Stefano Lorenzetto, il Giornale 22/8/2010, 22 agosto 2010
INTERVISTA A MARIASTELLA GELMINI
L’appuntamento salta alla vigilia dell’incontro. Voce agitata al telefono: «Mia figlia sta male, 48 ore fa le hanno fatto il vaccino esavalente e ora ha la febbre a 38 e mezzo. Domani devo portarla dal pediatra, mi dispiace ». Passati altri due giorni, l’emergenza pare superata. Ma, dopo appena cinque minuti che la madre ha attaccato a parlare, la piccola Emma, 4 mesi compiuti il 10 agosto, «buona, dolcissima, tranquilla, cipi cipi cipi, vero tesoro?, un amore, mangia e dorme», comincia a dare segni d’irrequietezza. Gli strilli lacerano la quiete ovattata del Park Hotel Imperial di Limone sul Garda e mettono a dura prova l’equilibrio tra le forze contrapposte dello yin e dello yang che i turisti, soprattutto tedeschi e inglesi, vengono a cercare nel centro benessere tao.
La mamma, Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione, si sorprende: «Ma guarda! Non fa mai così, è la prima volta che piange». Però inquadra subito il problema con l’occhio dell’educatrice: «Giorgio, scusa, porta la sdraiètta », ordina per telefono, con la «è» larga-chepiù- larga-non-si-può dei bresciani. Il marito accorre premuroso dalla camera. In effetti la seggiolina reclinabile è il rimedio che ci voleva: Emma si tranquillizza. Era stufa di giacere nella carrozzina.
Dopo due ore d’intervista, per nulla soddisfatta dall’eloquio fluviale della madre, la bimba richiama di nuovo l’attenzione con strepiti inconsolabili. «Ha fame». La Gelmini dosa sei misurini di latte in polvere Humana 1. «Cavolo, ho dimenticato la mollettina per chiudere il sacchetto». Peccato che il barman abbia scaldato troppo l’acqua nel biberon. Il dorso vellutato della mano ministeriale, sottoposto al rito dello spruzzo preventivo, si rivela un termometro inattendibile, come del resto aveva previsto Palmiro Togliatti già nel secolo scorso: «Chi fa politica deve avere la pelle dell’elefante». Alla prima poppata la dolcissima lattante caccia un urlo disumano e assume tutti i colori dell’iride. M’improvviso pompiere. Immergo il biberon nel secchiello del ghiaccio che di norma accoglie le bottiglie di Cristal Roederer. «Lo vede che cosa succede a importunare le mamme in vacanza?». Ha ragione. Un po’ mi sento in colpa. «Per penitenza deve promettermi che questa sarà un’intervista rivoluzionaria».
Tutto quello che vuole, ma rivoluzionaria in che senso?
«Nel senso che lei non riuscirà a farmi parlare male di tutti, come succede nelle interviste».
Non nelle mie.
«Qui proveremo a parlar bene di qualcuno».
Per esempio?
«Di Silvio Berlusconi. Sta un chilometro avanti a tutti. Un caterpillar».
La notizia qual è?
«Lo vogliono ammazzare, questo mi pare chiaro. Ma lui rimane al centro dell’agone politico. Da 16 anni nessuno riesce a schiodarlo da lì. Gianfranco Fini s’è scontrato e ha perso. Pier Luigi Bersani scappa a gambe levate appena sente nominare le elezioni anticipate. Pier Ferdinando Casini lo critica tutti i giorni ma poi ci va a cena insieme. Umberto Bossi ha capito che il federalismo può passare solo con l’amico Silvio. Antonio Di Pietro ha costruito le sue fortune sul nemico da abbattere. E più lo combattono, più lo rafforzano. Ben venga la guerra a Berlusconi, tanto alla fine ne esce sempre vincitore».
Fortuna che la sinistra non se n’è accorta.
«Quando lo vedi sotto pressione, quello è il momento in cui dà il meglio di sé. Voi giornalisti, con i vostri scenari, di solito siete indietro di un mese rispetto alla sua testa».
Senta, io ero venuto qui anche per parlare della casa di Montecarlo.
«Ma allora non ha capito! Di Fini non parlo. Ma scusi, se le ho appena spiegato che voglio solo parlar bene di qualcuno! Pensi a Gianni Letta. Saggio come pochi, utile come pochissimi, dolce come nessuno. Riassume in una sola persona il sindaco, il parroco, il farmacista e il maresciallo dei carabinieri che un tempo avevano a cuore le sorti di ciascun paese d’Italia. Ecco, lui svolge la stessa funzione per il Paese con la “p” maiuscola».
