Agnese Codignola, L’espresso 2/9/2010, 2 settembre 2010
IL NANOPRANZO È SERVITO
(Tre articoli) -
Un gelato cremosissimo? Guardatelo meglio. Andate a vedere perché quella margarina non fa ingrassare, o quella verdura è sempre fresca. Se avevate pensato che le nanotecnologie fossero una frontiera lontana dell’hi-tech, roba da fantascienza, meglio che diate un’occhiata al carrello della spesa. Popolato, da oggi, e a vostra insaputa dai nanofood: alimenti costituiti da sostanze rimaneggiate fino ad avere le dimensioni di pochi nanometri (cioè di millesimi di millimetro), perché nel regno dell’infinitamente piccolo tutto cambia, fisica e chimica compresi, e questo può comportare diversi vantaggi.
Le grandi aziende ne studiano le potenzialità da anni, e, stando a quanto affermano rapporti e ricerche appena pubblicati, sono in molte a utilizzare le nanotecnologie per prodotti già sul mercato. È stata l’associazione Friends of the Earth a publicare un rapporto intitolato "Out of the Laboratory and on to our Plates - Nanotechnology in Food & Agriculture" nel quale ha censito più di cento nanosostanze che, a vario titolo, entrano nella catena alimentare. Non solo: negli Stati Uniti, lo Woodrow Wilson International Center for Scholars ha sponsorizzato il Project on Emerging Nanotechnologies, che ha portato alla scoperta di 84 alimenti comuni contenenti nanofood, mentre secondo "Nature Nanomaterials" sono già più di 800 i prodotti nano in vendita, se si considerano anche i cosmetici e altre tipologie merceologiche di uso comune.
I "sembra" sono d’obbligo. Perché l’indusria alimentare non dà notizie sull’argomento. E la "cautela" è tale che in Gran Bretagna lo Science and Technology Committee della Camera dei Lord ha pubblicato "Nanotechnologies in Food", un rapporto di oltre 100 pagine nel quale vengono duramente rimproverate le aziende per la loro scarsa trasparenza, messi in luce molti dei punti ancora da chiarire, nonché l’importanza di un’azione globale di ricerca e successiva regolamentazione.
Perché è ovvio quali sono i vantaggi potenziali delle nanotecnologie: migliorare aspetto e conservazione degli alimenti, consentire, ad esempio, cibo più sano grazie a sale meno salato o grassi meno grassi, perché le particelle dei nanofood possono assicurare lo stesso gusto con una quantità inferiore di materia prima. Non solo: i nanofood potrebbero contribuire a saziare quel miliardo di persone nel mondo che ancora oggi rischiano di morire per fame, e a produrre cibo con un minore impatto ambientale. Tuttavia gli scienziati sanno anche che questi composti sono bizzarri, non rispettano le leggi chimiche, tossicologiche, fisiche codificate da secoli, ma ne hanno di proprie e in parte ancora ignote, e perciò si teme che possano reagire con i tessuti biologici in modi imprevedibili. C’è insomma moltissimo da capire.
Cominciamo con la definizione: cosa sono i nanofood? Spiega Hermann Stamm, responsabile dell’unità di Nanobioscienze del Centro comune di ricerca (Jrc) della Commissione Europea di Ispra, che ha fatto parte anche del panel si esperti cui si è rivolta l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) di Parma per formulare un parere: "Innanzitutto è utile ricordare che nella maggior parte degli alimenti sono già presenti nanostrutture: si pensi, per esempio, al latte omogeneizzato. Esistono cibi o additivi lavorati fino ad assumere dimensioni nano, ma anche nanomateriali utilizzati nel packaging per migliorare flessibilità, conservazione, resistenza. E, ancora, nano-antimicrobici aggiunti per preservare il cibo dalle contaminazioni. Le grandi aziende affermano di non usare nanofood, senza però specificare che cosa intendano con questo termine".
In effetti la stessa Efsa ha dichiarato che non è possibile disporre di una lista completa dei possibili nanofood, e che per questo non si può escludere che siano già usati. Le aziende però continuano a negare. Anche se Kraft nel 2000 ha dato vita al consorzio NanoteK con 15 centri universitari statunitensi. Temono l’effetto Ogm: che l’opinione pubblica rifiuti queste tecnologie perché non ne sa nulla.
