Roberto Beccantini, La Stampa 27/8/2010, pagina 1, 27 agosto 2010
Chi accende la notte dell’inciviltà - La tessera del tifoso arroventa il decollo del campionato, in programma domani
Chi accende la notte dell’inciviltà - La tessera del tifoso arroventa il decollo del campionato, in programma domani. Dopo la guerriglia bergamasca anti Maroni, pugno duro del governo. La degenerazione del calcio non nasce in curva. Nasce da un funerale (lo sport come idea) e da un battesimo (lo sport come ideologia); cresce al guinzaglio di una classe di dirigenti senza classe; prospera con la (tele)visione berlusconiana di un calcio al servizio della politica (e, quando serve, viceversa). È l’incertezza della pena ad aver favorito e diffuso un fenomeno che non è solo italiano, ma che da noi gode di corsie emotive e di sanzioni miti: o comunque, ambigue. Anche l’hooligan vale un voto, e i presidenti o i ministri sono, spesso, ultrà mascherati. Con la violenza da stadio sono scesi a patti sia i governi di sinistra sia quelli di destra, ricavandone magri compromessi, subdoli armistizi. L’assalto al comizio del ministro Maroni è roba fresca di mercoledì sera e riassume l’ennesimo segnale contro la tessera del tifoso. Chi scrive, ne avrebbe fatto volentieri a meno: non sarà una schedatura in senso letterale, ma non rientra in quel modello inglese che sempre citiamo quando ci fa comodo, e sempre seppelliamo quando ci dà fastidio. Là dove la bussola è ancora assicurata dalla civiltà, bastano le leggi: ordinarie e sportive. E sia chiaro: quelle che ci sono, non quelle che suggerisce la propaganda. Ciò doverosamente premesso, i teppisti atalantini di Alzano Lombardo non legittimano alcuna attenuante. Saranno anche i cani sciolti di un sistema perverso e mercificato, in cui i prezzi hanno cancellato i valori, e nel quale assai di rado l’esempio viene dall’alto (Passaportopoli, Bilanciopoli, Calciopoli), ma non è certo con la guerriglia urbana che si difendono le cause e si vincono le «elezioni» del sentimento popolare. Una minoranza qua e una minoranza là, fanno maggioranza: è il problema, secolare, di un cancro che continuiamo a combattere per slogan, per decreti, per effetti speciali, quali i tornelli, le tolleranze zero, le tessere. In compenso, se una partita viene sospesa per lancio di fumogeni (è successo sabato, a San Siro, durante Inter-Roma), diventiamo tutti buonisti: una multa alla società giallorossa, e chi s’è visto s’è visto. In sé, la tessera del tifoso non è il demonio. È il tentativo, estremo e un po’ estremista, per recuperare il terreno lasciato ai calcoli politici e all’ignavia procedurale; ai pelosi distinguo sul razzismo balotelliano, alle sollevazioni dopo la morte dell’ispettore Raciti e alle «immersioni» dopo la morte di Gabriele Sandri per mano (e pistola) dell’agente Spaccarotella. Sarebbe sufficiente far cantare le carte dei regolamenti: pre-venire e post-venire; e, se ci sono gli estremi, squalificare gli intoccabili, come l’Olimpico di Roma. Comincia, domani, un campionato ad alta tensione. Non è una novità, e anche questo deve far riflettere. La perenne emergenza in cui vive il calcio giustifica tutto, giustifica troppo. Le porte chiuse di Genoa-Milan del 9 maggio scorso incarnano l’ultima sconfitta di un sistema in stato confusionale. Invece di stadi-salotto, abbiamo costruito salotti-stadio: Berlusconi fu facile, e interessato, profeta. Murdoch fiutò l’aria e lo seguì, goloso. La televisione ha prosciugato le arene più di quanto non ci sia riuscita l’architettura obsoleta. Gli abbonamenti sono annunciati in calo, proprio nella stagione in cui il calendario spezzatino porterà le partite addirittura in tavola, a mezzogiorno e mezzo. Il disprezzo per la divisa ha affiancato - e, spesso, sostituito - lo sfregio per la maglia. Tutto fa brodo, pur di alzare la pressione. «Ridateci il nostro calcio», invocò un corteo di ultrà sotto la sede della Lega calcio, a Milano. Loro sì, avevano ragione: non i barbari che, decisi a sabotare la tessera, hanno fatto il suo gioco.