ha organizzato 150 manifestazioni in tutta l´America, ha raccolto 500.000 firme, e ha già incassato l´adesione di 43 parlamentari, per la sua proposta di legge contro i finanziamenti delle imprese alle campagne elettorali. I militanti di MoveOn sono su YouTube per gli "happening" tra ballo e rap davanti ai supermercati Target, accusati di finanziare la destra. La loro sfida continua. Anche usando i trucchi del mestiere appresi al campo-base.