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 2010  agosto 11 Mercoledì calendario

ROMA - Il tribunale di Melfi ha condannato la Fiat-Sata per comportamento antisindacale e ha disposto il reintegro immediato dei tre operai licenziati il 13 luglio scorso per «sabotaggio alla produzione»

ROMA - Il tribunale di Melfi ha condannato la Fiat-Sata per comportamento antisindacale e ha disposto il reintegro immediato dei tre operai licenziati il 13 luglio scorso per «sabotaggio alla produzione». Il provvedimento contro Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino e Marco Pignatelli (tutti e tre Fiom, i primi due delegati sindacali) era stato deciso dall’ azienda in quanto, durante lo sciopero del 6 luglio, avevano bloccato alcuni carrelli robotizzati provocando il fermo della catena di montaggio. Il giudice Emilio Minio, secondo quanto riferito dalla Fiom, ha appurato che il blocco del carrello incriminato sarebbe stato disposto dal responsabile del reparto in quanto, per colpa della protesta, era venuto meno il controllo da parte del personale. La Fiat, difesa nella circostanza dagli avvocati torinesi Diego Dirutigliano, Luca Ropolo e dai colleghi baresi Bruno Amendolito, Maria Dibiase e Grazia Fazio ha evitato per ora ogni commento in attesa di leggere il testo completo della sentenza e non affidarsi, in una vicenda così delicata, alle anticipazioni delle agenzie di stampa. La sconfitta della linea dura scelta dal Lingotto, sempre che in un probabile appello le cose non vadano diversamente, è stata ovviamente salutata con soddisfazione dal sindacato. E anche dai tre operai che erano stati protagonisti di una spettacolare protesta, salendo per alcuni giorni sulla Porta Venosina di Melfi, interrotta solo per un malore a uno di loro. Per Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, «è una sentenza molto importante che ribadisce il comportamento antisindacale della Fiat e dimostra che l’ azienda deve cambiare strada». «I licenziamenti - continua Landini - sono arrivati dopo il voto di Pomigliano e le elezioni delle Rsu a Melfi dove per la prima volta la Fiom è diventata il sindacato più importante, se l’ azienda vuole uscire dalla crisi deve coinvolgere tutti i lavoratori e tutti i sindacati». Anche se, nel merito, i licenziamenti di Melfi sono un fatto a sé stante, è impossibile separare l’ episodio dal clima di forte contrapposizione tra Cgil-Fiom e Fiat dopo lo scontro su Pomigliano e sulla revisione del contratto nazionale alla ricerche di deroghe per evitare l’ uscita del Lingotto da Confindustria. Il clima resta teso. Anche dentro il sindacato. Pur accogliendo con favore la decisione del giudice Minio, Fim e Uilm sono preoccupate dalle conseguenze sul futuro di Melfi dopo che la fabbrica è stata messa «a ferro e fuoco dalla Fiom per 20 giorni». Secondo Rocco Palombella, leader Uilm, «il Lingotto difficilmente ora produrrà qua la monovolume preferendo la Serbia, la Fiom doveva scegliere solo la via legale». Per Giuseppe Farina (Fim) «tutti hanno esagerato, azienda e Fiom, ma la sentenza dimostra che il sistema di garanzie funziona, ora ci si concentri su Fabbrica Italia». Dentro il sindacato continua a regnare la divisione. Se per il segretario generale della Uil Luigi Angeletti «la sentenza, pur positiva per i lavoratori, non avrà alcun effetto sulle relazioni industriali tra il Lingotto e i sindacati», per il segretario confederale della Cgil Vincenzo Scudiere lo avrà eccome. «La sentenza - spiega Scudiere - conferma come abbiamo ragione sul fatto che i diritti non possano essere messi in alternativa all’ occupazione e dimostra che la Fiat può anche sbagliare». «Ma siamo sempre a disposizione - conclude - per riaprire un confronto con relazioni sindacali più leali e corrette». Roberto Bagnoli RIPRODUZIONE RISERVATA **** 5.280 I dipendenti dello stabilimento Fiat-Sata di Melfi in Basilicata Bagnoli Roberto Il magistrato di Avellino e il verdetto di 15 pagine ROMA - Le quindici pagine della sentenza che condanna la Fiat a riassumere i tre lavoratori licenziati per «sabotaggio» saranno pubblicate entro trenta giorni sui quotidiani Il Corriere della Sera e la Repubblica. A spese del «resistente», cioè il Lingotto. Così ha stabilito il giudice del tribunale di Melfi Emilio Minio, il magistrato di Avellino che a soli 34 anni si è trovato a maneggiare una vicenda esplosiva. Lo