Maurizio Cattelan (a cura di paolo madeddu), Rolling Stone Agosto 2010, 27 agosto 2010
SOLO IN GABBIA
Stando a schopenhauer, l’arte è evasione. in vallanzasca, l’evasione è stata sicuramente arte. Più delle rapine, delle amanti, delle sparatorie, dei morti caduti in quella stagione della “mala” degli anni ’70 di cui fu il re indiscusso, nella memoria di chi ricorda tale periodo sono rimasti i suoi clamorosi tentativi di fuga: scatenando l’inferno attorno a San Vittore (esito: negativo), contraendo volontariamente un’epatite (esito: positivo), sgusciando dall’oblò di una nave in procinto di partire (esito: positivo), seducendo la sua avvocatessa (esito: negativo). Sono passati 15 anni da quest’ultimo diabolico piano, sventato in extremis dal direttore del carcere di Nuoro. Oggi Renato Vallanzasca ha 60 anni, più di metà trascorsi nelle carceri italiane.
La sua personale, testarda sfida alla Polizia, alla Giustizia, alla Società (perlomeno, a quella parte di Società che deteneva i soldi che lui voleva, cioè le banche e gli industriali) è, presumibilmente, sepolta. Come ci disse qualche anno fa, è cambiato ma più grazie al tempo che al carcere, dove comunque continua giustamente a pagare (ed è uno dei pochi) per quello che ha causato. Con tutto ciò, piaccia o non piaccia, molti italiani continuano a trovarlo un caso interessante. Anche per l’ambiguità del personaggio: un criminale che ha fatto scorrere del sangue, eppure con un suo codice morale, abbastanza da prendersi le responsabilità anche dei reati non commessi personalmente, cosa piuttosto rara nel Paese dello scaricabarile e delle circostanze attenuanti. Poi, certo, ogni volta che parla, qualcuno si arrabbia. Ed è per questo che, prima che ci si metta anche il film di Michele Placido a far arrabbiare qualcuno, abbiamo pensato di far incrociare la strada del bandito milanese con quella di un altro che fa sempre arrabbiare qualcuno: Maurizio Cattelan, l’impunito per eccellenza dell’arte contemporanea. Inevitabilmente il contatto ha portato qualche guizzo del Vallanzasca di un tempo, sfrontato, ironico nei confronti delle morali di comodo. Ma anche riflessioni interessanti. E magari stavolta non si arrabbia nessuno (... okay, non ci crediamo neanche noi).
Signor Vallanzasca, buongiorno. Mi chiamo Maurizio Cattelan, e anche se alcuni vorrebbero vedermi in galera per crimini artistici, sono a piede libero. Per il momento.
«Maurizio piacere, Renato. Diamoci del tu, spero non ti dispiaccia. E poi ti conoscevo di fama, visto che anche tu hai avuto i tuoi bei casini... Ma se sei ancora a piede libero vuol dire che il crimine non era così grave. Certo quei bambini impiccati al parco non hanno ottenuto elogi sperticati – ma l’Arte non si censura».
Hai mai rubato opere d’arte?
«Qualche volta mi è passato per le mani un quadro, ma anche se non sono un esperto, posso garantire che erano tutt’altro che opere d’arte. Certe crostacce...».
Non hai mai pensato di fare l’artista? Di certo se oggi dipingessi, facessi foto o scrivessi racconti, potrebbero avere un certo mercato.
«Purtroppo posso ritenermi al massimo un “genialoide”, ma il genio non mi appartiene. Dipingere? No, credo di essere del tutto negato. Scrivere invece mi riesce piuttosto bene e non è detto che un giorno...».
Ho sentito che, dopo tanti anni, hai avuto il permesso di passare qualche ora fuori di prigione, in quella che voi condannati chiamate “libertà". Come l’hai trovata, questa libertà? Deludente? Spiazzante?
