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 2010  agosto 22 Domenica calendario

INTERVISTA A MARIASTELLA GELMINI


L’appuntamento salta al­la vigilia dell’incontro. Voce agitata al telefono: «Mia figlia sta male, 48 ore fa le hanno fatto il vac­cino esavalente e ora ha la febbre a 38 e mezzo. Domani devo portarla dal pediatra, mi dispia­ce ». Passati altri due gior­ni, l’emergenza pare su­perata. Ma, dopo appe­na cinque minuti che la madre ha attaccato a par­­lare, la piccola Emma, 4 mesi compiuti il 10 ago­sto, «buona, dolcissima, tranquilla, cipi cipi cipi, vero tesoro?, un amore, mangia e dorme», comin­cia a dare segni d’irrequietezza. Gli strilli lacerano la quiete ovattata del Park Hotel Imperial di Limone sul Garda e mettono a dura prova l’equilibrio tra le forze contrapposte dello yin e dello yang che i turi­sti, soprattutto tede­schi e inglesi, vengono a cercare nel centro benessere tao.

La mamma, Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione, si sorprende: «Ma guarda! Non fa mai così, è la prima volta che piange». Però inquadra subito il problema con l’occhio del­l’educatrice: «Giorgio, scusa, porta la sdraièt­ta », ordina per telefono, con la «è» larga-che­più- larga-non-si-può dei bresciani. Il marito accorre premuroso dalla camera. In effetti la seggiolina reclinabile è il rimedio che ci voleva: Emma si tranquillizza. Era stufa di giacere nella carrozzina.

Dopo due ore d’intervista, per nulla soddi­sfatta dall’eloquio fluviale della madre, la bim­ba richiama di nuovo l’attenzione con strepiti inconsolabili. «Ha fame». La Gelmini dosa sei misurini di latte in polvere Humana 1. «Cavolo, ho dimenticato la mollettina per chiudere il sac­chetto». Peccato che il barman abbia scaldato troppo l’acqua nel biberon. Il dorso vellutato della mano ministeriale, sottoposto al rito del­lo spruzzo preventivo, si rivela un termometro inattendibile, come del resto aveva previsto Pal­miro Togliatti già nel secolo scorso: «Chi fa poli­tica deve avere la pelle dell’elefante». Alla pri­ma poppata la dolcissima lattante caccia un ur­lo disumano e assume tutti i colori dell’iride. M’improvviso pompiere. Immergo il biberon nel secchiello del ghiaccio che di norma acco­glie le bottiglie di Cristal Roederer. «Lo vede che cosa succede a importunare le mamme in vacanza?». Ha ragione. Un po’ mi sento in col­pa. «Per penitenza deve promettermi che que­sta sarà un’intervista rivoluzionaria».
Tutto quello che vuole, ma rivoluzionaria in che senso?
«Nel senso che lei non riuscirà a farmi parlare male di tutti, come succede nelle interviste».
Non nelle mie.
«Qui proveremo a parlar bene di qualcu­no».
Per esempio?
«Di Silvio Berlusconi. Sta un chilometro avanti a tutti. Un caterpillar».
La notizia qual è?
«Lo vogliono ammazza­re, questo mi pare chia­ro. Ma lui rimane al cen­tro dell’agone politico. Da 16 anni nessuno rie­sce a schiodarlo da lì. Gianfranco Fini s’è scon­trato e ha perso. Pier Lui­gi Bersani scappa a gam­be levate appena sente nominare le elezioni an­ticipate. Pier Ferdinan­do Casini lo critica tutti i giorni ma poi ci va a ce­na insieme. Umberto Bossi ha capito che il fe­deralismo può passare solo con l’amico Silvio. Antonio Di Pietro ha co­struito le sue fortune sul nemico da abbattere. E più lo combattono, più lo rafforzano. Ben venga la guerra a Berlusconi, tanto alla fine ne esce sempre vincitore».
Fortuna che la sini­stra non se n’è accor­ta.