ammette lui stesso nella penultima pagina del dispositivo che condanna la Fiat. «In considerazione della vasta eco che la notizia dei licenziamenti qui impugnati ha avuto presso i media locali e nazionali - si legge - al fine di rimuovere (per quanto possibile) gli effetti della condotta antisindacale, appare altresì opportuno allo scrivente ordinare la pubblicazione del presente decreto...» La ricostruzione della vicenda, con il carrello robotizzato che si ferma ma alla fine non si capisce bene perché, è stata fatta dal giudice sentendo in una delle due udienze (la prima ha sentito le parti) almeno cinque dei 40 testimoni citati dalla Fiom. Minio si è curato di contestualizzare più volte l’ accaduto. Riferisce della «particolare concitazione del momento (era in atto uno sciopero) e della possibilità che i lavoratori abbiano trascurato di considerare che la loro condotta potesse oggettivamente essere causativa di un blocco della produzione pensando prima a difendersi». Parla anche di «equivoco». E, visto «il particolare contesto di aspro confronto sindacale in cui sono maturati i fatti costituiscono gravi ed eccezionali ragioni per compensare per intero le spese di lite tra le parti». R. Ba. RIPRODUZIONE RISERVATA Bagnoli Roberto MILANO - Melfi. Interno dello stabilimento. È la notte tra il 6 e il 7 luglio. L’ orologio segna quasi le due. Le polemiche sull’ esito del referendum di Pomigliano d’ Arco non si sono ancora spente, e un gruppo di operai della Fiat-Sata impegnato sulla linea di montaggio «Melfi 2», quella dove nascono le Punto Evo, organizza un’ assemblea spontanea. Parte lo sciopero. I carrelli robotizzati (Agv), che servono per rifornire i componenti necessari all’ assemblaggio delle auto lungo la linea di montaggio che corre parallela, si fermano di colpo. Ma che cosa è successo quella notte a Melfi? Secondo l’ accusa della Fiat, che ha fatto subito partire tre licenziamenti in tronco, non ci possono essere dubbi: gli operai hanno ostruito in maniera intenzionale il movimento dei carrelli, ostacolandone la normale attività e soprattutto impedendo il regolare rifornimento lungo la linea di assemblaggio agli altri operai che non partecipavano allo sciopero. Una mossa che sarebbe stata studiata e voluta con il chiaro intento di alimentare la tensione fra le tute blu nei confronti dell’ azienda, dopo il clamore scatenato dalla spaccatura sindacale di Pomigliano d’ Arco. Diversa la versione della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici che fa capo alla Cgil: lo stop ai carrelli è stata una decisione organizzativa della Fiat. Un intervento che in casi analoghi viene sempre adottato prima di tutto per questioni di sicurezza, in nome della "626" (la legge sulla sicurezza sul lavoro). Ma anche per evitare pericolosi accumuli di carrelli lungo le linee di assemblaggio in caso di interruzioni momentanee in una determinata postazione di lavoro. A schiacciare il famoso bottone che ha bloccato il regolare avanzamento dei carrelli sarebbe stato il «Capo Ute» (cioè il responsabile di una "Unità tecnologica elementare") di turno quella notte sulla la linea «Melfi 2». Emilio Minio, giudice del Lavoro al Tribunale di Melfi, sentite le testimonianze di una quarantina di testimoni portati dal sindacato, oltre a quelle dei responsabili Fiat dello stabilimento, è arrivato a sentenziare che quella notte, a Melfi, non c’ è stato alcun «sabotaggio della produzione», ribaltando le accuse del Lingotto per «contestazione inveritiera». Per il giudice, come scrive nella sentenza, «quando gli scioperanti si sono riuniti in assemblea nei pressi del carrello, quest’ ultimo era già fermo». E ancora: «I lavoratori si sono fermati a una distanza dal mezzo superiore a quella necessaria per l’ attivazione del radar, che è risultata pacificamente essere di circa dieci centimetri». Anzi, «anche i responsabili aziendali hanno indicato in 80-100 centimetri la distanza dal carrello degli operai». Non c’ è quindi stata alcuna forzatura di blocco ai carrelli robotizzati da parte degli operai in sciopero, sostiene il giudice. E nemmeno una accidentale manomissione ai microradar o alle fotocellule che guidano i carrelli lungo i percorsi prestabiliti. «Abbiamo sempre scioperato sapendo quello che puoi fare e quello che non puoi fare», è il commento del segretario Fiom della Basilicata, Emanuele de Nicola. Gabriele Dossena