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 2010  luglio 25 Domenica calendario

INTERVISTA A MICHELA VITTORIA BRAMBILLA


Il Giornale, domenica 25 luglio 2010

Guardinga nell’approccio: «Non mi farà mica domande su quand’ero bambina o gareggiavo per Miss Italia, quelle cose lì, vero?». Affabile nello scambio di messaggi che precede gli accordi logistici per l’intervista: mentre io continuavo a insistere con fantozziani «signora ministra», al terzo Sms lei era già passata a un avvolgente «caro Stefano». Sono riuscito a spiegarmelo solo col fatto che siamo colleghi, entrambi giornalisti professionisti, intendo.
La villa d’inizio Novecento sulla collina di Calolziocorte, con vista manzoniana su quel ramo del lago di Como che torna a chiamarsi Adda, è la stessa dove Michela Vittoria Brambilla, ministro del Turismo, è nata 42 anni fa. Hai l’impressione di salire al castello dell’Innominato. Alla sommità della stradicciola, niente bravi ad attenderti, bensì il più rassicurante impatto con un militare delle Fiamme gialle di piantone. Il colloquio avviene all’ombra delle conifere nel parco secolare. Il frinire delle cicale arriva a coprire le nostre voci. Mvb, così si firma negli Sms, è esattamente come si presenta per telefono: gentilissima.
L’attacco vi pare zuccheroso? Anche a me. Ma il coma diabetico ha una sua giustificazione. Cristina, la giovane cameriera brasiliana, mi versa il succo di frutta alla pera sul registratore digitale Sony. Mentre impreco nel segreto dell’anima mia, prego che i contatti non siano andati a remengo, tampono col fazzoletto, scuoto, soffio, e infine cerco di asciugare in profondità col rotolone Regina arrivato nel frattempo, la colf sudamericana sembra molto divertita dalla sua sbadataggine. Dopodiché riesce nell’impresa di rovesciarmi anche la rimanente metà del bicchiere sul bloc-notes e sul foglio con le domande stampate, che subito scolorano. Ride di gusto anche il ministro: «Casa mia è un attentato. Una volta uno dei cani ha fatto la pipì sulla borsetta che una sua collega aveva appoggiato per terra». La interpreto così: ti è andata ancora bene. E tuttavia nelle successive quattro ore, come per magia, si alterneranno al tavolino solo cameriere bergamasche ultrasessantenni.
Efficienza nella discrezione: berlusconiana fino al midollo. Di cani ne ha 15. Niente a confronto con i gatti, ben 27, alcuni orbi di un occhio o con mezze orecchie lasciate sul campo nella stagione degli amori: «Randagi raccolti per strada». Poi 5 cavalli: l’ultimo, Pepito, un pony, è arrivato sabato scorso. «Un regalo per mio figlio Vittorio, che ha 5 anni». Quindi 7 capre e 5 galline. Anche 200 colombi, che decollano tutti insieme come in piazza San Marco per avventarsi sulle granaglie della prodiga padrona di casa: «Poverini! Stanno sulle scatole a tutti: retate, dissuasori, pillole antifecondative. Lo sapeva che figliano tutti i mesi?». No, ma lo sospettavo. «A me invece piacciono. Forse perché fin da piccola ho sempre parteggiato per i più deboli».
Dimenticavo: anche una coppia di asini. Il maschio si chiama Ugo e s’è convinto che la Brambilla sia la sua fidanzata. È sopravvissuto a due tumori, uno dei quali in un organo strategico assai caro a questi equidi, in particolare a maggio. Gli hanno fatto una plastica ricostruttiva. Le viene incontro adorante. «Uuugo, amore mio!». Si baciano teneramente. Ne sarà lusingato Vittorio Feltri, che quand’era direttore di Libero le fece recapitare a casa il simpatico perissodattilo con un fiocco azzurro attorno al collo: «Lo acquistò nel Pavese prima che ne facessero brasato per una festa dell’Unità. Ugo è furbissimo. Si crede un umano. Quando parto per Roma, raglia disperato. Ne fa di ogni». L’espressione idiomatica, ricorrente nel linguaggio darwiniano del ministro, nel caso di specie sta a significare che Ugo ha staccato un orecchio a una capra. Per gioco, ci mancherebbe.