«Quando lo vedi sotto pressione, quello è il mo­mento in cui dà il meglio di sé. Voi giornalisti, con i vostri scenari, di solito siete indietro di un me­se rispetto alla sua te­sta».
Senta, io ero venuto qui anche per parlare della casa di Monte­carlo.
«Ma allora non ha capito! Di Fini non parlo. Ma scusi, se le ho appena spiegato che voglio solo parlar bene di qualcuno! Pensi a Gianni Letta. Saggio come pochi, utile come pochissimi, dol­ce come nessuno. Riassume in una sola perso­na il sindaco, il parroco, il farmacista e il mare­sciallo dei carabinieri che un tempo avevano a cuore le sorti di ciascun paese d’Italia. Ecco, lui svolge la stessa funzione per il Paese con la “p” maiuscola».
Messaggio ricevuto. Lei è colomba, come Letta, e vuole la pace con Fini.
«Sono colomba, sì. In questa vicenda hanno giocato interessi di parlamentari vicini al presidente della Camera che volevano dimostrarsi più realisti del re. Però Fini ha sba­gliato nel contrapporre due valori fondanti del Partito della libertà, garantismo e legali­tà». (Si mette bene: sta parlando male di Fi­ni). «La cosa peggiore è che ha dato l’impres­sione di agitare la bandiera della legalità per far dimettere Berlusconi. Lui dice che non era nelle sue intenzioni. Però, quando ha chiesto l’allontanamento dei politici indaga­ti, è precisamente quella cosa lì che tutti han­no capito. E ciò ha minato il rapporto fiducia­rio col leader del Pdl».
Quindi?
«Siamo stati eletti per governare. Se alle di­chiarazioni di principio non seguiranno i fat­ti, non tireremo a campare. Niente papoc­chi, tipo terzo polo o governo tecnico. Subi­to alle urne. Dicono che andare a nuove ele­zioni è da irresponsabili? No, è da irrespon­sabili la palude, la perdita di tempo, il tradi­mento degli elettori, il sabotaggio delle rifor­me».
È vero che il premier è furioso perché i suoi più stretti collaboratori gli avevano prospettato come molto più esiguo il nu­mero dei deputati finiani?
«Ho avuto la sensazione che qualcuno perseguis­se ­la rottura tra Berlusco­ni e Fini solo perché quando una torta viene divisa tra meno conten­denti si possono fare le fette più larghe».
Si sussurra che lei su­bentrerà a Denis Ver­dini come coordinatri­ce unica del Pdl.
«Berlusconi non me ne ha mai parlato. Io mi pre­occupo solo di fare bene il ministro. Alla ripresa dell’anno scolastico ci at­tende la riforma della scuola superiore, che fi­nalmente sancirà la pari­tà fra licei e istituti tecni­ci. In Italia ogni anno le aziende cercano, per as­sumerli, 70.000 profili professionali che la scuo­la non forma. Questa ri­forma darà dignità al la­voro manuale. Col colle­ga Maurizio Sacconi sia­mo riusciti a introdurre il contratto di apprendista­to, con cui i giovani po­tranno mettersi alla pro­va».
Ma se fra novembre e marzo si tornasse alle urne, il suo ruolo qua­le sarebbe? La defini­scono «una macchina da voti».
«I voti li prende Berlusco­ni. Certo, girerei per le piazze. La Lega insegna: guai a imborghesirsi! Il Carroccio è un grande partito del Nord, ele­mento di stabilità per l’intero governo. Ma già Forza Italia era il partito più votato nel Settentrione. E anche nel Meridione. A mag­gior ragione dev’esserlo il Pdl, alleato leale ma non succube della falange bossiana».
Com’è arrivata in politica?
«Per passione, a 21 anni. Abitavo a Desenza­no. Era il 1994. Sentii il discorso della disce­sa in campo di Berlusconi e corsi a iscriver­mi al club di Forza Italia del mio paese. La prima battaglia fu per rovesciare la Giunta di sinistra. Fui eletta presidente del Consi­glio comunale. Poi assessore provinciale. Infi­ne consigliere regionale».
