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 2010  agosto 23 Lunedì calendario

Funerali senza gente? Parroco ingaggia la claque - Ci sono domande cui non è possibile rispondere

Funerali senza gente? Parroco ingaggia la claque - Ci sono domande cui non è possibile rispondere. Per esem­pio: è più triste il funerale con quattro gatti o quello seguito da una gran folla? Cioè: pesa di più la sofferenza di pochi o allevia di più la partecipazione di molti? Se lo sarà posto, questo interrogati­vo, don Marcello Colcelli, parro­co di Sant’Egidio all’Orciolaia, in provincia di Arezzo. Però lui, uo­mo di Chiesa, compiendo il salto logico dalla spiritualità alla razio­nalità, una risposta se l’è data: e ha scelto la busta numero 2, quel­la più grande, quella che si appel­la alla consolazione condivisa, ecumenica. Il rovello di don Marcello è co­mune a molti preti di oggi: la scar­sa partecipazione dei fedeli alla vita religiosa. La gente è distratta da mille cose, le insegue e ne vie­ne inseguita e in questa corsa si allontana da Dio e dagli uomini. La società è sempre meno comu­nità, in ogni atto, dal battesimo fino all’ultimo saluto. Ma alme­no il battesimo è gioia, mentre l’ultimo saluto è soltanto dolore. E soprattutto c’è la solitudine dei numeri zero, quelli rimasti soli al mondo, vecchi e abbandonati. Anche loro, si sarà detto don Mar­cello, meritano un po’ di compa­gnia, prima dell’ultimo viaggio. «Per garantire una dignitosa ce­lebrazione delle esequie cristia­ne », ecco la formula che giustifi­ca la sua singolare iniziativa che ha anche un «titolo». Un titolo strano, quasi da romanzo noir : «La compagnia dei defunti». Per contrastare la mesta consuetudi­ne dei funerali deserti, padre Mar­cello si è rivolto con una lettera aperta ai propri parrocchiani in­vitandoli a compiere, se non l’at­to di contrizione, almeno quello di presenza. «Tra i precetti della chiesa-dice-c’è quello di seppel­lire i morti, e non ci si riferisce semplicemente a seppellirli, ma all’impegno e alla cura che la co­munità cristiana deve porre nel­l­’accompagnare verso l’ultima di­mora quelli che conosce come membri della stessa comunità parrocchiale». Non posso far tut­to da solo, lamenta il parroco to­scano: sacrestano, lettore, canto­re. Se non mi date una mano le cose si mettono male. Cantare e portare la croce è dura, cari signo­ri. E allora, ecco la proposta, sot­to forma di uno «statuto» che im­pegna i fedeli, fra l’altro, ad ac­compagnare i compaesani fin sul­la soglia del mondo dei più. La quota di adesione alla «compa­gnia » è bassa, irrisoria: due euro. La quota di impegno non è di mol­to superiore: letture liturgiche, raccolta delle offerte, preparazio­ne dell’incenso... Ciò che conta è partecipare, esserci. Non faremo peccato se pense­remo che, in fondo, si parla an­che a suocera perché nuora inten­da, che il messaggio nella botti­glia lanciato tra i flutti delle co­scienze vuole arrivare alla Chie­sa con la «C» maiuscola, deve arri­vare a Roma. E i primi ad aderire all’iniziativa, nell’attesa che il gregge cresca di numero quando tutti saranno rientrati dalle ferie, rappresentano già un buon viati­co. Insomma, don Colcelli ha lan­ciato il sasso ma non vuole na­scondere la mano, se mai porge­re l’altra guancia a chi si farà bef­fe della sua iniziativa. «Non ho la pretesa che sia una grande idea ­conclude - . Se non verrà accetta­ta me ne farò una ragione». Comunque vada, questa non è soltanto una storia strapaesana che riguarda quattromila anime. È un interrogativo che chiama in causa il senso del vivere e del mo­­rire, e molte altre domande cui non è possibile dare risposta, ma soltanto eludere mettendole fra le parentesi tonde della pietà.