Il quotidiano britannico The Guardian ha scritto di lei: «È senza dubbio ambiziosa, probabilmente spietata, ma anche sorprendentemente naturale». Sarà colpa della benedizione col succo di pera, ma né la prima né la seconda: qui mi pare buona solo la terza. Nel circo di Roma non saprei, là non l’ho mai vista in azione. La sintesi più efficace, semmai, è quella distillata tre anni fa dalla giornalista Barbara Palombelli, che, in quanto moglie di Francesco Rutelli, un candidato premier lo ebbe per casa e dunque ha l’occhio allenato: «Giovane, capelli rossi, piglio combattivo e linguaggio scandito. È l’Avatar di Silvio Berlusconi, l’alter ego virtuale (o reale, come sospettano e temono i tanti aspiranti alla successione del Cav) del capo dell’opposizione e padrone di Mediaset. Ha tutte le caratteristiche per stracciare i pretendenti al trono: donna, sveglia, bella, non legata a precedenti esperienze democristiane o socialiste pre-Tangentopoli (vedi Casini e Tremonti), non deve farsi perdonare trascorsi nostalgici (Fini), non sa di Transatlantico (come ormai tutti i colonnelli leghisti e azzurri: 13 anni di passeggiatine romane li hanno omogeneizzati all’amatriciana). I naviganti del Partito democratico - docenti e professori poco inclini a guardare al futuro prossimo, allergici ai clic computerizzati - sono avvertiti. E anche gli antichi combattenti della Casa della libertà - con le glorie e le medaglie acquisite nelle battaglie della prima ora - dovranno vedersela con la rossa Mvb e i suoi seguaci».
Cominciamo da qui: perché s’è messa in politica?
«Come la maggior parte degli imprenditori, e io sono un’imprenditrice, mai, mai, mai, e poi mai, avrei voluto mettermi in politica. La prima volta che conobbi Berlusconi fu nel 2001 nel palazzo dei conti Brivio Sforza a Milano, a una cena elettorale organizzata per aiutare Forza Italia a raccogliere fondi. Ero seduta con una dozzina di industriali. Tutti bestioni, al mio confronto. Io ero un pulcino, anche per via dell’età. Alla fine il Cavaliere passò di tavolo in tavolo a spiegarci la rivoluzione liberale che aveva in mente. Fu sorpreso di vedermi: per quattro anni ero stata sua giornalista, credeva che fossi lì per gli speciali di Videonews».
E invece?
«Ero lì come rappresentante delle tre aziende di famiglia: le Trafilerie Brambilla, fondate dal mio bisnonno, il gruppo Sal e la Sotra Coast International. Mi dissi: questo qui mi piace, ha ragione, le sue idee sono giuste. Vede, io ho la conformazione della spugnetta, cerco di imparare da chiunque. Il Berlusconi imprenditore riuniva periodicamente tutti i suoi dipendenti, fino all’ultimo dei capimastri o dei cameraman, perché sa benissimo che quando s’inceppa anche una sola rotellina dell’ingranaggio non gira più niente. Io ho sempre fatto lo stesso: un incontro settimanale con le maestranze, dal direttore generale agli autisti. Perciò il giorno dopo disposi un bonifico di 50 milioni di lire a suo favore».
Erano soldi.
«Sono soldi anche adesso. Tanto più che venivano dal mio conto corrente personale. Quando corsi a leggere su Milano Finanza che cosa avevano versato gli altri 180 commensali, il Gotha dell’imprenditoria lombarda, trovai solo cinque-sei nomi. Di quelli che erano seduti al mio tavolo, manco uno».
Fece breccia nel portafoglio del Cavaliere.
«Faccio solo quello in cui credo e credo in quello che faccio. Non vorrei che sembrasse una marzullata, ma è così. Da altre parti avrei dovuto lucidare scrivanie per dieci anni prima di arrivare dove sono arrivata».
Mi racconti come c’è arrivata.
«Molto semplice. Nell’aprile del 2003 mi elessero presidente dei giovani di Confcommercio per la provincia di Lecco. A novembre ero già presidente nazionale di categoria. Gli under 40 di Confcommercio non se li filava nessuno, mica come i giovani di Confindustria. Eppure stiamo parlando di un milione di aziende impegnate nel commercio, nei servizi e nel turismo, fino ad allora trascurate da tutti i governi, che hanno sempre avuto un occhio di riguardo solo per le grandi imprese. Nel 2005 il presidente di Confcommercio, Sergio Billè, si dimise e io nell’interregno mi trovai in prima linea a difendere le ragioni della categoria a Porta a porta piuttosto che a Ballarò».