Tradizione di famiglia. Suo padre Italo, scomparso nel 2003, era stato sindaco di Milzano, nella Bassa bresciana, per la Dc.
«Io non mi ero mai occupata di politica».
Ha nostalgia della Democrazia cristiana?
«No. Ma ho rispetto per quella storia».
Pensi a quanti leader ha avuto la Dc: De Ga­speri, Fanfani, Moro, Andreotti, Scelba, Tambroni, Gonella, Rumor, Cossiga, Forla­ni, De Mita, Gava, Prodi, Piccoli, Bisaglia, Taviani, Colombo. Un elettore di oggi pen­sa a un premier del Pdl dopo Berlusconi e non gli viene in mente nessuno.
«La leadership è carismatica. Dopo di lui, sem­pre lui. La sinistra parla tanto dei giovani. Berlu­sconi li mette nel governo. È stato l’unico a svec­chiare l’età media della politica».
Il vostro primo incontro quando avvenne?
«Nel maggio del 2005 ad Arcore, subito dopo il successo alle elezioni regionali. Avevo raccolto 17.000 preferenze uniche, superando pezzi grossi come Margherita Peroni e Franco Nicoli Cristiani che erano alla loro seconda o terza le­gislatura. Parlammo per una mezz’oretta. Ber­lusconi mi chiese: “ Ma come hai fatto a prende­re così tanti voti?”. Risposi: ho battuto il territo­rio, andando cascina per cascina. Di lì a pochi giorni mi nominò coor­dinatrice regionale di Forza Italia in Lombar­dia. Una scelta eversiva. Anche incauta. Ma lui agisce così, d’istinto».
A me risulta che a pre­sentarla al Cavaliere sia stato Giacomo Tiraboschi, il capo dei giardinieri di Villa San Martino.
«Vero. Che è anche il pro­duttore di Melaverde su Rete 4. Sa come conobbi Tiraboschi? Durante una puntata sulle limo­naie del Garda che Edo­ardo Raspelli e Gabriella Carlucci vennero a gira­re proprio a Limone. Io partecipai come assesso­re provinciale all’agricol­tura».
Ma il premier è così se­du­ttivo come raccon­tano, con le donne?
«Non è seduttivo solo con le donne. Dispiega un carisma speciale in tutti i rapporti interper­sonali. Riesce a cogliere subito che cosa sei capa­ce di fare e te lo fa fare. Un autentico rivoluzio­nario, privo di pregiudi­zi».
A parte l’alitosi da aglio, la stretta di ma­no sudata, i baffi, la pinguedine.
«È attento all’estetica. Ma quando s’è innamorato di Giuliano Ferra­ra, che anche per me è una delle più belle te­ste in circolazione, non si è certo lasciato condizionare dal peso: l’ha nominato suo mini­stro. Lo stesso con le donne. Mi dica quale altro governo della Repubblica ha avuto cin­que ministre. Il Cavaliere è un talent scout, che manda avanti chi se lo merita. Guardi in­vece la sinistra: mai una faccia nuova. Massi­mo D’Alema e Walter Veltroni facevano già parte dell’arredo di Botteghe Oscure quando c’era da disputarsi la successione ad Achille Occhetto. Preistoria».
Provò disagio quando Berlusconi fu mes­so in piazza per la sua notte brava con Patrizia D’Addario?
«Disagio no. Però mi stupì molto che la batta­glia politica si fosse immiserita fino a quel punto, spostandosi sul piano privato. Ma i fatti alla fine prevalgono sulle maldicenze. Se Barack Obama scende a picco nei sondag­gi e Berlusconi no, significa che gli italiani badano ai fatti, non a ciò che scrive La Re­pubblica. Ecco, ora mi fa parlare dei fatti che i giornali non riportano mai? Me l’ha pro­messo».
Non posso sottrarmi. Ma sia telegrafica.
