Gad Lerner, Vanity Fair, n 34, 1 settembre 2010, 1 settembre 2010
[Bocca mi disse: «Pivello, non vorrai farmi ombra?»] Fra pochi giorni Giorgio Bocca compie 90 anni e io faccio fatica a esprimergli l’affetto che provo per lui
[Bocca mi disse: «Pivello, non vorrai farmi ombra?»] Fra pochi giorni Giorgio Bocca compie 90 anni e io faccio fatica a esprimergli l’affetto che provo per lui. L’uomo è ruvido, vedo già i suoi occhi stringersi felini nella preparazione dello sfottò, come ogni volta: «Guardalo il Gaddino, e chi l’avrebbe detto che quel pivello del Gaddino ci diventava un sciur pareil…». L’aiuto, tanto per mettere le cose in chiaro, Bocca te lo dà gratis – se gli gira – solo all’inizio quando sei un ragazzino che lui si diverte a osservare in azione. Nel mio caso telefonò, sarà stato l’inizio degli anni Ottanta, mentre gli sedevo di fronte, al direttore Livio Zanetti per dirgli che valevo la pena come ragazzo di bottega a L’espresso. L’avevo incuriosito negli anni di piombo, quando veniva a dirci che noi di Lotta Continua gli ricordavamo l’intransigenza partigiana di Giustizia e Libertà, senza che neppure comprendessimo la preziosità di un tale complimento sulle sue labbra ironiche. Ma dal momento dell’assunzione basta favori, in lui scattavano giustamente sospetto e competitività, vivendo il giornalismo come una passione divorante: «Ehi, pivello, cercherai mica di farmi ombra? ». Ricordo quando ottenni sei mesi d’aspettativa dal giornale per scrivere un libro sugli operai della Fiat: «Ma come puoi resistere mezzo anno senza la tua firma sul giornale?», chiedeva accorato. «Io impazzirei, per sentirmi vivo ho bisogno di vedere il nome stampato e ben piazzato tutte le mattine, altrimenti sto male». Quel che vorrei dire a Giorgio Bocca, se non sapessi di procurarmi con ciò una risata di compatimento, è che non ha mai smesso di essere il mio modello ideale di giornalista. Senza nessun altro paragone possibile. Di lui amo lo sguardo, la zampata, l’antiretorica, lo star dentro e fuori insieme, la furbizia, la semplicità. Ma amo e ho invidiato prima la sua biografia semplice di partigiano. La scelta di vita fatta al momento giusto, un corso ufficiali degli alpini nel 1939, ed elevata a valore-guida su cui non si scherza. Pochi mesi fa, quando gli ho mandato con dedica il mio Scintille, ne ho ottenuto la seguente email in risposta: «Grazie per il libro sulle tue strane origini». Ecco, le origini del Bocca non sono strane affatto. E ne determinano pure quel che lui stesso definisce il suo lato grigio, le condivisibili debolezze: attaccamento al denaro e mangiar bene. Sono impareggiabili, nel suo libro più personale, Il provinciale, le pagine dedicate al piacere di comprare gorgonzola a mezzo chilo per volta dal salumaio più lussuoso; ma soprattutto ai ricconi milanesi ignoranti, abituati a bere schifezze, che stupefatti gli chiedono come mai alla sua tavola si beva vino rosso così prelibato, e lui risponde: basterebbe pagarlo caro, signori, potreste anche voi. Se queste sono le debolezze del giornalista partigiano – soldi, cibo e vino per sentirsi finalmente arrivato e appagato – capirete che dopo può permettersi la necessaria intransigenza. Va a vedere curioso il Berlusconi degli inizi, facendosi pagare profumatamente dalla nascente Tv commerciale. Assaggia, si ritrae disgustato, non smetterà di scrivere quel che ne pensa. Prima di altri, e senza clamore, deciderà che potendoselo permettere è meglio interrompere la collaborazione alla Mondadori, divenuta proprietà dell’uomo più potente d’Italia. Oggi lo segue il teologo Vito Mancuso, e anche il prete don Andrea Gallo. Senza essere cristiano e cattolico come loro, Giorgio Bocca arriva a 90 anni confessando per iscritto le sue tentazioni, desideroso com’è di vincerle. Ma non troppo: altrimenti che gusto ci sarebbe a fare il giornalista?