Messaggio ricevuto. Lei è colomba, come Letta, e vuole la pace con Fini.
«Sono colomba, sì. In questa vicenda hanno giocato interessi di parlamentari vicini al presidente della Camera che volevano dimostrarsi più realisti del re. Però Fini ha sbagliato nel contrapporre due valori fondanti del Partito della libertà, garantismo e legalità». (Si mette bene: sta parlando male di Fini). «La cosa peggiore è che ha dato l’impressione di agitare la bandiera della legalità per far dimettere Berlusconi. Lui dice che non era nelle sue intenzioni. Però, quando ha chiesto l’allontanamento dei politici indagati, è precisamente quella cosa lì che tutti hanno capito. E ciò ha minato il rapporto fiduciario col leader del Pdl».
Quindi?
«Siamo stati eletti per governare. Se alle dichiarazioni di principio non seguiranno i fatti, non tireremo a campare. Niente papocchi, tipo terzo polo o governo tecnico. Subito alle urne. Dicono che andare a nuove elezioni è da irresponsabili? No, è da irresponsabili la palude, la perdita di tempo, il tradimento degli elettori, il sabotaggio delle riforme».
È vero che il premier è furioso perché i suoi più stretti collaboratori gli avevano prospettato come molto più esiguo il numero dei deputati finiani?
«Ho avuto la sensazione che qualcuno perseguisse la rottura tra Berlusconi e Fini solo perché quando una torta viene divisa tra meno contendenti si possono fare le fette più larghe».
Si sussurra che lei subentrerà a Denis Verdini come coordinatrice unica del Pdl.
«Berlusconi non me ne ha mai parlato. Io mi preoccupo solo di fare bene il ministro. Alla ripresa dell’anno scolastico ci attende la riforma della scuola superiore, che finalmente sancirà la parità fra licei e istituti tecnici. In Italia ogni anno le aziende cercano, per assumerli, 70.000 profili professionali che la scuola non forma. Questa riforma darà dignità al lavoro manuale. Col collega Maurizio Sacconi siamo riusciti a introdurre il contratto di apprendistato, con cui i giovani potranno mettersi alla prova».
Ma se fra novembre e marzo si tornasse alle urne, il suo ruolo quale sarebbe? La definiscono «una macchina da voti».
«I voti li prende Berlusconi. Certo, girerei per le piazze. La Lega insegna: guai a imborghesirsi! Il Carroccio è un grande partito del Nord, elemento di stabilità per l’intero governo. Ma già Forza Italia era il partito più votato nel Settentrione. E anche nel Meridione. A maggior ragione dev’esserlo il Pdl, alleato leale ma non succube della falange bossiana».
Com’è arrivata in politica?
«Per passione, a 21 anni. Abitavo a Desenzano. Era il 1994. Sentii il discorso della discesa in campo di Berlusconi e corsi a iscrivermi al club di Forza Italia del mio paese. La prima battaglia fu per rovesciare la Giunta di sinistra. Fui eletta presidente del Consiglio comunale. Poi assessore provinciale. Infine consigliere regionale».
Tradizione di famiglia. Suo padre Italo, scomparso nel 2003, era stato sindaco di Milzano, nella Bassa bresciana, per la Dc.
«Io non mi ero mai occupata di politica».
Ha nostalgia della Democrazia cristiana?
«No. Ma ho rispetto per quella storia».
Pensi a quanti leader ha avuto la Dc: De Gasperi, Fanfani, Moro, Andreotti, Scelba, Tambroni, Gonella, Rumor, Cossiga, Forlani, De Mita, Gava, Prodi, Piccoli, Bisaglia, Taviani, Colombo. Un elettore di oggi pensa a un premier del Pdl dopo Berlusconi e non gli viene in mente nessuno.
«La leadership è carismatica. Dopo di lui, sempre lui. La sinistra parla tanto dei giovani. Berlusconi li mette nel governo. È stato l’unico a svecchiare l’età media della politica».
Il vostro primo incontro quando avvenne?