Si fece notare.
«Non è questo il punto. Il governo Prodi stava preparando una finanziaria devastante, venivamo dipinti come il disonore d’Italia, i grandi evasori, quelli con i conti alle isole Cayman. Non sapevo come uscire dall’angolo. Chiesi un appuntamento a Berlusconi, sicura che m’avrebbe dato qualche ottimo consiglio. Gli portai la rassegna stampa. Cominciò a sfogliarla. L’occhio gli cadde su un articolo del Corriere della Sera, intitolato “La pasionaria di Confcommercio”. Chiuse il malloppo: “Quanti associati rappresenti? Un milione? Pochi. Per rifare la politica ne servono dieci volte di più. Ma gli imprenditori sono soltanto capaci di lamentarsi dei parlamentari. Troppo comodo. Perché non metti da parte per un po’ di anni il tuo profitto e non mi aiuti a rifondare l’azienda Italia?”. Gli obiettai: la politica è compromesso. Mi rispose: “Appunto, cambiamola”. Un minuto dopo gli avevo già detto sì».
Adesso il premier dovrebbe darle il posto che fu di Claudio Scajola: in fin dei conti il turismo è la prima industria nazionale.
«È il nostro asset strategico, non v’è dubbio. Non a caso il presidente del Consiglio ha voluto staccarlo dalle altre attività produttive, creando un apposito ministero. L’Italia negli anni Cinquanta era la prima destinazione al mondo. Poi il turismo è stato derubricato a folclore. E pensare che invece è l’unica industria che non delocalizzerà mai. Ogni euro investito resta qui».
Corre voce che lei volesse ingaggiare Sofia Loren come testimonial, a titolo gratuito, di una campagna per il rilancio del turismo in Italia, ma che l’attrice abbia chiesto un cachet da 2 milioni di euro.
«Falso. È vero invece che ho commissionato al sondaggista Nicola Piepoli una ricerca sui personaggi italiani più conosciuti all’estero, target sciura Gina per capirci, e fra questi c’era anche la Loren, insieme con Giorgio Armani, Andrea Bocelli, Silvio Berlusconi e un campione che in questo momento non mi ricordo perché sono negata per lo sport. Risultato: nei mercati emergenti, Cina e Russia, più dell’80% degli intervistati ha indicato il nostro premier. Tant’è che gli spot istituzionali per invitare a riscoprire l’Italia come meta turistica hanno la voce di Berlusconi».
Da ministro del Turismo non può certo andare in vacanza all’estero. Quindi dove va?
«Non vado. Sono troppo impegnata a mandare in vacanza gli altri. Forse a Ferragosto riuscirò a fare una puntata a Cesenatico, la cittadina d’origine di mia madre, dove ho sempre passato le mie estati fin da bambina. Tranne una volta: rimasi a casa con mio padre perché s’era ammalata Palmira, la mia papera prediletta, e dovevo imboccarla. Guarì. Le procurai un marito-palindromo, Arimlap, ma siccome non volevo tagliargli le ali, un giorno volò via».
Disperazione.
«Bussai alle porte delle case accanto alla nostra, per vedere se il papero non fosse finito in qualche giardino. “Ah, era tuo?”, disse la moglie di un vicino, e mi mise in mano Arimlap già spennato, pronto per essere cucinato. Ancora me lo sogno di notte».
Ma se potesse partire, dove vorrebbe andare in vacanza?
«Da trent’anni soffro di mal d’Africa. Mi vedrei bene a cavallo fra Ruanda e Zaire. Ho lasciato il cuore nel Parco del Virunga, dov’ero andata per un reportage sui gorilla di montagna».
Come Dian Fossey, autrice di Gorilla nella nebbia.
«Ecco, proprio come lei fino in fondo magari no... ». (La zoologa statunitense fu assassinata nel 1985 con lo stesso machete che i bracconieri usavano per uccidere i gorilla). «In Africa andrei a vivere per sempre».
Ma è vero che quando aveva 9 anni i suoi le regalarono un leone?