"Secondo la maggior parte degli studi, la valutazione dei rischi di un alimento o additivo assunto in dimensioni comprese tra uno e 100 nanometri - questo l’intervallo di solito considerato - può essere fatta solo valutando caso per caso, e ciò richiede molto tempo e denaro", spiega Stamm: "In generale, il pericolo principale è quello dell’accumulo, cioè della biopersistenza: se un nanomateriale non viene degradato in fretta dall’organismo, c’è il pericolo che si accumuli. Sappiamo che sono meno esposti a tale rischio i sali e i grassi o i nanoadditivi dispersi in matrici granulari, ma è comunque indispensabile valutare tutte le caratteristiche fisico-chimiche di ogni elemento prima di poter dare un giudizio. Non ha senso, quindi, temere i nanofood "a prescindere". Piuttosto, è urgente potenziare moltissimo questo tipo di studi".
Il problema dunque, oggi, è che non ci sono abbastanza tecnologie capaci di valutare del rischio dei materiali nano. "Non si può parlare di rischio senza specificare quale è il pericolo", annota Saverio Mannino, direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca sugli Alimenti (Cira) dell’Università degli Studi di Milano. E per questo la Commissione Europea sta finanziando specifici programmi di ricerca che consentano di giungere a direttive condivise prima che l’opinione pubblica si allarmi inutilmente, e la Food and Drug Administration statunitense ha avviato una collaborazione con l’Alliance for NanoHealth (Anh), un ente costituito da otto istituti accademici che lavorano sull’argomento.
In attesa che se ne sappia di più, c’è comunque chi, come lo stesso Mannino, sottolinea - e studia - le grandi promesse del settore. La scala nano permetterà di ridurre l’apporto di alcuni sali, di zuccheri e i grassi. Secondo i ricercatori dell’Institute of Food Research di Norwich, in Gran Bretagna, che ci lavorano da anni, le nanotecnologie potrebbero permettere di avere cibi dietetici e antiobesità perché in grado di passare intatti attraverso l’apparato digerente fino all’intestino, operando una sorta di bypass non chirurgico ma nanotecnologico. O, ancora, di disporre di alimenti antifame grazie all’aria presente tra le nanoparticelle, che favorirebbe un precoce senso di sazietà. Sottolinea Mannino, che sta lavorando con due due multinazionali per specifici progetti, uno sui nanosensori e uno su membrane nano che possono essere mangiate: "Le nanotecnologie alimentari aiuteranno le industrie a formulare prodotti e processi sviluppati by design, su richiesta". Per esempio, ci saranno nuove formulazioni con additivi o ingredienti nano-incapsulati in grado di cambiare l’aspetto o il colore, sapore, consistenza o coerenza dell’alimento; nuovi sistemi di incapsulazione che miglioreranno l’assorbimento di sostanze nutritive o la deperibilità, imballaggi con proprietà meccaniche, antimicrobiche o barriera nuove. Inoltre miglioreranno tracciabilità e sicurezza dei prodotti alimentari grazie allo sviluppo di innovativi sensori nanostrutturati, sui quali sta lavorando anche il mio gruppo. Già oggi, infatti, esistono nanomateriali che riconoscono certe sostanze o certi agenti patogeni o che permettono di seguire e tracciare tutta la filiera, dalla produzione e lavorazione alla spedizione. "Ci saranno poi sviluppi oggi difficili anche da immaginare come quelli dati dalle membrane nano strutturate commestibili sui quali stiamo lavorando anche noi", conclude Mannino. Nell’immediato comunque, almeno fino a quando non ci sarà una legislazione ben definita, le produzioni saranno concentrate sulla formulazione di packaging intelligente basato su materiale nano e sul disegno di sistemi rapidi di misura basati su nanosensori che potranno essere utilizzati per la tracciabilità e autenticazione dei prodotti alimentari.
Così, tra e corsie dei supermercati faremo un viaggio nell’immensamente piccolo, nel nanomondo che ha molto poco di alieno, e molto di tecnologico. n
Chi ha paura del piccolo
Il "New York Times" l’ha chiamata nanofobia, cioè una fase in cui, pur in assenza di certezze, la parola nano scatena un vero e proprio panico. Una riprova? Lo US National Organic Standard Board, cioè l’organismo che si occupa di chiarire che cosa si può chiamare biologico e che cosa no, ha appena emesso un documento nel quale raccomanda di escludere esplicitamente, in tutte le direttive che saranno emanate, qualunque sostanza nano dai cibi biologici. Ma la nanofobia è particolarmente evidente nella cosmetica, dove i nanoderivati sono utilizzati da anni per esempio nei dentifrici, nei saponi, negli shampi e nei filtri solari, oltreché in creme di vario tipo. Per tutte queste sostanze, usate da milioni di persone nel mondo, c’è chi invoca la storia dell’amianto o quella dei raggi X: anche in quei casi nei primi anni l’entusiasmo ha spinto a un uso massiccio, che è stato poi pagato a carissimo prezzo nei decenni successivi. I timori derivano dall’ipotesi, avanzata da alcuni ricercatori, che molte nanoparticelle siano di fatto non degradabili e per questo possano causare danni imprevedibili. Tuttavia i dati a supporto di tale idea, per ora, non sono affatto conclusivi.
