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 2010  agosto 28 Sabato calendario

LA FUGA DEL BOMBER CHE SI MANGIO’ UN GOL: «LASCIO IL CALCIO»


Due occhi color dell´acqua osservano un pallone che non entrerà. Il centravanti è solo, in tutti i sensi. Solo, davanti al portiere e dentro di sé. Gli è appena arrivata questa palla da destra, questo cross a centroarea, è il sesto minuto di Torino-Varese, lunedì sera, e Marco Bernacci la piglia d´esterno destro. Il difensore Pisano ribatte sulla linea. All´attaccante tornano indietro, insieme, pallone, pensieri, anni, dubbi, paure e quasi tutta la sua breve carriera. Sguardo immobile: sfiorandolo, si potrebbe scheggiarlo. Di lì a poche ore chiuderà col calcio. Forse per sempre, a 26 anni.
Ma si molla tutto, per un gol sbagliato? Improbabile. Le radici del dolore vanno indietro di qualche giorno e molti anni, Marco ne aveva solo undici quando perse il papà e gli ordinarono di crescere di colpo, invece è da martedì che non mangia e quasi non beve. I suoi 70 chili spalmati su un metro e novantatré di ossa e nervi lo mostrano più che mai fedele al soprannome, "Airone delle Vigne", dove Vigne è il vecchio quartiere di Cesena, zona popolare, i ragazzi che tifano calcio indossano la maglietta Bronx Vigne. Un trampoliere scheletrico. «Così non ce la faccio, non posso andare avanti, chiedo scusa a tutti».
Addio a mezzo milione di stipendio, non ai nodi del futuro. Si è confidato solo con l´ex compagno Sommese («Quello che ci siamo detti, lo tengo per me»), poi è sparito da qualche parte in montagna, nessuno sa dove, e non risponde al portatile, neppure agli sms. «Rispettiamolo e aiutiamolo», dice il suo procuratore Giovanni Sama. Il Toro, abituato alle più imprevedibili pieghe del destino, ha già preso un nuovo centravanti, Alessandro Pellicori, perché la vita continua e l´area di rigore deve rimanere sempre bella piena.
Nessuno capisce, pochi avevano intuito, quasi tutti adesso sibilano la parola nera, depressione. «Molti calciatori ne soffrono, perché il loro è anche un mondo di finzione», spiega lo psicologo Giuseppe Vercelli. Qualcuno, come Buffon, ha il coraggio di ammetterlo. Qualcun altro, come il portiere tedesco Robert Enke, si è silenziosamente buttato sotto un treno.
Raccontano gli amici che Marco Bernacci, timido e chiuso, non è seguito da un medico. Forse una crisi di panico, o di rigetto. Negli spogliatoi di Bologna pianse a lungo, dopo un gol fallito contro l´Udinese. Tristezze che galleggiano, unghiate che strappano il cuore dal petto. Basta poco per andare sotto: basta ricordare, magari, la simpatica puntata del Gnok Calcio Show, su Sky, quando mandarono in onda "Pippe, speciale Bernacci" e consegnarono all´attaccante il "Pippa World Player 2009". Sono soddisfazioni. Eppure, un giorno lui fece perdere la Juve a Mantova. Eppure, l´anno scorso in B, Marco ha segnato con l´Ascoli 15 gol in 35 partite. Poi, in estate è rientrato al Bologna dal prestito e ha ricominciato a chiudersi, e patire. Il Toro sembrava la soluzione. «Per me è il massimo, so quanto valgo e voglio segnare più di dieci gol». Quattro allenamenti, il debutto col Varese, il pallone svirgolato, le pagelle impietose. "Irritante, non corre, non combatte e non ci crede". Ma lui aveva già deciso di mollare, l´aveva detto al procuratore, si era cancellato da Facebook e se mangia vomita.
In questi casi si rovista nel malessere altrui, senza alcun diritto, per scoprire che Marco non sorride, vive ancora con la mamma e porta sulla maglia il numero 82, anno di nascita della fidanzata Eleonora. La madre si occupa di quasi tutto, come quando lui era bambino. «Forse l´ho viziato, a volte il mio ragazzo è indisponente, io glielo dico e lui risponde che non riesce a cambiare», aveva ammesso la signora qualche giorno fa. Indisponente nelle partitelle del giovedì, quando litiga con i compagni/avversari. E poi la domenica, a volte si fa cacciare, altre volte verrebbe voglia di cacciarlo. Se può e anche se non può, scappa sempre a casa, a Cesena. Gli piacciono i cavalli. Una volta tornò a Cesena da avversario col Mantova, gli ex tifosi lo accolsero con uno striscione affettuoso, lui segnò esultando: da allora, persino la sua città non lo può vedere.
E magari sono piccole cose, o forse è quanto basta per scomparire. Mani strette attorno alla testa, ai capelli da mohicano, dopo gli errori a due metri dalla porta, oppure al cielo dopo un gol. Lo stipendio tagliato, una sua scelta, pur di tornare ad Ascoli ed essere un po´ tranquillo. La maglia granata, gloriosa e a suo modo maledetta. «Lo aspettiamo, siamo sorpresi e rispettosi della scelta umana» dice Franco Lerda, allenatore della sua probabile ultima squadra.
Questo non è un paese per sensibili. Certi viaggi nel buio sorprendono solo perché si finge di non sapere che sono in tanti a vagare, laggiù, anche tra i calciatori così tesi e fragili, ricchi e felici, sperduti e soli. Ma può finire tutto, a ventisei anni? A quell´età, neppure si è cominciato. Però l´area di rigore è vuota, e il dolore è sempre una stanza chiusa con un cartello appeso: vietato l´ingresso.