«Penso ai provvedimenti presi dal governo Berlusconi nei primi due anni di legislatura. Ricostruzione dell’Abruzzo. Emergenza rifiuti in Campania. Salvataggio dell’Ali­talia. Blocco degli sbarchi di immigrati clandestini. Piano carceri. Ritorno al nu­cleare. Nuovo codice della strada. Ripre­sa delle grandi opere. Ci vorrebbe una pa­gina solo per le riforme: federalismo fisca­le, processo civile, università, scuola su­periore, pubblico impiego».
Di pagine ne ho due, ma temo che non basterebbero.
«Abbassati gli stipendi a politici, magistrati e alti dirigenti pubblici. Tagliate del 10% le spese dei ministeri. Ridotte del 20% le autoblù. Nessun aumento delle tasse. Nessuna decurtazione di stipendi e pensioni. Bonus elettricità, bonus gas, bonus vacanze. So­cial card ai più bisogno­si. Fondo per i nuovi na­ti: 85 milioni di euro. Fon­do di garanzia per le gio­vani coppie impegnate nell’acquisto della pri­ma casa: 24 milioni di eu­ro. Abolizione dell’Ici sulla prima casa».
Ho capito.
«Un attimo. Piano casa per 100.000 nuovi allog­gi popolari in cinque an­ni. Stop all’aumento dei mutui nel 2008 per veni­re incontro alle famiglie strozzate dalla crisi eco­nomica che non ce la fa­cevano a pagare le rate. Aumento di 20 milioni di euro per il fondo affit­ti. Blocco dell’esecuzio­ne degli sfratti per tutto il 2010».
Va bene.
«E la politica estera dove me la mette? Risoluzio­ne della crisi Russia-Ge­orgia. Riavvicinamento Usa-Russia. G8 all’Aqui­la. Chiusura della que­stione coloniale con la Li­bia».
Con Gheddafi abbia­mo finito?
«No. Ho lasciato indietro il lavoro. A difesa delle famiglie, delle imprese e dell’econo­mia reale nel solo 2009 sono stati stanziati 55,8 miliardi di euro. Abbiamo contrastato il lavoro nero con oltre 100.000 controlli del­l’Inps che hanno individuato 1 miliardo e 253 milioni di contributi non versati. Della lotta alla criminalità non parlo».
Consideriamola un fatto acquisito.
«Quella i giornali sono costretti a registrarla per forza. Ha fatto catturare più latitanti ma­fiosi il ministro dell’Interno in carica che quelli succedutisi negli ultimi 20 anni».
È un’intervista vacanziera, dobbiamo tor­nare alle frivolezze. Dichiarazioni d’amo­re per lei su Facebook: «Sei carina, voglio invitarti a cena». Firmato Luca Ernegro.
«Però...».
«Prima di essere un ministro, sei una gran bella donna». Antonello Paradiso.
«Oh là! Ci sono anche paginate di ingiurie».
Tinto Brass la trova decisamente sexy e di­ce che le ha chiesto di poter proiettare i propri film nelle scuole: «Sono più educa­tivi delle pellicole di guerra!».
«Non mi risulta. Né che me l’abbia chiesto né che siano educativi».
Il conduttore Francesco Facchinetti, fi­glio del tastierista dei Pooh, ha confessa­to: «A me Mariastella piace di brutto. Sarà per quell’occhiale serioso,sarà che ha tut­ta questa voglia di riforme... La cosa mi suona ambigua».
«In effetti sono un po’ fissata con le riforme. Ma non oserei mai riformare Dj Francesco».
Lei abita a Padenghe e viene in vacanza a Limone, 40 chilometri in linea d’aria. O ama molto il Garda o è molto refrattaria ai cambiamenti.
«Amo molto il Garda. Anzi, chiederò alla colle­ga Michela Vittoria Brambilla, ministro del Turismo, d’aiutarmi a promuoverlo».
Sarebbe interesse privato in atti d’ufficio.
«Assolutamente sì, e con questo? Non vedo perché si parli sempre e solo dei Vip che cerca­no casa sul lago di Como».
Casca male: la Brambilla risiede lì.