E non tutti la pensano così. Accanto ai più preoccupati c’è infatti chi ricorda che le nanoparticelle sono già presenti nel quotidiano, per esempio nelle emissioni dei forni classici e in quelli a microonde o in alcuni tessuti quali jeans particolarmente resistenti o in calzini autopulenti e che altri composti quali il ciclopentasiloxano, comunemente usato in cosmetica, ha dimensioni addirittura inferiori a quelle dei nanomateriali.
Al gusto di microgel
La catena alimentare è già stata di fatto colonizzata da alimenti, additivi, antimicrobici e materiali per il packaging strutturati su scala nano. Ecco alcuni esempi di ciò che è stato trovato nei supermercati in diversi paesi (ma non in Italia, dove nessuno li ha mai cercati) e di ciò cui si sta lavorando.
Bevande sostitutive dei pasti: uno dei primi settori in cui sono state introdotte sostanze e nutrienti nanoincapsulati sono i cosiddetti beveroni. In diversi tipi e gusti (alla vaniglia, al cioccolato, alla frutta) sono stati rivenuti vitamine, sali minerali, estratti di piante e altro in versione nano, sovente dichiarati in etichetta. Uno dei più popolari negli Stati Uniti è SlimShake, che contiene un cioccolato che, grazie alla struttura nano, non richiede aggiunta di zuccheri.
Tè freddo e succhi di frutta: anche in questo tipo di bevande sono state trovate versioni incapsulate di carotenoidi, altre vitamine antiossidanti e sali. In particolare, in diversi paesi viene commercializzato un nanotè cinese (Nanotea) che contiene nanosfere di selenio, introdotte per potenziare l’azione dei principi attivi del tè verde.
Canola Active Oil: capostipite di una classe che probabilmente sarà tra le prime a entrare massicciamente sul mercato e prodotto in Israele, è un olio di colza che, a causa delle particelle nano, incapsula il colesterolo dei cibi e gli impedisce di essere assorbito.
Vitamine: oltre a quelle disperse nei cibi, negli Stati Uniti sono già in vendita versioni spray di nanovitamine, da assumere per bocca. Il rischio è quello di un abuso o comunque di un utilizzo scorretto.
Gelati: si stanno facendo molti sforzi per aumentare il gusto al palato, migliorando la consistenza attraverso l’aggiunta di nanotubi alimentari oppure di nanoparticelle di gelificanti, emulsionanti e così via.
Salse: uno dei primi problemi che alcune aziende alimentari hanno provato a risolvere pasando per la via nano è quello di ottenere salse (in primo luogo tipo ketchup) che uscissero interamente da bottiglie e tubi; presto dovrebbero giungere sul mercato maionesi, ma anche condimenti per insalate e carni pronte.
Alimenti da personalizzare: è uno dei grandi obiettivi quello di giungere a cibi venduti in versione neutra, senza odori né sapori particolari, da personalizzare scegliendo aromi, colori, gusti, tipo di condimento, e così via, nanoincapsulati o comunque pronti per essere attivati per esempio con la cottura a microonde.
Chewing gum: molti prodotti in vendita contengono già nanosfere con xilitolo o altri anticarie, oppure nanosferette di ceramica sbiancante. Le gomme del futuro potrebbero anche cambiare natura, consentendo di provare la sensazione di mangiare per esempio una tavoletta di cioccolato senza introdurre calorie.
Argento: nanoparticelle d’argento sono già usate come antibatterici in spazzolini da denti, ma anche nella fabbricazione di polimeri per le plastiche delle bottiglie e in molti altri materiali quali, per esempio, alcune plastiche per gli interni dei frigoriferi.
Nanoplastiche intelligenti: sono tra i materiali guardati con meno sospetto, perché non sono a diretto contatto con gli alimenti. I polimeri usati per il packaging stanno entrando nel mercato e promettono di migliorare notevolmente tutto ciò che attiene alla vita del prodotto nelle sue fasi finali, nei banchi del supermercato: l’aspetto, la conservazione, la sterilità eccetera.
Nanoagricoltura: esistono già diversi prodotti nanoencapsulati per fornire alle piante insetticidi, erbicidi, sali, fertilizzanti, nonché nanosensori che indicano la presenza di agenti patogeni o infestanti, le condizioni di maturazione, la necessità di certe sostanze o di acqua.