«È vero, dopo aver trascorso più di 2/3 dei miei 60 anni dietro le sbarre, sto tornando a riassaporare qualche briciolo di libertà. Ma non saprei rispondere, non ho avuto nessuna sensazione particolare, né negativa né positiva... si tratta decisamente di frammenti».
Il mondo è cambiato. Tu pure.
«Mi hanno persino fregato la bici mentre andavo a lavorare. Più cambiato di così».
Lo chiamano contrappasso.
«Può darsi. Figurati che sempre più spesso mi capita di dire: “Dove andremo a finire?”».
Se ho capito bene, da bambino rubavi già dolci e cioccolatini. Hai sempre desiderato non tanto il denaro e il suo accumulo, quanto il benessere.
«Ero giovane quando ho preso quella strada, ma per me i soldi erano un mezzo, non un fine. Avessi voluto realmente arricchirmi avrei provato altri sistemi».
Alla base dei tuoi crimini c’era il desiderio di una vita lussuosa senza lavorare. Sei una specie di precursore dei concorrenti del Grande Fratello.
«Se cercavi un modo elegante per darmi del pirla, ci sei riuscito. Scherzi a parte, è vero, la vita lussuosa non mi è mai dispiaciuta... Però tutti gli anni passati a fare vita da galera col pochissimo che offre dimostrano che sono un animale che si sa adattare».
Erano eccitanti, le sparatorie?
«Questo lo pensano i fuori di testa o quelli che hanno visto troppi film. Per me un lavoro ben fatto era uno in cui non si sparava. Se succedeva, erano casini, aumentava il rischio di lasciarci la pelle o di farsi beccare. Due prospettive che a me non eccitavano per niente».
Tu credi in Dio? O al diavolo?
«No, non credo in Dio. Durante i primi 5 dei 10 anni di isolamento che mi sono fatto nei “braccetti della morte” mi sono letto tutta la Bibbia. E non una, ma quattro volte. E nonostante ci abbia passato sopra ore, giorni, mesi... se già prima ero convinto che Dio non esistesse, alla fine di quella full immersion di Sacre Scritture ho avuto la certezza che l’Essere Superiore esiste solo nelle paure di noi poveri tapini umani».
Ma se dovessero esistere inferno, purgatorio e paradiso, ho qualche sospetto su dove ti dovrai accomodare. Vero è che se Dio è infinitamente buono, potresti cavartela con una condanna lieve.
«Paradiso, inferno, purgatorio sono termini che mi fanno venire in mente solamente la Divina Commedia. Dopo la morte non credo ci sia assolutamente nulla. E se poi così non fosse, l’inferno sarà una nuova esperienza, ma senza la fisicità di un corpo... Il che significa che potrebbe essere più facile evadere!».
E il paradiso come lo immagini? Belle donne, auto di lusso? In tal caso ci sei già stato.
«Delle auto di lusso non mi frega niente, ma se mi avessero garantito un Paradiso pieno di belle donne avrei fatto di tutto per ottenerlo – mi sarei davvero impegnato per passarci l’ergastolo...».
Molti pensano che in fin dei conti la galera non sia una gran punizione. Puoi provare a convincerci del contrario?
«Sì, c’è gente che pensa che i carceri siano hotel a cinque stelle. A loro posso solo consigliare di darsi alla politica e fare il possibile per far approvare la pena di morte... La legge del taglione è un po’ antiquata e la tortura è legalmente impraticabile, però a chi prova queste nostalgie si può sempre promettere un disegno di legge ad hoc... No, il carcere ha la funzione di proteggere una società da chi non sta alle regole – però non mi vengano a parlare di rieducazione e reinserimento perché quella parte è fallimentare, lasciata com’è al singolo detenuto e alla sua buona volontà».
A cosa si pensa in isolamento?
«Sarà banale, ma io pensavo a come tornare libero. E poi, chiunque abbia molto tempo per meditare finisce per dedicarlo a ciò che gli sta più a cuore, no?».
