Claudio Rizza, Il Messaggero 25/8/2010, 25 agosto 2010
DALLE CORNA DI LEONE AL DITO DEL SENATÙR: TURPILOQUIO BATTE CRIBBIO
Si chiama villa Campari, ma sembrano tutti usciti da villa Whisky. Da una sbornia di solide argomentazioni politiche pregnanti, che Bossi si sforza di sintetizzare in un’unica parola: «Stronzo». Le scorciatoie della politica sono infinite, ma mai come in quest’agosto demenziale sono state esplorate fino in fondo, raschiando il barile della trivialità. Quando si è senza argomenti, il ricorso al turpiloquio è la più banale delle scappatoie e la prova di una politica tragicamente minuscola. Il colpevole non è solo il Senatùr, che la notte fa tardi e si eccita brandendo la Durlindana e ingurgitando litri di Coca Cola, incavolato con Casini, reo di aver ricevuto avances da Berlusconi, che sta tentando di sostituire i voti dei finiani per rimpolpare la maggioranza. Il leader udc ha ricordato il Bossi che va a caccia di banche e difende gli allevatori imbroglioni sulle quote latte, e di rimando è bersaglio di una forbita analisi politica: «E’ quel che rimane dei democristiani, di quei furfanti e farabutti che tradivano il Nord».
La Padania e Montecitorio sono ormai unite anche dallo stesso linguaggio figurato, rappresentato dall’esposizione del dito medio, ritto verso l’alto. Il leader leghista lo alterna all’isotopo dello stronzio, per comunicare con i cronisti i suoi dinieghi, l’avversità al proseguimento della legislatura, a Roma Ladrona, a chi frena Tremonti o a chi gli ricorda d’aver intascato i 200 milioni della tangente Sama-Ferruzzi-Enimont. Emulatori a go go. I sinonimi di questo linguaggio universale li ha declinati l’ex finiano Martinelli in aula alla Camera, rivolto al camerata non pentito Di Biagio, allargando braccia e mani in semicerchio, della serie «ti faccio un didietro a tarallo». Andava in onda il voto su Caliendo che l’astensione dei finiani ha salvato, regalando a Berlusconi un governo di minoranza.
Le corna anni ’70 di Giovanni Leone, presidente colpevole solo di una napoletanità verace e superstiziosa, sono nel mito di una purezza dimenticata, grazie a quegli studenti pisani che gli auguravano di prendersi “’o vibrione” del colera. Ora certe finezze non le capisce più nessuno. Ci riprovò Berlusconi una trentina d’anni dopo a Cacares, in uno dei suoi tanti interim tra i ministri degli Esteri europei, col sorrisetto ironico, indice e mignolo sulla testa dello spagnolo Piquè. In Spagna c’è la corrida, ai tori sono abituati, e poi fa tanta simpatia e cameratismo. Renato Ruggiero era stato appena “licenziato” e forse ne fu contento, perché nelle conferenze stampa il premier lo prendeva a calci sotto il tavolo per parlare al posto suo.
Ben altro clima rispetto al D’Alema che nel 2010 perde le staffe in tv e manda a “farsi fottere” Sallusti, condirettore del Giornale. Totti ha appena dato il calcione a Balotelli, il clima politico tra romanisti e interisti è come quello tra berlusconiani e finiani. Non parole, ma fatti.
Se «le parole sono pietre», come scriveva Carlo Levi, allora come definire quelle della Santanché, sottosegretario allo sviluppo, che dice di Fini «umanamente è una merda»? Anche i francesi dicono sempre “merde” ma per loro è un’esclamazione storica più che un escremento. Da noi è solo un epiteto. «Democristiano di merda», e non serve ricordare a chi appartenga il pensiero.
I più colti hanno individuato e sintetizzato la raccolta di contumelie, sputtanamenti, che servono a delegittimare l’avversario come il «Trattamento Boffo», dal nome dell’ex direttore di Avvenire costretto a dimettersi da una campagna ad personam, che doveva vendicare le critiche del quotidiano dei vescovi contro il libertinaggio e le escort del premier.
Stessa fine hanno fatto Veronica Lario, colpevole d’aver accusato l’ex marito di essere un malato bisognoso d’aiuto; e adesso Gianfranco Fini, che ha il torto anche lui d’aver rotto il matrimonio nel Pdl criticando il padrone di casa e pensandola a modo suo. Certi giochi di parole sono abbastanza scontati, come l’ironia del Cavaliere sul finiano Bocchino: «Sono rimasto male quando ho saputo che era un deputato e non un punto programmatico». E, ma lo citiamo solo per par condicio, ecco Bossi parlare di Verdini: «Ha banche tutte sue, un democristiano di m.». Anche lui. Agli atti restano comunque un vaffa di Prodi premier in aula e il Bersani che dà della «rompicoglioni» alla Gelmini. Gli stessi attributi citati da Berlusconi quando disse nel 2006 che tali sarebbero stati gli elettori che avessero votato per Prodi. I tempi belli di «cribbio» sono purtroppo dimenticati, e l’unica soddisfazione è riflettere sul fatto che la gente diserti sempre più le urne, nella speranza che quest’astensionismo galoppante sia soprattutto un giudizio etico sulla mancanza assoluta di stile e di morale. Inevitabile, peraltro, che il ministro della Semplificazione Calderoli chiami i gay “culattoni”: più semplificazione di così.
Bisognerebbe proprio finirla, perdindirindina.