Michele Farina, Corriere della Sera 27/08/2010, 27 agosto 2010
L’EREMO NELL’OCEANO CHE NON CONOSCE AEREI - «L’
evento più importante dopo l’arrivo di Napoleone — tuonò il governatore —. Avremo l’aeroporto». Era il 2005. Atteso per mezzo secolo, doveva esser pronto alla fine del 2010. Ma con la crisi economica, nel 2008 il governo laburista di Gordon Brown congelò il progetto. E così i Santi ovvero gli abitanti di Sant’Elena, isola sperduta nel Sud dell’Atlantico ancora governata nel nome di Sua maestà britannica (nel Seicento fu la seconda colonia inglese dopo Bermuda), si ritrovarono a terra un’altra volta. Neanche per la televisione avevano aspettato tanto: la prima trasmissione via satellite arrivò nel 1994, assieme ai sociologi che volevano studiarne gli effetti su un popolo «televisivamente vergine». Adesso hanno Internet, e nel frattempo è cambiato il governatore. Ma dell’aeroporto neanche la prima pietra. Nel mondo ce sono 50 mila, un migliaio gli scali internazionali: oltre 10 mila apparecchi solcano contemporaneamente i cieli, ma nessuno ha mai abbassato il naso tra i profumi di Prosperous Bay, l’unica zona pianeggiante di Sant’Elena che possa ospitare la necessaria pista di oltre due chilometri. Persino i vicini (si fa per dire) hanno un volo settimanale per il mondo: ad Ascension Island, castello di sabbia oltre mille chilometri a Nord di Sant’Elena (da cui dipende), la pista fu costruita durante la Seconda guerra mondiale. L’isola «capitale» non era sulle rotte dei bombardieri Usa e rimase tagliata fuori. Fino a oggi. Forse: «Effettivamente abbiamo ricevuto molte delusioni — ride al telefono (quattro cifre soltanto) Pamela Young, capo dell’ufficio turistico —. Questa volta siamo ottimisti». Ci vuole una certa dose di ottimismo (di santità?) a vivere in un eremo oceanico che, pur vantando il caffè più prezioso, le coste più incontaminate e i più bassi tassi di criminalità, si raggiunge solo da Città del Capo in Sudafrica dopo cinque giorni di navigazione. Ma i Saints hanno ripreso a sperare. A fine luglio il premier conservatore britannico David Cameron ha ribaltato la decisione del precedente governo annunciando un investimento di 360 milioni di euro. L’Independent non ha resistito al richiamo storico e ha titolato: «Un aeroporto per Sant’Elena (troppo tardi per Napoleone)». Spirito di patata (o di Tungi, il liquore prodotto da un cactus autoctono)? L’Imperatore non c’entra e lo stesso dicasi per i connazionali: su 1.200 turisti che si spingono a Jamestown ogni anno, pochissimi — dice Young — arrivano dalla Francia («e l’unico residente è il console» che cura i cimeli del Grande còrso). Però non si scappa: dici Sant’Elena e a cosa pensi? A Napoleone. All’esilio. Per noi Sant’Elena è un luogo più mentale che fisico. Sinonimo di lontananza estrema, meta senza ritorno: un’isola rocciosa di 120 chilometri quadrati a oltre 2000 chilometri da ogni terraferma, un limbo dove nel 1815 gli inglesi spedirono a morire l’acerrimo nemico sconfitto a Waterloo. Napoleone si spense nel 1821, fu sepolto nella Sane Valley che lui stesso si era scelto come ultima dimora. Il suo corpo fu riconsegnato alla patria nel 1840 e sepolto agli Invalides. Sono passati 170 anni e Sant’Elena è rimasta uno tra i luoghi più «remoti» della Terra. Le guarnigioni e le navi da guerra che incrociavano per impedire l’ennesima fuga di Bonaparte salparono presto. Con l’apertura del canale di Suez e la scoperta del vapore andò perso il tradizionale ruolo di stazione di posta verso l’Asia. Negli anni ’60 del Novecento finì l’industria del lino con cui si producevano funi e cordame. L’altra faccia del paradiso naturale: inferno occupazionale. Il 60% degli abitanti è impiegato statale. I sussidi da Londra ammontano a 6.000 euro a persona. I Saints sono scesi da 5.000 a 3.900. Fuga di cervelli. Chi l’ha detto che nessun luogo è lontano? È vero, solo il 10% dell’umanità vive a più di un’ora di auto (o treno) dalla prima città di 50.000 abitanti. Ormai ogni cosa è vicina. Purtroppo? Non ditelo ai Santi: «L’aeroporto ci aprirà al mondo, servirà ad aumentare il numero dei viaggiatori in arrivo — assicura la signora Young —. E a far tornare i giovani che hanno scelto di andarsene». Però all’inizio c’erano abitanti che si opponevano all’aeroporto... «Sì, è vero, noi siamo gelosi del nostro ambiente, dei nostri ritmi. Soprattutto i più anziani. Ma faremo in modo di salvaguardarli sempre». Nel dubbio i cultori dello «slow travel» si affrettino, prima che i 747 scarichino salvifiche comitive a Prosperous Bay. Nel 2008 il governo britannico aveva scelto l’italiana Impregilo, che rimane in prima fila per la costruzione dell’aeroporto. Ma per ora c’è un solo modo per andare e venire dall’isola dei Santi: si chiama RMS St Helena, età 21 anni, nave cargo «portatutto» (126 passeggeri). L’ultimo «postale» britannico in attività. Due volte l’anno si spinge fino in Gran Bretagna. Se si rompe (è successo una volta al largo della Francia) i Santi sono davvero isolati. La prossima partenza da Città del Capo: 5 ottobre. Prima? Niente. Rodney Young è il capitano dal 2000. Nato a Sant’Elena, vive in Gran Bretagna. Con l’aeroporto perderà il lavoro? «Me lo chiedevano anche cinque anni fa — dice al Corriere —. E invece per almeno altri cinque farò la spola con la mia isola. La cosa più bella? Dal mare sembra tutta roccia, ma dentro è meravigliosamente verde. Forse solo Napoleone non la vedeva così».
Michele Farina