Maurizio Maggi, L’espresso 2/9/2010, 2 settembre 2010
NON SI VIVE DI SOLA DUCATI (I BONOMI)
Quando sui cieli di Spagna volteggiano gli elicotteri dei vigili del fuoco o delle forze dell’ordine, a guidare sono i suoi piloti. Meglio: i piloti di Inaer, il colosso europeo dei servizi di elicotteristici (soccorso e pronto intervento, per la protezione civile e le piattaforme petrolifere), una delle aziende del gruppo Investindustrial, società d’investimenti presieduta da Andrea Bonomi. Andrea, 45 anni, figlio di Carlo e nipote di Anna Bonomi Bolchini, è oggi l’esponente di punta di una famiglia che, prima della scalata di Mario Schimberni alla Bi-Invest, nel 1985, era padrone di una bella fetta d’Italia. Era stata Anna Bonomi, soprannominata "la signora della finanza" a trasformare il gruppo immobiliare, ereditato dal babbo nel 1940, in una conglomerata che spaziava dalla chimica ai dentifrici, passando attraverso assicurazioni e banche, ma sempre concentrata sul mattone, tanto da costruire il Pirellone e promuovere la realizzazione di Milano San Felice. Prima e unica protagonista femminile in Piazza degli Affari, Anna Bonomi lascia il timone negli Anni Ottanta al figlio, destinato a regnare per pochi anni, fino a quando lo scalzano da Bi-Invest. A riportare alle cronache finanziarie il nome di una delle più potenti famiglie della borghesia milanese che fu ci pensano negli Anni Novanta i nipoti di Anna, Andrea e Carlo Umberto, mettendo in piedi uno dei più agguerriti e numerosi (50 professionisti) team di private equity dell’Europa meridionale. Dove un tempo c’era una potenza tricolore che annoverava Montedison e Miralanza, Fondiaria e Milano Assicurazioni, Saffa e centinaia di immobili di lusso, ora ci sono 15 società con base in Italia e Spagna e interessi in tutto il mondo. Il fiore all’occhiello del gruppo - che ha uffici a Londra, Milano, Lussemburgo, Lugano, Barcellona, Madrid e, da poco, a Shanghai - è la Ducati, fresca dell’ingaggio del più famoso pilota dell’era moderna, Valentino Rossi. Le altre società sono meno celebri e "glam", ma tutte hanno la stessa impronta: leader nei rispettivi business, devono diventare sempre più amiche dell’ambiente. Andrea sostiene persino che presto dovranno avere un bilancio "neutro" in quanto a CO2.
L’avventura di Investindustrial comincia nel 1990. Cinque anni prima, Andrea Bonomi si preparava a guidare il gruppo facendosi le ossa alla Lazard, ma la scalata orchestrata da Schimberni lo lascia di fatto a spasso; lui si dà al private banking e si allea con Alessandro Benetton nella 21 Invest. Quando il sodalizio si scioglie, insieme al fratello Carlo Umberto comincia a plasmare la Investindustrial di oggi. Che si serve della finanza, raccogliendo denari in quantità e senza troppa fatica, ma con approccio industriale: "Alle nostre aziende chiediamo di conquistare quote di mercato e di creare valore in maniera continuativa; talvolta, neanche facciamo caso ai risultati a breve", racconta a "L’espresso". Ecco perché, appena può, le toglie dalla Borsa. Così, è sparita da Piazza degli Affari la Permasteelisa, specializzata nelle facciate high tech dei palazzi, che ha una commessa per i grattacieli che sorgeranno a Ground Zero e che, con un fatturato di un miliardo di euro, è la principale per ricavi. Stessa sorte per Sirti (reti di tlc), Polynt (anidridi per vernici e plastiche) e Ducati. Nel portafoglio di Investindustrial c’è di tutto: profumi (Morris, titolare del brand Atkinsons), certificazione di sicurezza e qualità (Applus), trattamenti contro la caduta dei capelli (Svenson), parchi divertimenti (PortAventura, megastruttura a un’ora d’auto da Barcellona), gioiellerie (Stroili). L’anno scorso, pur fatturando un po’ meno (4,4 miliardi di euro contro i 4,7 del 2008), le aziende targate Bonomi hanno aumentato il margine operativo lordo (da 569 a 588 milioni) e il numero di dipendenti da 27 mila a 30 mila. "Merito di una logica che non bada ai risultati trimestrali", ribadisce Andrea. Logica sposata dagli investitori che hanno finora assicurato carburante in abbondanza a Investindustrial, che ha raccolto 2,3 miliardi di euro, di cui oltre 900 ancora da spendere. Oltre 300 milioni li hanno messi sul piatto direttamente i Bonomi, che dunque condividono i rischi con chi gli affida i quattrini. Tra cui abbondano investitori istituzionali con orizzonti di lunghissimo periodo, come i fondi pensione (per esempio, il gigante pubblico danese Atp, con un patrimonio di 48 miliardi di euro) o prestigiose università americane come Princeton. La durata degli investimenti di Investindustrial ora è di 8/10 anni. Eccezioni a parte: tipo Gardaland, rivenduta dopo due anni e con un ritorno economico ben superiore all’obiettivo medio della ditta, che è di cedere a 2,5 ciò che si compra a uno.
Una delle partecipazioni cui Andrea è più affezionato è Italmatch (derivati del fosforo), che ha decuplicato in pochi anni i margini operativi da 2 a 20 milioni di euro ed è sbarcata in Cina. Un’area su cui Investindustrial crede parecchio: "Il giro d’affari asiatico del gruppo è di circa 600 milioni ma in cinque anni supererà il miliardo", promette Bonomi junior. Che il mattone non l’ha dimenticato: a La Punt, in Engadina, possiede la Chesa Alta, una delle case storiche del paese, costruita nel Settecento. L’ha restaurata e ci va in vacanza. Non va mai, invece, nel magnifico castello di Paraggi, vicino a Portofino. Affittato, tutto l’anno, a Silvio Berlusconi.