«Sì, Rumba, una leonessa. Era stata tolta alla mamma che non la allattava. Ce la portammo a casa per non farla finire in un piccolo zoo. Aveva appena un mese. Solo che non c’era verso di farla mangiare. Arrivammo a offrirle il filetto. Niente. Allora mia madre tornò preoccupata dall’allevatore. Quello trasse dal frigo una testa di mucca e la spaccò a metà con un colpo d’ascia: “Si fa così”, e la porse a Rumba, che si mise a divorarla. Non avendo un simile coraggio, e neanche un freezer di quelle dimensioni, i miei preferirono affidare la cucciola a un parco faunistico».
Con lei che piangeva a dirotto, suppongo.
«Per rifarmi anche sabato scorso ero nella nursery delle Cornelle a giocare, sdraiata per terra, con due piccole tigri. Lavorare lì è sempre stato il mio sogno».
È ancora presidente della Lega italiana per la difesa degli animali?
«Autosospesa dopo la nomina a ministro. Da bambina pensavo che il Signore mi avesse messo al mondo per salvare tutti gli animali della Terra. Ho ereditato questa patologia dai miei genitori. Essendo imprenditori, erano spesso fuori casa. Sono nata in mezzo a 14 schnauzer, 46 conigli e non so quante pecore, in totale promiscuità. Conservo foto di mio padre con i galli che gli razzolano sulla scrivania. A insegnarmi a camminare è stata Gari, la mamma di tutti i nostri schnauzer. Mi aggrappavo al suo collare, lei mi tirava su e aspettava che facessi un passettino. Metta di vedere Mowgli nel Libro della giungla. Un po’ come oggi accade a mio figlio quando sono a Roma o in giro per il mondo. A 13 anni fondai una sezione della Lega antivivisezionista. Fermavo le donne in pelliccia e chiedevo loro se non si vergognassero a girare per strada vestite di cadaveri. Per anni sono andata di notte a soccorrere gli animali feriti o maltrattati. E le relative denunce penali erano tutte presentate col mio nome e cognome, non come associazione».
Si sarà fatta molti amici fra i bipedi.
«Non ha idea di che cosa m’è toccato vedere. La cavalla Melinda aveva sei mesi quando le portarono via la mamma facendola a quarti sotto i suoi occhi. Poi per un anno la tennero chiusa in una gabbia, col muso fuori dalle sbarre solo per mangiare, senza mai pulirla. La trovammo col garrese che spingeva contro il soffitto, tanto era diventato alto lo strato di sterco. Gli zoccoli le erano cresciuti all’insù, come i sabot delle olandesi. Alle contestazioni degli agenti, il contadino replicò: “Non si può tenerla così? Alora la copi subit!”, e afferrò un coltellaccio per sgozzarla. Dovetti comprargliela a peso di carne, 600.000 lire. Sette anni di cure fra veterinari e maniscalchi per rimetterla in sesto. Fui anche chiamata in un bosco di Costa Masnaga, dove un cacciatore aveva seppellito vivo il suo pointer perché non era bravo nella ferma».
Seppellito vivo?
«L’aveva tenuto fermo con un forcone piantato nel collo e riempito di randellate. Poi, credendolo morto, lo aveva sepolto. In realtà la povera bestiola aveva solo perso conoscenza per il trauma cerebrale. Dopo qualche ora, scavando col naso, era riuscita a sgusciare fuori dalla fossa. Siccome aveva il tatuaggio dell’anagrafe canina dentro l’orecchio, con i carabinieri risalii al proprietario. Senza dirgli che il pointer s’era salvato, andammo a chiedergli di che cosa fosse morto. “Me l’hanno avvelenato”, fu la risposta. Denuncia e processo. Tracy ha vissuto sul mio divano. È morto pochi mesi fa, a 15 anni, di tumore».
A leggere le cronache, mi sa che oggidì hanno più bisogno di tutela i cuccioli d’uomo.
«Infatti ho tre grandi amori: i bambini, i vecchietti e gli animali. Spero di avere altri figli, devo affrettarmi. Se non li avrò, li adotterò. Ne vorrei parecchi. Non capisco le donne che si sottopongono all’inseminazione artificiale e poi, quando non arriva la maternità biologica, si rifiutano di fare da madri ai bimbi abbandonati. Quanto agli anziani, è intollerabile il trattamento che questa società gli riserva, rinchiudendoli negli ospizi dove muoiono giorno dopo giorno. Ho fatto la spesa per anni a C. (prega di omettere il nome: i parenti la riconoscerebbero), l’ho assistita perché potesse restare fino all’ultimo nel suo mondo, a casa propria».