«Nel maggio del 2005 ad Arcore, subito dopo il successo alle elezioni regionali. Avevo raccolto 17.000 preferenze uniche, superando pezzi grossi come Margherita Peroni e Franco Nicoli Cristiani che erano alla loro seconda o terza legislatura. Parlammo per una mezz’oretta. Berlusconi mi chiese: “ Ma come hai fatto a prendere così tanti voti?”. Risposi: ho battuto il territorio, andando cascina per cascina. Di lì a pochi giorni mi nominò coordinatrice regionale di Forza Italia in Lombardia. Una scelta eversiva. Anche incauta. Ma lui agisce così, d’istinto».
A me risulta che a presentarla al Cavaliere sia stato Giacomo Tiraboschi, il capo dei giardinieri di Villa San Martino.
«Vero. Che è anche il produttore di Melaverde su Rete 4. Sa come conobbi Tiraboschi? Durante una puntata sulle limonaie del Garda che Edoardo Raspelli e Gabriella Carlucci vennero a girare proprio a Limone. Io partecipai come assessore provinciale all’agricoltura».
Ma il premier è così seduttivo come raccontano, con le donne?
«Non è seduttivo solo con le donne. Dispiega un carisma speciale in tutti i rapporti interpersonali. Riesce a cogliere subito che cosa sei capace di fare e te lo fa fare. Un autentico rivoluzionario, privo di pregiudizi».
A parte l’alitosi da aglio, la stretta di mano sudata, i baffi, la pinguedine.
«È attento all’estetica. Ma quando s’è innamorato di Giuliano Ferrara, che anche per me è una delle più belle teste in circolazione, non si è certo lasciato condizionare dal peso: l’ha nominato suo ministro. Lo stesso con le donne. Mi dica quale altro governo della Repubblica ha avuto cinque ministre. Il Cavaliere è un talent scout, che manda avanti chi se lo merita. Guardi invece la sinistra: mai una faccia nuova. Massimo D’Alema e Walter Veltroni facevano già parte dell’arredo di Botteghe Oscure quando c’era da disputarsi la successione ad Achille Occhetto. Preistoria».
Provò disagio quando Berlusconi fu messo in piazza per la sua notte brava con Patrizia D’Addario?
«Disagio no. Però mi stupì molto che la battaglia politica si fosse immiserita fino a quel punto, spostandosi sul piano privato. Ma i fatti alla fine prevalgono sulle maldicenze. Se Barack Obama scende a picco nei sondaggi e Berlusconi no, significa che gli italiani badano ai fatti, non a ciò che scrive La Repubblica. Ecco, ora mi fa parlare dei fatti che i giornali non riportano mai? Me l’ha promesso».
Non posso sottrarmi. Ma sia telegrafica.
«Penso ai provvedimenti presi dal governo Berlusconi nei primi due anni di legislatura. Ricostruzione dell’Abruzzo. Emergenza rifiuti in Campania. Salvataggio dell’Alitalia. Blocco degli sbarchi di immigrati clandestini. Piano carceri. Ritorno al nucleare. Nuovo codice della strada. Ripresa delle grandi opere. Ci vorrebbe una pagina solo per le riforme: federalismo fiscale, processo civile, università, scuola superiore, pubblico impiego».
Di pagine ne ho due, ma temo che non basterebbero.
«Abbassati gli stipendi a politici, magistrati e alti dirigenti pubblici. Tagliate del 10% le spese dei ministeri. Ridotte del 20% le autoblù. Nessun aumento delle tasse. Nessuna decurtazione di stipendi e pensioni. Bonus elettricità, bonus gas, bonus vacanze. Social card ai più bisognosi. Fondo per i nuovi nati: 85 milioni di euro. Fondo di garanzia per le giovani coppie impegnate nell’acquisto della prima casa: 24 milioni di euro. Abolizione dell’Ici sulla prima casa».
Ho capito.
«Un attimo. Piano casa per 100.000 nuovi alloggi popolari in cinque anni. Stop all’aumento dei mutui nel 2008 per venire incontro alle famiglie strozzate dalla crisi economica che non ce la facevano a pagare le rate. Aumento di 20 milioni di euro per il fondo affitti. Blocco dell’esecuzione degli sfratti per tutto il 2010».
Va bene.
«E la politica estera dove me la mette? Risoluzione della crisi Russia-Georgia. Riavvicinamento Usa-Russia. G8 all’Aquila. Chiusura della questione coloniale con la Libia».
Con Gheddafi abbiamo finito?