«Appunto: deve dimostrare d’essere im­parziale. Se conoscesse il Garda, George Clooney avrebbe affittato una villa qui. Quand’è nata Emma, mi sono trasferita in un appartamento più grande nei pressi del Senato, assediato da traffico, rumore e smog. Il fine settimana dalle mie parti per me è già vacanza».
Prima dove abitava a Roma?
«In un minialloggio in via Arenula».
Da laureata in giurisprudenza puntava al ministero della Giustizia che ha sede lì, confessi.
«No, è che costava poco d’affitto, mentre ades­so mi tocca pagare 2.500 euro al mese. Non volevo diventare ministro né della Giustizia né dell’Istruzione».
E che cosa le sarebbe piaciuto fare?
«Da bambina sognavo di diventare balleri­na. Ho studiato danza classica per sei anni».
Avrebbe potuto fidanzarsi con Roberto Bolle, pensi che occasione sprecata.
«Mi è andata bene lo stesso».
Giorgio Patelli, «geologo bergamasco dai modi galanti», narrano le cronache rosa.
«Ci siamo conosciuti due anni e mezzo fa a una cena tra amici, a Milano».
Dove? In una casa privata?
«Non si può dire, si capirebbe tutto. Non c’en­tra la politica, comunque. E da lì abbiamo bru­ciato le tappe: fidanzamento, matrimonio, fi­glia».
La descrivono «molto cattolica, bambina all’oratorio, studentessa alla scuola dei preti». Però s’è sposata civilmente.
«Giorgio è divorziato, alle sue seconde noz­ze. Avrei preferito sposarlo religiosamente. Non posso chiedere l’assoluzione: non c’è».
Da bambina dove andava in vacanza?
«Non ci andavo. Continuavo a frequentare la mia parrocchia di confine, a Gottolengo, do­ve don Giuseppe lasciava che maschi e fem­mine giocassero insieme a pallavolo e a basket. Un punto di ritrovo sano: catechismo, film, recite teatrali. Altro che i luoghi di aggre­gazione d’oggi, tipo i pub, dove più in là della birra non si va. Mio padre, agricoltore, aveva scavato un laghetto artificiale, 30 metri per 15, accanto alla nostra cascina di Pavone Mel­la. Con i miei tre fratelli mi tuffavo lì».
Credevo che oltre a Cinzia ci fosse solo Giuseppe, suo fratello maggiore.
«C’era anche Rodolfo. Perse la vita a 33 anni in un incidente a Pontevico. Nella nebbia si schiantò contro un camion che aveva invaso la carreggiata. Morì sul colpo. Perciò ho a cuo­re l’educazione stradale nelle scuole».
Ad aprile è diventata mamma. A giugno ha perso la sua, di mamma. È come se il testimone della vita fosse passato a lei.
«E io l’ho passato a mia figlia, che infatti di se­condo nome si chiama Wanda, come la non­na. Mia madre era malata da circa sette anni, ultimamente aveva difficoltà di parola. Ma prima di morire ha potuto vedere questa nipo­te e gli occhi parlavano per lei».
Ha rivelato che, appena entrata in politi­ca, sua mamma «si preoccupava da mori­re». Si sente in colpa?
«No. Era una donna forte. Mi ha insegnato a spendermi per quello in cui credo. Semmai sono io ad avere qualche senso di colpa verso mia figlia,anche se penso che l’amore si misu­ri dalla qualità, e non dalla quantità, del tem­po che i genitori riservano ai loro bimbi».
Parliamo della quantità.
«A Roma dormiamo nello stesso letto, Emma e io, sole solette. Alle 8 le do il biberon. Poi leggiamo i giornali, ma non mi sembra molto interessata. Dalle 9alle 14 sta con la tata. Alle 14 rientro dal ministero e rimango con lei fino alle 16. Quindi torno a viale Trastevere, da do­ve non rincaso mai prima delle 20.30. Nel week-end ci rifugiamo a Padenghe. Avrebbe diritto alla tessera Freccia alata».
Come le è saltato in mente di dichiarare a Io Donna che le neomamme in astensio­ne obbligatoria sono delle privilegiate?