Lei però è un’animalista sui generis. Nessuna pietà per i crostacei: commercia gamberi. E neanche per i salmonidi: li importa affumicati.
«Questa è una delle leggende più sceme che mi hanno cucito addosso. Intanto il mio core business è l’acciaio. Sal e Sotra Coast importano prodotti alimentari di vario genere, soprattutto piatti pronti, salse, specialità gastronomiche. In bilancio l’ittica rappresenta un’inezia, ma non è che posso rifiutarmi di commercializzarla, per lo stesso motivo per cui, se vendi la Coca-Cola, devi prenderti anche la Fanta. E comunque, scusi, non sono una talebana: il vegetarianismo è una scelta personale, che da liberale non posso imporre al mondo intero. Di sicuro io non mangio i miei amici. Ma lei lo sa come uccidono i cavalli?».
Lasci perdere, vengo dalla città che ha inventato la pastissada de caval, l’unico piatto scomunicato nella storia della Chiesa, con bolla papale di Gregorio III, poiché l’ippofagia era stata introdotta di qua delle Alpi dai barbari.
«Siccome si rifiutano di entrare nella camera della morte, li frustano negli occhi».
Terribile. Il soprannome Rossa salmonata chi gliel’ha appioppato?
«Non ammazzo salmoni, chiaro?».
So che è molto gelosa della formula alchemica applicata alla sua chioma.
«Stesso colore ramato della mamma, appena rinforzato. Però non ho neppure un capello bianco. In compenso ho sempre più rughe, vede?». (Si distende il viso con le mani).
Non si butti giù.
«La vuol sapere una cosa? Il corpo è l’ultimo dei miei pensieri. Mi curo soltanto per un dovere di rappresentanza. Credo d’essere in assoluto la donna del Parlamento che dedica meno tempo ai trattamenti di bellezza».
Quanto?
«Zero».
A Vanity Fair nel 2007 confidò che non andava dall’estetista da almeno 10 anni.
«Sono diventati 13. Ma credo che in realtà siano 15. Non mi trucco, non mi do lo smalto alle unghie. Luca e Umberto, i miei due parrucchieri di Calolziocorte, mi vedono soltanto quanto la frangetta arriva al naso».
Dal momento in cui si alza dal letto al momento in cui esce di casa, quante ore devono passare, come minimo?
(Si ripete ad alta voce la domanda). «Minuti 5 di orologio. Il tempo di vestirmi. Da 20 minuti a un’ora se invece lo chiede alla moglie, madre e zoofila».
Da sottosegretario al Turismo era dimagrita di 4 chili. E da quand’è ministro?
«Boh, non mi peso mai. L’unico indicatore è dato da quanto ballo dentro le gonne. In questo momento ci ballo abbastanza». (Il cellulare si mette a cantare: «Mi chiamo virgola / sono un gattino / sono la stella del telefonino». La avvertono che due cani randagi vagano tra Calolziocorte e Olginate. In cinque minuti il ministro coordina per telefono con disposizioni perentorie gli interventi di padre, autista, segretarie, accalappiacani, fino a chiudere con successo l’emergenza).
Una suoneria molto adatta per il Consiglio dei ministri.
«Mio figlio detesta ciò che faccio. Almeno questo contentino glielo dovevo. Da piccolo, quando mi vedeva nei telegiornali, scoppiava a piangere. L’ultima volta che i miei si sono dimenticati di spegnere il Tg e io gli sono apparsa sul video a tradimento, non ha fatto una piega. Quando torno da Roma, dormiamo nello stesso lettone. Spengo il computer alle 3 di notte. Alle 5 e mezzo Vittorio è già sveglio. Per guadagnare mezz’ora di sonno gli metto Barbapapà sul lettore dvd portatile. Poi giochiamo alla guerra dei baci e dei morsi. Vince sempre lui».
Chi dà i baci e chi dà i morsi?
«Secondo lei? Sono la classica mamma italiana, morbosissima. L’ho allattato fino a 15 mesi. Vedo colleghe e amiche che non vogliono avere figli perché si sentono in carriera. Sono delle pazze, delle pazze. Non è possibile rinunciare a una famiglia per una promozione. La carriera! Ma che cos’è la carriera?».
Appunto, parliamone. Il 24 febbraio Berlusconi l’ha nominata coordinatrice dei neonati Promotori della libertà, che fanno riferimento al presidente del Consiglio.
