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 2010  agosto 27 Venerdì calendario

“Basta con padroni e operai” - Ecco un’ampia sintesi dell’intervento che l’ad di Fiat ha pronunciato ieri mattina al Meeting di Cl a Rimini *** Quello che ho sempre cercato di fare, a costo di passare per rude, è parlare in modo chiaro e diretto, senza la presunzione di avere la verità in tasca, ma con la convinzione che l’onestà intellettuale sia il modo migliore per dare il proprio contributo e compiere insieme passi avanti

“Basta con padroni e operai” - Ecco un’ampia sintesi dell’intervento che l’ad di Fiat ha pronunciato ieri mattina al Meeting di Cl a Rimini *** Quello che ho sempre cercato di fare, a costo di passare per rude, è parlare in modo chiaro e diretto, senza la presunzione di avere la verità in tasca, ma con la convinzione che l’onestà intellettuale sia il modo migliore per dare il proprio contributo e compiere insieme passi avanti. Spesso le ragioni del declino sociale ed economico di un Paese hanno a che fare con ciò che non abbiamo saputo o voluto trasformare, con l’abitudine di mantenere le cose come stanno. Questo è stato per tanto anche il grande male della Fiat. Quando sono arrivato, nel 2004, ho trovato una struttura immobile, chiusa su se stessa, che aveva perso la voglia e l’abilità di competere e confrontarsi col resto del mondo. Questo è anche il rischio che corre l’Italia. Basta pensare a quanto è basso il livello degli investimenti stranieri, a quante imprese hanno chiuso e a quante altre hanno abbandonato l’Italia per capire la gravità della situazione. La cosa peggiore di un sistema industriale, quando non è in grado di competere, è che alla fine sono i lavoratori a pagarne direttamente - e senza colpa - le conseguenze. Quello che abbiamo cercato di fare, e stiamo facendo, col progetto «Fabbrica Italia» è invertire la rotta. Per realizzare questo progetto è assolutamente indispensabile colmare il divario competitivo che ci separa dagli altri Paesi e portare Fiat a quel livello di efficienza necessario per garantire all’Italia una grande industria dell’auto e ai lavoratori un futuro più sicuro. La verità è che l’unica area del mondo in cui l’insieme del sistema industriale e commerciale del Gruppo Fiat è in perdita è proprio l’Italia. Lo è quest’anno come lo è stato lo scorso. «Fabbrica Italia» è nata per cambiare questa situazione e per sanare le inefficienze del sistema industriale. E’ nata dalla nostra volontà di trasformare l’Italia in una base strategica per la produzione e le esportazioni di vetture. L’unica cosa di cui abbiamo bisogno è la garanzia che gli stabilimenti possano lavorare in modo affidabile, continuo e normale. Non c’è niente di straordinario nel voler adeguare il sistema di gestione a quello che succede a livello mondiale. Eccezionale semmai è la scelta di compiere questo sforzo in Italia, rinunciando ai vantaggi sicuri che altri Paesi potrebbero offrire. Ciò di cui c’è bisogno è riconoscere la necessità di cambiare, di aggiornare un sistema che garantisca alla Fiat di continuare a competere. Quella alla quale stiamo assistendo in questi giorni è una contrapposizione tra due modelli, l’uno che si ostina a proteggere il passato e l’altro che ha deciso di guardare avanti. Non so quali siano i motivi di questo scontro, se ci siano ragioni ideologiche o altro. Ma so che fino a quando non ci lasciamo alle spalle i vecchi schemi, non ci sarà mai spazio per vedere nuovi orizzonti. A volte ho l’impressione che gli sforzi che la Fiat sta facendo per rafforzare la presenza industriale in Italia non vengano compresi o non siano apprezzati intenzionalmente. La verità è che la Fiat è l’unica azienda disposta a investire 20 miliardi di euro in Italia, l’unica disposta a intervenire sulle debolezze di un sistema produttivo per trasformarlo in qualcosa che non abbia sempre bisogno di interventi d’emergenza. La verità è che questo sforzo viene visto da alcuni con la lente deformata del conflitto. Non siamo più negli Anni Sessanta. Non è possibile gettare le basi del domani continuando a pensare che ci sia una lotta tra «capitale» e «lavoro», tra «padroni» e «operai». Se l’Italia non riesce ad abbandonare questo modello di pensiero, non risolveremo mai niente. Erigere barricate all’interno del nostro sistema alimenta solo una guerra in famiglia. L’unica vera sfida è quella che ci vede di fronte al resto del mondo. Quello di cui ora c’è bisogno è un grande sforzo collettivo, una specie di patto sociale per condividere impegni, responsabilità e sacrifici e per dare al Paese la possibilità di andare avanti. L’accordo che è stato firmato per lo stabilimento di Pomigliano ha ottenuto prima il consenso della maggioranza delle organizzazioni sindacali e poi della maggioranza dei lavoratori. Un sistema corretto di relazioni industriali deve garantire che gli accordi stipulati vengano effettivamente applicati. In democrazia funziona così, altrimenti è caos. Rispettare un accordo è un principio sacrosanto di civiltà. Non credo sia onesto usare il diritto di pochi per piegare i diritti di molti. Ed è quindi inammissibile tollerare e difendere alcuni comportamenti, come la mancanza di rispetto delle regole e gli illeciti che in qualche caso sono arrivati anche al sabotaggio. Non è giusto nei confronti dell’azienda ma soprattutto nei confronti degli altri lavoratori. Mi rendo conto che certe decisioni, come quelle che abbiamo preso a Melfi, non sono popolari, ma non si può far finta di niente davanti a quelle che per la Fiat sono palesi violazioni della vita civile in fabbrica. Sono state spese molte parole su Melfi. Vorrei essere assolutamente chiaro. La Fiat ha rispettato la legge e ha dato pieno seguito al primo provvedimento provvisorio della magistratura. Pur mantenendo legittime riserve nel merito, abbiamo reinserito i lavoratori nell’organico, assicurando loro l’accesso allo stabilimento e il pieno esercizio dei diritti sindacali. Siamo in attesa del secondo giudizio previsto dal nostro ordinamento. Ci auguriamo che sia meno condizionato dall’enfasi mediatica, che ha in parte travisato la realtà dei fatti, come possono testimoniare altri lavoratori presenti la notte in cui è stata bloccata la produzione in modo illecito. Nel frattempo, quello che è importante riconoscere è la necessità di garantire le condizioni minime di un rapporto di fiducia, sul quale si basa qualsiasi tipo di relazione. Ho sentito parlare molto di dignità e di diritti in questa vicenda. Ma la dignità e i diritti non possono essere patrimonio esclusivo di tre persone. Vanno difesi e riconosciuti a tutti. La responsabilità che abbiamo è anche tutelare la dignità dell’impresa e il diritto al lavoro. Di sicuro, accuse che considero pretestuose di una parte del sindacato non aiutano a mantenere un clima sereno, condizione assolutamente necessaria per gli ambiziosi programmi di cui ci stiamo facendo carico.