Avresti mai fatto cambio con un supplizio medievale? La gogna, tre anni di torture, magari anche una mutilazione, qualcosa di fisico che avrebbe dato soddisfazione anche a molta gente – invece che la prigione?
«No, non ci ho mai pensato. Ma sarebbero di sicuro sistemi abbastanza coerenti con la mentalità di molte persone per così dire civili».
Il presidente Berlusconi vuole riformare la giustizia italiana. Tu ci hai avuto a che fare molto più di lui. Potresti dargli due o tre consigli.
«Come no, consigli al Berlusca. Non ti pare che di problemi me ne sia creati già abbastanza di mio? Comun-que penso che la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri sia determinante per far sì che la Giustizia sia un po’ meno ingiusta. Accontentati di un solo consiglio: non vorrei poi si dicesse che ci ho messo troppe “buone parole”...».
Ho letto che per qualche anno hai indossato un gioiello a forma di svastica. C’era forse un brivido estetico nel pensiero di tutta quella capacità di fare del male?
«Era un regalo di nozze di un mio carissimo e amatissimo amico. Si chiamava Francis Turatello, quando ero fuori lui era il mio peggior nemico, poi in carcere ci accorgemmo di esserci simpatici. Lui era un burlone che godeva nel mettere in imbarazzo il prossimo. Con me ci ha provato facendomi quel regalo, dicendomi: “Voglio proprio vedere se avrai il coraggio di portarlo davanti ai tuoi amici “compagni”... Accontentarlo era per me un gran piacere, ma feci molto di più: visto che quell’odioso ma bellissimo gingillo pesava oltre un etto e che portarlo mentre giocavo a pallone era un rischio soprattutto per me – cozzando contro un labbro avrebbe potuto come minimo tagliarmi – ogni volta che giocavo presi l’abitudine di consegnarlo sempre a un “compagno” diverso. Era uno sfottò che coinvolgeva un po’ tutti... e nessuno se l’è mai presa a male, in fondo tutti sapevano che cazzeggiavo. Ma fuori dallo scherzo, il significato del simbolo nazista mi fa schifo. Nessun brivido, se non di ribrezzo e repulsione».
Signor Vallanzasca, è possibile che al mondo ci sia gente più cattiva di te? Ne hai conosciuti?
«No, non credo che esista un solo essere più cattivo di me – vuoi che mi sia lasciato sfuggire un primato del genere? Nessuno si è lontanamente avvicinato, anche se c’è chi ci ha provato, e non erano nemmeno tutti criminali, anzi, la maggioranza erano giornalisti...».
Dimmi qualcosa di cattivo.
«Mmmh, a furia di parlare mi è venuto un grande appetito... mi ci vorrebbe proprio un infante al forno».
È il menu dei comunisti. Ti confermi un materialista.
«La mia ricetta prevede un contorno di patatine novelle all’agro. Quella dei comunisti non la conosco».
A proposito di ragazzini. Cosa può frenare un giovane, potenziale criminale?
«Poche cose. A me ogni tanto capita di parlare ai cosiddetti ragazzini “difficili”. Sai, i discorsi tipo: “Non fate come me, vi bruciate la vita... a voi e a chi vi vuol bene e ad altra gente che potrebbe soffrire per causa vostra... vi verranno dei rimorsi che non avete idea”, eccetera... Credi che ascoltino? Pensano di essere al di sopra di tutto e tutti, e vogliono dimostrarlo. Sono stato così anch’io, e non solo da ragazzino. Per cambiare questa convinzione ci vorrebbe un impegno straordinario da parte di famiglia e società. Tempo, pazienza ed esempi di comportamento più che consigli a buon mercato. Ma oggi, a partire dal tempo e dalla voglia, tutto questo manca».
Per non parlare degli esempi di comportamento. Dove andremo a finire?
«Ah, non chiederlo a me!».