«No. Ho lasciato indietro il lavoro. A difesa delle famiglie, delle imprese e dell’economia reale nel solo 2009 sono stati stanziati 55,8 miliardi di euro. Abbiamo contrastato il lavoro nero con oltre 100.000 controlli dell’Inps che hanno individuato 1 miliardo e 253 milioni di contributi non versati. Della lotta alla criminalità non parlo».
Consideriamola un fatto acquisito.
«Quella i giornali sono costretti a registrarla per forza. Ha fatto catturare più latitanti mafiosi il ministro dell’Interno in carica che quelli succedutisi negli ultimi 20 anni».
È un’intervista vacanziera, dobbiamo tornare alle frivolezze. Dichiarazioni d’amore per lei su Facebook: «Sei carina, voglio invitarti a cena». Firmato Luca Ernegro.
«Però...».
«Prima di essere un ministro, sei una gran bella donna». Antonello Paradiso.
«Oh là! Ci sono anche paginate di ingiurie».
Tinto Brass la trova decisamente sexy e dice che le ha chiesto di poter proiettare i propri film nelle scuole: «Sono più educativi delle pellicole di guerra!».
«Non mi risulta. Né che me l’abbia chiesto né che siano educativi».
Il conduttore Francesco Facchinetti, figlio del tastierista dei Pooh, ha confessato: «A me Mariastella piace di brutto. Sarà per quell’occhiale serioso,sarà che ha tutta questa voglia di riforme... La cosa mi suona ambigua».
«In effetti sono un po’ fissata con le riforme. Ma non oserei mai riformare Dj Francesco».
Lei abita a Padenghe e viene in vacanza a Limone, 40 chilometri in linea d’aria. O ama molto il Garda o è molto refrattaria ai cambiamenti.
«Amo molto il Garda. Anzi, chiederò alla collega Michela Vittoria Brambilla, ministro del Turismo, d’aiutarmi a promuoverlo».
Sarebbe interesse privato in atti d’ufficio.
«Assolutamente sì, e con questo? Non vedo perché si parli sempre e solo dei Vip che cercano casa sul lago di Como».
Casca male: la Brambilla risiede lì.
«Appunto: deve dimostrare d’essere imparziale. Se conoscesse il Garda, George Clooney avrebbe affittato una villa qui. Quand’è nata Emma, mi sono trasferita in un appartamento più grande nei pressi del Senato, assediato da traffico, rumore e smog. Il fine settimana dalle mie parti per me è già vacanza».
Prima dove abitava a Roma?
«In un minialloggio in via Arenula».
Da laureata in giurisprudenza puntava al ministero della Giustizia che ha sede lì, confessi.
«No, è che costava poco d’affitto, mentre adesso mi tocca pagare 2.500 euro al mese. Non volevo diventare ministro né della Giustizia né dell’Istruzione».
E che cosa le sarebbe piaciuto fare?
«Da bambina sognavo di diventare ballerina. Ho studiato danza classica per sei anni».
Avrebbe potuto fidanzarsi con Roberto Bolle, pensi che occasione sprecata.
«Mi è andata bene lo stesso».
Giorgio Patelli, «geologo bergamasco dai modi galanti», narrano le cronache rosa.
«Ci siamo conosciuti due anni e mezzo fa a una cena tra amici, a Milano».
Dove? In una casa privata?
«Non si può dire, si capirebbe tutto. Non c’entra la politica, comunque. E da lì abbiamo bruciato le tappe: fidanzamento, matrimonio, figlia».
La descrivono «molto cattolica, bambina all’oratorio, studentessa alla scuola dei preti». Però s’è sposata civilmente.
«Giorgio è divorziato, alle sue seconde nozze. Avrei preferito sposarlo religiosamente. Non posso chiedere l’assoluzione: non c’è».
Da bambina dove andava in vacanza?
«Non ci andavo. Continuavo a frequentare la mia parrocchia di confine, a Gottolengo, dove don Giuseppe lasciava che maschi e femmine giocassero insieme a pallavolo e a basket. Un punto di ritrovo sano: catechismo, film, recite teatrali. Altro che i luoghi di aggregazione d’oggi, tipo i pub, dove più in là della birra non si va. Mio padre, agricoltore, aveva scavato un laghetto artificiale, 30 metri per 15, accanto alla nostra cascina di Pavone Mella. Con i miei tre fratelli mi tuffavo lì».