«Il Pdl è un modello di partito democratico diverso da tutti gli altri, fermi all’Ottocento. Perché si basa sul rapporto diretto fra il leader carismatico e il suo popolo. Berlusconi dialoga in prima persona con i promotori, ogni settimana gli spiega che cos’ha fatto e che cosa intende fare, gli assegna i compiti da svolgere. I promotori sono i suoi portavoce sul territorio. Con questo sistema lui parla direttamente alla gente e la gente parla direttamente a lui. E per gente intendo quella che s’incontra per strada, nei bar, sui bus, nei luoghi di lavoro, a scuola».
E come fanno a parlarsi?
«Lui con gli audiomessaggi, loro con Internet. È finita l’era dei politici chiusi nell’acquario con i cittadini a guardarli da fuori e l’Atlantico in mezzo. Quel partito lì Berlusconi non l’ha fatto, non vuol farlo e mai lo farà. Ho il compito di portargli, già segnate con l’evidenziatore giallo, pacchi di mail che gli danno il polso della situazione: come la gente interpreta una certa riforma, un certo disegno di legge, una certa polemica di palazzo».
Perché in molti gufano sullo stato di salute del governo?
«Per interesse di bottega. Siamo ben oltre il gufare: in molti stanno lavorando perché questo governo vada a casa. Ma gli italiani hanno capito fin troppo bene il giochino. Siamo assediati da politici irresponsabili che se ne infischiano del bene primario del Paese, cioè la stabilità uscita dalle urne».
Un nome per tutti: Gianfranco Fini. Tornerà sui suoi passi?
«A me sembra che si sia spinto troppo avanti. Comunque non dipende da Berlusconi, che per sua natura è sempre portato all’accordo».
Mi spiega per quale motivo Berlusconi ha scelto proprio lei come coordinatrice dei Promotori della libertà?
«Non lo so. Dovrebbe domandarlo a lui. Io non gliel’ho mai chiesto. Lo considero un privilegio e basta. Nasco imprenditrice e morirò imprenditrice, alla politica mi sono offerta in prestito. Non m’interessano i posti di potere, non ho proprio la logica delle poltrone. Ho seguito Berlusconi perché sono un’idealista. Vivo il governo come una missione. Passare molto tempo con lui è una scuola. Imparo a gestire le situazioni più difficili, copio per osmosi».
Anche Marinella, la segretaria da sempre al fianco del Cavaliere, di cognome fa Brambilla.
«Ma lei è una Brambilla tosta».
Perché, Michela Vittoria no? Arrivò persino a dire che i suoi avversari erano «come le mestruazioni: all’inizio fanno male ma poi passano».
«Me la ricordo quella frase apparsa sui giornali. Mi fece arrabbiare parecchio, perché, oltre a non averla mai pronunciata, non è nel mio stile. Però lei non troverà mai una mia replica, neppure alle cose più cattive scritte sul mio conto. Mai!».
Eccone una: L’Espresso l’ha accusata d’aver speso a carico del contribuente 500 euro al giorno per noleggiare una Mercedes con autista che la accompagnasse da casa al lavoro.
«Primo: io sono un ministro senza portafoglio. Secondo: la presidenza del Consiglio, quando si rende necessario per fini istituzionali, procura un’auto ai ministri senza portafoglio che arrivano in qualche città. Il relativo costo non dipende da me. Lo vede questo telefonino?».
Un Samsung un po’ datato.
«È l’unico che uso, perché ho rinunciato a quello che Palazzo Chigi mi aveva messo a disposizione e mi sono tenuta il mio vecchio numero. Il ministro del Turismo sta 24 ore al giorno attaccata al suo cellulare, parla con l’estero, e chi paga la bolletta? Michela Vittoria Brambilla».
Chapeau. Quanto?
(Telefona a Rinaldo Sala, amministratore delegato del gruppo Sal, ma non lo trova. Allora chiama tale Virna: «Tesoro, mi tiri fuori le ultime bollette del mio cellulare?»). «Ecco, sono in grado di risponderle in diretta: 4.054 euro da gennaio a maggio, 9.581 euro nel corso nel 2009. Totale: 13.635. E la vuol sapere un’altra cosa? I miei collaboratori, compresi autisti e carabinieri, poliziotti e finanzieri addetti alla tutela armata, pranzano insieme con me e alla fine il conto lo pago io. Ho minacciato di abbandonare una colazione di lavoro con un collega di governo che s’era permesso di lasciare il suo agente di scorta fuori in auto a digiuno».