«Intendevo dire che non tutte le donne possono permettersi di stare a casa per molti mesi dopo il parto. Pensavo alle con­tadine del mio paese o alle negozianti di Sirmione, costrette a tornare al lavoro col figlio al collo. Si è voluto capovolgere il mio ragionamento per farmi passare dalla parte del torto».
Marina Corradi, figlia del grande Egi­sto, le ha rivolto un’esortazione dalle pagine di Avvenire : «Signora Ministro, si prenda il tempo più bello».
«Ho cercato di ascoltare quel consiglio. In­fatti sono tornata a Roma dopo un mese. Ma un ministro ha anche dei doveri verso la nazione. Non potevo accantonare la ri­forma universitaria per dedicarmi solo a mia figlia».
Dev’essere un inferno l’avanti e indrè dalla capitale con un frugoletto di po­chi mesi.
«È impegnativo. Ma sono avvantaggiata ri­spetto a tante mamme. Per esempio appro­fitto del volo di Stato che da Milano porta nella capitale il presidente Berlusconi, i mi­nistri Giulio Tremonti, Ignazio La Russa e Roberto Calderoli, senatori e deputati».
Converrebbe aprire il Parlamento del Nord.
«Perché no? Ma Tremonti non lo permette­rà mai. Si duplicherebbero le spese».
Il congedo parentale di cui si può fruire dopo i tre mesi di vita del bambino, per un totale di 180 giorni retribuiti solo in parte, andrebbe ampliato o ridotto?
«Né ampliato né ridotto. Semplicemente servono più investimenti. In Italia manca un welfare dell’infan­zia, fatto di asili nido e bonus bebè. Penso an­che al quoziente fami­liare, che consentireb­b­e di suddividere il red­dito in base al numero dei componenti della famiglia e applicare quindi aliquote fiscali più basse».
Perché alla neo­mamma insegnante non concede di met­tersi in aspettativa senza stipendio e senza scatti di anzia­nità per tutto il tem­po che desidera? Lei assume una sup­plente, che le costa pure meno.
«Sbagliato. Si creereb­bero supplenti a vita. Già mi trovo a dover gestire 150.000 precari, un’eredità pesantissi­ma. La continuità di­dattica è un valore».
Un anno fa le chiesi: come farà a mettere un tetto del 30% alla presenza di alunni ex­tr­acomunitari se in al­cune classi arrivano oltre il 90%? Mi rispo­se: «Il come lo decide­remo». L’ha deciso?
«L’ho fatto. C’è stata una verifica al ministero, pri­ma delle vacanze, con i direttori scolastici regio­nali. La redistribuzione degli alunni immigrati all’interno del plesso,o nei plessi vicini,è arri­vata all’87%».
Ma se mia cognata insegna in una classe dove ci sono 21 figli di immigrati su 21, mi spiega con quali italiani li integra?
«In alcune zone di Milano e Roma, e nelle me­tropoli in genere, permane un certo margine di scostamento. Così pure in realtà difficili co­me Prato, dove la presenza degli immigrati cinesi è massiccia».
Mia cognata insegna a Verona.
«Certo che è ben sfortunata sua cognata. Nes­suno ha la bacchetta magica per risolvere i problemi della scuola. Lei pensi solo a que­sto: in Italia ci sono più bidelli, 165.000, che carabinieri, 112.000. Dopodiché le pulizie so­­no state affidate alle cooperative, con raddop­pio della spesa. E abbiamo le scuole sporche. Sarà mica colpa del ministro Gelmini?».
Sa che cosa dicono i suoi detrattori? Che la Gelmini propone ma Tremonti dispo­ne. Lei non sarebbe altro che la cesoia d’oro con cui il ministro dell’Economia sfronda i bilanci della scuola pubblica.
«Dormo serena. I soldi delle tasse sono dei cit­tadini, non di Tremonti. Si progetta insieme, tenendo conto delle risorse. Questo non è il governo dello scaricabarile, ma del gioco di squadra. Non riusciran­no a farci litigare».