Credevo che oltre a Cinzia ci fosse solo Giuseppe, suo fratello maggiore.
«C’era anche Rodolfo. Perse la vita a 33 anni in un incidente a Pontevico. Nella nebbia si schiantò contro un camion che aveva invaso la carreggiata. Morì sul colpo. Perciò ho a cuore l’educazione stradale nelle scuole».
Ad aprile è diventata mamma. A giugno ha perso la sua, di mamma. È come se il testimone della vita fosse passato a lei.
«E io l’ho passato a mia figlia, che infatti di secondo nome si chiama Wanda, come la nonna. Mia madre era malata da circa sette anni, ultimamente aveva difficoltà di parola. Ma prima di morire ha potuto vedere questa nipote e gli occhi parlavano per lei».
Ha rivelato che, appena entrata in politica, sua mamma «si preoccupava da morire». Si sente in colpa?
«No. Era una donna forte. Mi ha insegnato a spendermi per quello in cui credo. Semmai sono io ad avere qualche senso di colpa verso mia figlia,anche se penso che l’amore si misuri dalla qualità, e non dalla quantità, del tempo che i genitori riservano ai loro bimbi».
Parliamo della quantità.
«A Roma dormiamo nello stesso letto, Emma e io, sole solette. Alle 8 le do il biberon. Poi leggiamo i giornali, ma non mi sembra molto interessata. Dalle 9alle 14 sta con la tata. Alle 14 rientro dal ministero e rimango con lei fino alle 16. Quindi torno a viale Trastevere, da dove non rincaso mai prima delle 20.30. Nel week-end ci rifugiamo a Padenghe. Avrebbe diritto alla tessera Freccia alata».
Come le è saltato in mente di dichiarare a Io Donna che le neomamme in astensione obbligatoria sono delle privilegiate?
«Intendevo dire che non tutte le donne possono permettersi di stare a casa per molti mesi dopo il parto. Pensavo alle contadine del mio paese o alle negozianti di Sirmione, costrette a tornare al lavoro col figlio al collo. Si è voluto capovolgere il mio ragionamento per farmi passare dalla parte del torto».
Marina Corradi, figlia del grande Egisto, le ha rivolto un’esortazione dalle pagine di Avvenire : «Signora Ministro, si prenda il tempo più bello».
«Ho cercato di ascoltare quel consiglio. Infatti sono tornata a Roma dopo un mese. Ma un ministro ha anche dei doveri verso la nazione. Non potevo accantonare la riforma universitaria per dedicarmi solo a mia figlia».
Dev’essere un inferno l’avanti e indrè dalla capitale con un frugoletto di pochi mesi.
«È impegnativo. Ma sono avvantaggiata rispetto a tante mamme. Per esempio approfitto del volo di Stato che da Milano porta nella capitale il presidente Berlusconi, i ministri Giulio Tremonti, Ignazio La Russa e Roberto Calderoli, senatori e deputati».
Converrebbe aprire il Parlamento del Nord.
«Perché no? Ma Tremonti non lo permetterà mai. Si duplicherebbero le spese».
Il congedo parentale di cui si può fruire dopo i tre mesi di vita del bambino, per un totale di 180 giorni retribuiti solo in parte, andrebbe ampliato o ridotto?
«Né ampliato né ridotto. Semplicemente servono più investimenti. In Italia manca un welfare dell’infanzia, fatto di asili nido e bonus bebè. Penso anche al quoziente familiare, che consentirebbe di suddividere il reddito in base al numero dei componenti della famiglia e applicare quindi aliquote fiscali più basse».
Perché alla neomamma insegnante non concede di mettersi in aspettativa senza stipendio e senza scatti di anzianità per tutto il tempo che desidera? Lei assume una supplente, che le costa pure meno.
«Sbagliato. Si creerebbero supplenti a vita. Già mi trovo a dover gestire 150.000 precari, un’eredità pesantissima. La continuità didattica è un valore».
Un anno fa le chiesi: come farà a mettere un tetto del 30% alla presenza di alunni extracomunitari se in alcune classi arrivano oltre il 90%? Mi rispose: «Il come lo decideremo». L’ha deciso?
«L’ho fatto. C’è stata una verifica al ministero, prima delle vacanze, con i direttori scolastici regionali. La redistribuzione degli alunni immigrati all’interno del plesso,o nei plessi vicini,è arrivata all’87%».
