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 2010  agosto 23 Lunedì calendario

In Iran fa paura anche un colpo di testa al pallone - La libertà finisce anche quando non puoi più colpire un pallone di testa

In Iran fa paura anche un colpo di testa al pallone - La libertà finisce anche quando non puoi più colpire un pallone di testa. Le giocatri­ci di calcio dell’Iran non lo fa­ranno più. Per paura di qual­cuno, non di qualcosa. Non è il pallone che fa male, è il terro­re che succeda quello che è successo qualche giorno fa: la palla che fa scivolare il copri­capo con cui sono costrette a giocare, un pezzettino di ca­pelli si vede. La normalità per chiunque altro al mondo è un problema per chi sa che quel­la ciocca innocente possa va­lere un rimprovero, o forse di più una punizione. Le foto raccontano molto di più di quello che fanno vede­re. Dicono che spesso ci di­mentichiamo delle donne che vivono nello spavento continuo, si muovono speran­do che non ci sia vento, che nulla alzi i loro veli. Uno, due, tre: la sequenza contiene il fat­to, ma soprattutto la reazione. Perché ormai non ci colpisce neanche più che delle atlete debbano giocare a calcio tutte coperte: nessuno s’indigna, nessuno protesta, nessuno vieta. La Fifa una volta voleva addirittura che le donne gio­cassero con le gonne per atti­rare più pubblico e adesso ta­ce di fronte alle divise da scia­trici che alcuni paesi impon­gono alle loro sportive. Ecco, ammesso che si possa accetta­re una cosa così, come fai ad accettare quello che queste fo­to mostrano così chiaramen­te? La ragazza iraniana che colpisce di testa facendo cade­r­e inavvertitamente il coprica­po si gira di spalle alla teleca­mera per non farsi vedere, poi soprattutto, viene soccorsa immediatamente dalle com­pagne che cercano di coprir­la. È l’istinto di protezione, una solidarietà sincera, imme­diata, non richiesta eppure co­sì angosciante. Mostra l’an­sia, il tormento, l’incubo delle donne che non sono libere di essere normali. Il mondo vuole trattare con l’Iran,vuole parlare con Tehe­ran, pensa di convincere il go­ve­rno di Ahmadinejad a smet­terla di essere una minaccia per l’Occidente però sta zitto di fronte a una cosa del gene­re. Il silenzio è l’imbarazzo col­lettivo e contem­poraneamen­te il lasciapassare dell’oppres­sione. È la complicità. È assen­so implicito ai soprusi e al cli­ma di paura che Teheran fa vi­vere ai suoi cittadini. Ecco per­ché è terrorizzata l’espressio­ne del volto della giocatrice che aiuta la compagna a co­prirsi prima che sia troppo tar­di. Sa che se qualcuno davanti alla tv vede quelle immagini è finita: la compagna sarà giudi­c­ata immorale e quindi da pu­nire il fatto di aver perso il co­pricapo in un’azione da gio­co. Il disonore della normali­tà. Quell’espressione preoc­cupata è l’aiuto che queste ra­gazze chiedono senza la possi­bilità di chiederlo usando la voce. Ecco, la risposta è il silen­zio. Non c’è censura globale, non c’è neanche il rimbalzo su internet di immagini così agghiaccianti. Solo il sito di Repubblica ha il merito di metterle in rete. Poi il vuoto. Poi niente. È già un miracolo che qualcuno non abbia invo­cato le legi­ttime tradizioni cul­turali e religiose dell’Iran. Co­me per Alì Karimi, anche lui calciatore iraniano, anzi il più forte calciatore iraniano con­temporaneo: licenziato dalla sua squadra, lo Steel Azin di Teheran perché ha bevuto un bicchiere d’acqua durante il Ramadan e riabilitato solo do­po che i compagni l’hanno di­feso in blocco: «Abbiamo mangiato e bevuto tutti». Pri­ma della retromarcia Karimi ha dovuto vedere anche la tv pubblica che mostrava a tutto il paese il peggio della sua car­­riera: gol sbagliati, falli, errori. Come a dire: ecco chi è questo giocatore che non rispetta le regole e non si comporta co­me dovrebbe. Karimi e la sua collega don­na dovrebbero essere i simbo­li della libertà che non c’è. La rivoluzione verde, ha vinto il silenziatore imposto, ha stra­vinto la repressione. La prova è questa sequenza che fa pau­ra per la paura che le si legge oltre la superficie.Non c’è nul­la di naturale, nulla di accetta­bile, nulla di nulla. C’è solo la dimostrazione che vivere in Iran significa avere paura di colpire una palla di testa an­che se giochi a pallone, o di be­re un bicchiere d’acqua d’estate dopo un allenamen­to, dopo una sudata, dopo qualunque cosa. Non c’è reli­gione, non c’è cultura,non c’è niente. C’è terrore, solo quel­lo.