Il ministro Renato Brunetta ha litigato con Tremonti pro­prio sul rigore.
«Eh, ma quelle sono liti fra professori».
«Taglia, taglia,l’alun­no raglia». Non c’è un po’ di verità in que­sto slogan scandito durante gli ultimi scioperi della scuo­la?
«Se lei va a controllare le classifiche, l’alunno ra­gliava anche in anni di vacche grasse. Il gover­no Berlusconi ha stan­ziato 1 miliardo di euro per l’edilizia scolastica, il centrosinistra solo 300 milioni. Sarebbero que­sti i tagli?».
Bersani dice che i do­centi sono i veri eroi moderni, perché tamponano il disagio so­ciale nelle periferie.
«Ma sì, sono d’accordo. Se non fosse che il dema­gogo Bersani ci propina queste frasi per strappa­re l’applauso. Gli inse­gnanti che per decenni hanno visto applicare nella scuola le ricette di Bersani & C. non è che si­ano­così contenti della si­nistra, visto che un do­cente di scuola seconda­ria superiore guadagna, con 15 anni d’anzianità, meno di 30.000 euro lordi l’anno,tredicesima compresa, contro i 50.000 di un collega tede­sco e i 40.000 abbondanti di un finlandese. Che poi non si comprende quale sia la ricetta del Partito democratico. Non solo per la scuo­­la: anche per l’economia,la sicurezza,l’immi­grazione. Bersani non ha ricette per niente. È la tragedia dell’Italia: manca un’opposizio­ne».
Ma lei ha aumentato gli stipendi?
«Una parte dei 2 miliardi di euro risparmiati grazie ai tagli della finanziaria 2009 servirà per recuperare gli scatti di anzianità dei lavo­ratori della scuola, che altrimenti resterebbe­ro bl­occati per tre anni come stabilito dall’ulti­ma manovra».
Fra i suoi interventi,c’è stata la reintrodu­zione del voto in decimi nella scuola pri­maria. È davvero convinta che un nume­ro in pagella aiuti un alunno a crescere?
«Sono convinta che la chiarezza aiuti sempre. Ero arrivata a leggere giudizi astrusi, compila­ti con lo stampino. Almeno un 5 è un 5 e un 8 è un 8, senza giri di parole».
Com’è che la Puglia è in testa alla classifi­ca nazionale dei diplomati con lode? Per non parlare del resto del Sud: ben 26 al liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Reggio Calabria, con­tro i 3 del classico Ti­to Livio di Padova.
«Quando due anni fa ri­levai che questi dati ri­mandavano a una mag­gior disinvoltura degli insegnanti meridionali nell’assegnare i voti, fui sepolta dalle critiche. Prima di me il governa­tore della Banca d’Italia, Mario Draghi, aveva det­to la stessa cosa - “un quindicenne su cinque nel Mezzogiorno versa in una condizione di po­­vertà di conoscenze, an­ticamera della povertà economica”- e nessuno aveva osato fiatare. Non è un’accusa, ma un dato di realtà su cui riflettere, un divario da colmare. La dispersione scolasti­ca al Sud è di 10 punti su­periore alla media euro­pea».
Qual è stata la percen­tual­e dei bocciati que­st’anno?
«È salita dal 10,9% al­l’ 11,4%, perché è rima­s­ta la severità nelle valu­tazioni. Ci sono stati 10.000 bocciati col 5 in condotta».
Dobbiamo conside­rarlo un successo o un disastro?
«Ripetere l’anno è sem­pre molto brutto. Ma promuovere tutti d’uffi­cio è peggio».
A luglio ha varato il Piano nazionale per la qualità e il merito, affidandolo a Roger Abravanel, manager di formazione McKinsey. L’altro suo consulente di fidu­cia è il professor Giorgio Israel. Come mai la sua scelta è caduta su due intellettuali ebrei? Badi bene, le avrei chiesto la stessa cosa se si fosse scelta due esperti di religio­ne musulmana o protestante.