Ma se mia cognata insegna in una classe dove ci sono 21 figli di immigrati su 21, mi spiega con quali italiani li integra?
«In alcune zone di Milano e Roma, e nelle metropoli in genere, permane un certo margine di scostamento. Così pure in realtà difficili come Prato, dove la presenza degli immigrati cinesi è massiccia».
Mia cognata insegna a Verona.
«Certo che è ben sfortunata sua cognata. Nessuno ha la bacchetta magica per risolvere i problemi della scuola. Lei pensi solo a questo: in Italia ci sono più bidelli, 165.000, che carabinieri, 112.000. Dopodiché le pulizie sono state affidate alle cooperative, con raddoppio della spesa. E abbiamo le scuole sporche. Sarà mica colpa del ministro Gelmini?».
Sa che cosa dicono i suoi detrattori? Che la Gelmini propone ma Tremonti dispone. Lei non sarebbe altro che la cesoia d’oro con cui il ministro dell’Economia sfronda i bilanci della scuola pubblica.
«Dormo serena. I soldi delle tasse sono dei cittadini, non di Tremonti. Si progetta insieme, tenendo conto delle risorse. Questo non è il governo dello scaricabarile, ma del gioco di squadra. Non riusciranno a farci litigare».
Il ministro Renato Brunetta ha litigato con Tremonti proprio sul rigore.
«Eh, ma quelle sono liti fra professori».
«Taglia, taglia,l’alunno raglia». Non c’è un po’ di verità in questo slogan scandito durante gli ultimi scioperi della scuola?
«Se lei va a controllare le classifiche, l’alunno ragliava anche in anni di vacche grasse. Il governo Berlusconi ha stanziato 1 miliardo di euro per l’edilizia scolastica, il centrosinistra solo 300 milioni. Sarebbero questi i tagli?».
Bersani dice che i docenti sono i veri eroi moderni, perché tamponano il disagio sociale nelle periferie.
«Ma sì, sono d’accordo. Se non fosse che il demagogo Bersani ci propina queste frasi per strappare l’applauso. Gli insegnanti che per decenni hanno visto applicare nella scuola le ricette di Bersani & C. non è che sianocosì contenti della sinistra, visto che un docente di scuola secondaria superiore guadagna, con 15 anni d’anzianità, meno di 30.000 euro lordi l’anno,tredicesima compresa, contro i 50.000 di un collega tedesco e i 40.000 abbondanti di un finlandese. Che poi non si comprende quale sia la ricetta del Partito democratico. Non solo per la scuola: anche per l’economia,la sicurezza,l’immigrazione. Bersani non ha ricette per niente. È la tragedia dell’Italia: manca un’opposizione».
Ma lei ha aumentato gli stipendi?
«Una parte dei 2 miliardi di euro risparmiati grazie ai tagli della finanziaria 2009 servirà per recuperare gli scatti di anzianità dei lavoratori della scuola, che altrimenti resterebbero bloccati per tre anni come stabilito dall’ultima manovra».
Fra i suoi interventi,c’è stata la reintroduzione del voto in decimi nella scuola primaria. È davvero convinta che un numero in pagella aiuti un alunno a crescere?
«Sono convinta che la chiarezza aiuti sempre. Ero arrivata a leggere giudizi astrusi, compilati con lo stampino. Almeno un 5 è un 5 e un 8 è un 8, senza giri di parole».
Com’è che la Puglia è in testa alla classifica nazionale dei diplomati con lode? Per non parlare del resto del Sud: ben 26 al liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Reggio Calabria, contro i 3 del classico Tito Livio di Padova.
«Quando due anni fa rilevai che questi dati rimandavano a una maggior disinvoltura degli insegnanti meridionali nell’assegnare i voti, fui sepolta dalle critiche. Prima di me il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, aveva detto la stessa cosa - “un quindicenne su cinque nel Mezzogiorno versa in una condizione di povertà di conoscenze, anticamera della povertà economica”- e nessuno aveva osato fiatare. Non è un’accusa, ma un dato di realtà su cui riflettere, un divario da colmare. La dispersione scolastica al Sud è di 10 punti superiore alla media europea».
Qual è stata la percentuale dei bocciati quest’anno?
«È salita dal 10,9% all’ 11,4%, perché è rimasta la severità nelle valutazioni. Ci sono stati 10.000 bocciati col 5 in condotta».
