m. l., il Fatto Quotidiano 27/8/2010, 27 agosto 2010
IL PRESIDENTE DEL SENATO E QUELLE STRANE AMICIZIE
Renato Schifani è stato invitato alla festa del Pd il 4 settembre a Torino. Le rivelazioni dell’Espresso si basano su indiscrezioni relative al verbale di un pentito ma su Schifani non ci sono solo le parole di Spatuzza. Il “Fatto” ha ricostruito in una mezza dozzina di articoli gli incroci pericolosi di questo avvocato asceso in 12 anni dal suo ufficio palermitano alla seconda carica dello Stato. Il presidente che si professa un alfiere dell’antimafia deve avere la stoffa dell’infiltrato. Nessuno dei tanti soggetti legati alla mafia (allora incensurati) che lo hanno scelto come consulente e socio infatti hanno mai sospettato della sua affidabilità. Nel 1979, Schifani fonda una società assicurativa (Sicula Broker) con gli amici dello studio La Loggia. Tra gli altri ci sono: Giuseppe Giudice (arrestato nel 1980 e altre due volte, figlio del numero uno della Finanza in quegli anni); Benni D’Agostino (arrestato nel 1997 e condannato per mafia, legato a Riina); Francesco Maniglia (socio di Ciancimino, latitante nel 1980 su mandato di arresto del giudice Falcone); Antonino Mandalà (capofamiglia di Villabate, legato a Provenzano, arrestato nel 1998 e condannato per mafia); Luciano De Lorenzo (arrestato nel 2006 per il crack Finasi); Giuseppe Lombardo, l’amministratore dell’impresa dei cugini Salvo, capimafia di Salemi, indagato con loro nel 1984.
Schifani ha detto di avere sottoscritto una piccola quota per rispetto al titolare dello studio, Giuseppe La Loggia, padre di Enrico. Sarà. Ma dopo lo scherzetto subito non tagliò i ponti con quel mondo e accettò di buon grado la consulenza da 60 milioni di lire offertagli proprio nello studio La Loggia dal sindaco di Villabate alla presenza di Nino Mandalà, che non aveva alcuna carica ufficiale. Secondo il pentito Francesco Campanella il boss chiedeva a Schifani le soluzioni tecniche per cambiare il piano regolatore nel suo interesse. Il presidente ha sempre negato.
La battaglia per la legalità di Schifani ha il suo primo nemico nella statistica: nel 1992 fonda la Gms, una società di servizi legali con un avvocato e un ufficiale giudiziario. Poi saranno arrestati entrambi. Il primo uscirà dal processo con un’assoluzione mentre l’ufficiale giudiziario, Antonio Mengano, è ancora alla sbarra con l’accusa di avere incassato mazzette per accelerare lo sfratto. A tutt’oggi Schifani è socio della Gms, da sempre inattiva a parte qualche pratica arrivata dalla Sip, grazie alle entrature di Mengano, sposato con la segretaria dell’allora ministro delle poste Vizzini. Anche quando compra casa Schifani si imbatte nella statistica. Nel 1984 entra nella cooperativa Desio per comprare l’appartamento palermitano nel quale ha abitato per 25 anni in via D’Amelio. Il palazzo è stato costruito da Sansone, poi condannato per mafia. Nella cooperativa Desio che costruisce entrano con il giovane avvocato anche soggetti come Vito Buscemi, condannato poi per mafia. Anche la casa al mare di Cefalù è stata comprata da Schifani dalla Progea di Francesco Alamia (socio di Ciancimino e indagato più volte) e di Antonio Maiorana (scomparso forse per lupara bianca). Nell’attività professionale non va meglio: Schifani è stato il consulente di Giovanni Costa, condannato per riciclaggio. E prima ancora di costruttori legati alla vecchia mafia, come Bisconti e Federico o alla nuova, come Giuseppe Cosenza, Antonino Seidita e Pietro Lo Sicco. Quest’ultimo è il responsabile del palazzo abusivo di piazza Leoni, edificato violando i diritti di due sorelle inermi. La licenza edilizia, ottenuta grazie a una mazzetta pagata all’assessore Michele Raimondo (amico di Schifani) sarà difesa da Schifani davanti alla giustizia amministrativa con dotte motivazioni giuridiche. Il politico corrotto, prima di morire nel 1995, fu coinvolto in un’altra indagine con il fratello Aldo Raimondo (arrestato nel 2003) e con Schifani (prosciolto nel 2002): l’affare della metanizzazione di Palermo. La Finanza ha accertato che i Raimondo volavano nell’ottobre 1993 con Schifani verso Bologna (come abbiamo documentato sul “Fatto”) mentre si formalizzavano i patti parasociali che - secondo il pentito Lanzalazo - servivano a spartire la torta. D’accordo Schifani e gli altri indagati sono stati prosciolti. D’accordo, i suoi clienti e soci sono stati arrestati dopo i rapporti con lui. D’accordo. Ma non c’era proprio nessun altro da invitare il 4 settembre a Torino?