Emilio Fede racconta che, mentre era in visita ad Arcore, Berlusconi gli chiese: «Ti dispiace se arriva la Brambilla?». «Ma figurati!», rispose lui. Poi, vedendo arrivare lei, se ne andò.
«Avrà avuto da fare. Emilio mi vuole molto bene. Lo stimo tantissimo. Ha un dote rara: s’ammazza di lavoro».
Nel 1991 lei fu imbarcata sulla nave Zefiro e andò a seguire la guerra del Golfo per conto del Tg4. Che cosa accadde per farle cambiare lavoro?
«In una pausa fra un programma e l’altro che curavo per Mediaset, mio padre rilevò a Milano il 50% del Salumaio, il negozio di via Montenapoleone. Preso dal nuovo impegno, mi pregò di dare un’occhiata per un paio di mesi ai conti di una sua azienda. Andarci e innamorarmi di questo lavoro fu tutt’uno. Ma considero quello del giornalista il mestiere più bello del mondo. E infatti conservo la mia rubrica domenicale sulla Provincia di Lecco. Si chiama Cani, gatti & C.».
Quanto deve della sua fama all’esibizione delle autoreggenti col pizzo nello studio di Porta a porta?
(Abbassa lo sguardo). «Quella che lei chiama esibizione fu uno scatto rubato mentre cercavo di sistemarmi sulla poltrona durante una pausa pubblicitaria. I fotografi s’erano seduti per terra per riprendermi a tradimento».
Malignano che lei abbia chiesto alla Vita in diretta di sostituire la poltroncina riservata agli ospiti con uno sgabello, più adatto a mostrare le gambe.
(Si fa seria). «Chi ha inventato questa indiscrezione deve soffrire di qualche tara».
Be’, ma non interpretava gli spot «Omsa, che gambe»?
«Mai fatto la modella, mai avuto ambizioni di sfondare nel mondo della moda o dello spettacolo. Da ragazza, mentre in agosto mi trovavo al Paradiso club di Cesenatico, per scherzo io e le mie amiche, spronate dal titolare della discoteca, partecipammo alle selezioni di Miss Italia che si tenevano quella sera. Fui prescelta come Miss Romagna. Poi, al primo anno di università, per guadagnarmi qualcosa posai in autoreggenti per un’agenzia fotografica di Milano che curava una campagna pubblicitaria della Omsa. Volevo rendermi indipendente economicamente dai miei. Fine dell’esperienza».
L’attore porno Rocco Siffredi dichiara che lo assilla l’idea di convincerla a recitare in uno dei suoi film.
«Ha capito adesso perché non replico mai alle notizie di stampa che mi riguardano? Se questo è il livello...».
Si vocifera di rapporti poco cordiali con Mara Carfagna, sul conto della quale lei avrebbe esclamato: «Chissenefrega di quella velina lì!».
«Vale la risposta che ho dato per la faccenda dello sgabello. Restano agli atti decine di lanci d’agenzia in cui prendevo le sue difese quando la attaccavano perché era approdata alla politica dal mondo dello spettacolo».
La Carfagna gioca di sponda con Italo Bocchino, il più fedele pretoriano di Fini.
«Non lo so. Non parlo di cose che non so».
Insieme, la Carfagna e Bocchino, hanno sponsorizzato e ottenuto la nomina a direttore del Tg2 di Mario Orfeo, ex direttore del Mattino di Napoli, la loro città, già caporedattore centrale della Repubblica.
«Io trovo che Orfeo faccia un bellissimo telegiornale».
In un’intervista la Carfagna è arrivata a proclamare successore naturale del Cavaliere proprio il più scomodo alleato di Berlusconi: «Stimo Fini da sempre e prima di aderire a Forza Italia ho votato Msi e An».
«Non lo sapevo. Per me è inconcepibile il solo pensare a una successione dell’unico leader possibile oggi e anche domani».
Da grande che cosa le piacerebbe fare?
«Sarebbe già tanto riuscire a far bene la mamma».
Giuliano Ferrara s’è prefigurato Mvb a Palazzo Chigi dopo Berlusconi.
(Scaccia il sacrilego vaticinio con un gesto della mano). «Giornalista geniale, Ferrara, ha tutta la mia stima. Ma io sono soltanto un soldato, guardi. Veramente. Mi creda. Mi crede?».

Stefano Lorenzetto