«Pura coincidenza. Sono arrivata ad Abrava­nel dopo aver letto il suo libro Meritocrazia . È un civil servant che non vuole nemmeno essere pagato.Lo fa solo per restituire alla so­cietà un po’ del tanto che la vita gli ha regala­to».
Un altro suo consulente è il mio amico Re­­nato Farina, oggi parlamentare Pdl, o sba­glio?
«È una persona meravigliosa. All’ora di cena mi manda un Sms che è una specie di preghie­ra».
Ascolta, si fa sera.
«Renato Farina lo adoro. Confesso questa mia passione».
Suo consigliere politico è il deputato Gior­gio Stracquadanio, un dinamitardo, l’esatto contrario di lei.
«Coincidentia oppositorum . Lui è un incen­diario, molto più bravo di me nelle arringhe contro la sinistra. Del resto, 40 anni di sessantottismo nella scuola non si cancellano dalla sera alla mattina, un po’ di grinta ci vuole».
Lei che avvocato era prima di diventare ministro?
«Facevo la praticante nello studio dell’avvoca­to Alberto Scapaticci, a Brescia. Mi occupavo di cause civili. Liti fra coniugi. Al momento della separazione, ricordo d’aver visto una coppia contendersi persino le tazzine del caf­fè. Quando l’amore si trasforma in odio,qual­siasi pretesto diventa buono per scannarsi. Fu un’esperienza molto triste».
È ancora una fan di Vasco Rossi?
«Sì. Alcune sue canzoni sono bellissime».
Per esempio?
« Albachiara».
Un inno all’autoerotismo femminile.
«Macché, macché, ma cosa dice?».
Nella strofa finale: «Qualche volta fai pen­sieri strani / con una mano, una mano, ti sfiori, / tu sola dentro la stanza / e tutto il mondo fuori».
«Non l’avevo mai colta,non entriamo in que­sti dettagli, non mi rovini Albachiara».
Il sindaco di Verona, il leghista Flavio To­si, voleva negare il Teatro Romano al can­tautore Morgan, quello che ha confessato di utilizzare la cocaina come antidepressi­vo: «Un esempio negativo per i giovani». Vasco Rossi vuole una vita spericolata, ha usato le amfetamine, dice che la marijua­na non è più pericolosa dell’alcol. Come ministro dell’Istruzione dovrebbe cam­biare idolo, non crede?
«Non mi faccia il bigotto. Amo anche Mina, Tiziano Ferro, Francesco Renga. E pure Adria­no Celentano, ma solo quando canta, non quando parla».
È favorevole alla caccia, ho letto. Perché nel Bresciano c’è la Be­retta oppure perché le piacciono gli uccelli­ni allo spiedo?
«Mai mangiati. Rispetto una tradizione che affon­da le sue radici n­ella not­te dei tempi e che è stret­tamente connessa alla cultura contadina. Non nego che nel mio territo­rio l’industria delle armi abbia anche un conside­revole risvolto economi­co».
Se il suo collegio elet­torale fosse a Sanre­mo, sarebbe favorevo­le alle rose.
«Questo lo dice lei. Non demonizziamo la cac­cia».
Quando ha un dubbio serio, con chi si confi­da?
«Con mio marito. Essen­do estraneo alla politica, è molto lucido, equilibra­to».
Le è capitato di con­frontarsi col suo pre­decessore Giuseppe Fioroni?
«Sì, ma poi ci siamo persi di vista. Spero di poter ri­prendere il dialogo».
A sua sorella maestra, sindacalista della Cgil, ha mai chiesto consiglio?
«Come no. È una donna pragmatica, non ideolo­gizzata, che si occupa dell’integrazione dei bambini immigrati. Era molto d’accordo sul tetto del 30% di alunni stranieri nelle classi».
Non si chiede mai: ma perché ho accetta­to l’incarico di ministro?
«Qualche volta. Specie quando mi rendo con­to che la gente non crede che i ministri lavori­no 15 ore al giorno».
Nel tempo libero che cosa le piace fare?
«Non dare interviste. Abbiamo finito?».