Dobbiamo considerarlo un successo o un disastro?
«Ripetere l’anno è sempre molto brutto. Ma promuovere tutti d’ufficio è peggio».
A luglio ha varato il Piano nazionale per la qualità e il merito, affidandolo a Roger Abravanel, manager di formazione McKinsey. L’altro suo consulente di fiducia è il professor Giorgio Israel. Come mai la sua scelta è caduta su due intellettuali ebrei? Badi bene, le avrei chiesto la stessa cosa se si fosse scelta due esperti di religione musulmana o protestante.
«Pura coincidenza. Sono arrivata ad Abravanel dopo aver letto il suo libro Meritocrazia . È un civil servant che non vuole nemmeno essere pagato.Lo fa solo per restituire alla società un po’ del tanto che la vita gli ha regalato».
Un altro suo consulente è il mio amico Renato Farina, oggi parlamentare Pdl, o sbaglio?
«È una persona meravigliosa. All’ora di cena mi manda un Sms che è una specie di preghiera».
Ascolta, si fa sera.
«Renato Farina lo adoro. Confesso questa mia passione».
Suo consigliere politico è il deputato Giorgio Stracquadanio, un dinamitardo, l’esatto contrario di lei.
«Coincidentia oppositorum . Lui è un incendiario, molto più bravo di me nelle arringhe contro la sinistra. Del resto, 40 anni di sessantottismo nella scuola non si cancellano dalla sera alla mattina, un po’ di grinta ci vuole».
Lei che avvocato era prima di diventare ministro?
«Facevo la praticante nello studio dell’avvocato Alberto Scapaticci, a Brescia. Mi occupavo di cause civili. Liti fra coniugi. Al momento della separazione, ricordo d’aver visto una coppia contendersi persino le tazzine del caffè. Quando l’amore si trasforma in odio,qualsiasi pretesto diventa buono per scannarsi. Fu un’esperienza molto triste».
È ancora una fan di Vasco Rossi?
«Sì. Alcune sue canzoni sono bellissime».
Per esempio?
« Albachiara».
Un inno all’autoerotismo femminile.
«Macché, macché, ma cosa dice?».
Nella strofa finale: «Qualche volta fai pensieri strani / con una mano, una mano, ti sfiori, / tu sola dentro la stanza / e tutto il mondo fuori».
«Non l’avevo mai colta,non entriamo in questi dettagli, non mi rovini Albachiara».
Il sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi, voleva negare il Teatro Romano al cantautore Morgan, quello che ha confessato di utilizzare la cocaina come antidepressivo: «Un esempio negativo per i giovani». Vasco Rossi vuole una vita spericolata, ha usato le amfetamine, dice che la marijuana non è più pericolosa dell’alcol. Come ministro dell’Istruzione dovrebbe cambiare idolo, non crede?
«Non mi faccia il bigotto. Amo anche Mina, Tiziano Ferro, Francesco Renga. E pure Adriano Celentano, ma solo quando canta, non quando parla».
È favorevole alla caccia, ho letto. Perché nel Bresciano c’è la Beretta oppure perché le piacciono gli uccellini allo spiedo?
«Mai mangiati. Rispetto una tradizione che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che è strettamente connessa alla cultura contadina. Non nego che nel mio territorio l’industria delle armi abbia anche un considerevole risvolto economico».
Se il suo collegio elettorale fosse a Sanremo, sarebbe favorevole alle rose.
«Questo lo dice lei. Non demonizziamo la caccia».
Quando ha un dubbio serio, con chi si confida?
«Con mio marito. Essendo estraneo alla politica, è molto lucido, equilibrato».
Le è capitato di confrontarsi col suo predecessore Giuseppe Fioroni?
«Sì, ma poi ci siamo persi di vista. Spero di poter riprendere il dialogo».
A sua sorella maestra, sindacalista della Cgil, ha mai chiesto consiglio?
«Come no. È una donna pragmatica, non ideologizzata, che si occupa dell’integrazione dei bambini immigrati. Era molto d’accordo sul tetto del 30% di alunni stranieri nelle classi».
Non si chiede mai: ma perché ho accettato l’incarico di ministro?
«Qualche volta. Specie quando mi rendo conto che la gente non crede che i ministri lavorino 15 ore al giorno».
Nel tempo libero che cosa le piace fare?
«Non dare interviste. Abbiamo finito?».