Mario Deaglio, La Stampa 25/8/2010, pagina 1, 25 agosto 2010
La ripresa era solo un’illusione - Almeno in America, la crisi di oggi si chiama W: il che significa, seguendo la scrittura di questa lettera, caduta (fino a tutta l’estate 2009), parziale risalita (fino a tutta la primavera 2010), nuova caduta (in America sembra essere in corso ora) e risalita, che si spera definitiva, a data non certa né particolarmente prossima
La ripresa era solo un’illusione - Almeno in America, la crisi di oggi si chiama W: il che significa, seguendo la scrittura di questa lettera, caduta (fino a tutta l’estate 2009), parziale risalita (fino a tutta la primavera 2010), nuova caduta (in America sembra essere in corso ora) e risalita, che si spera definitiva, a data non certa né particolarmente prossima. Forse potremmo ritenerci fortunati perché è stata evitata una crisi a L (caduta seguita da stagnazione, che in Giappone si protrae da oltre un decennio), ma certamente siamo lontanissimi dall’ottimistica ripresa a V (caduta seguita da rapida ripresa). Il dato che in qualche modo certifica la ripresa a W è stato diffuso ieri negli Stati Uniti: nel mese di luglio la vendita di abitazioni è precipitata di oltre il 27 per cento rispetto al luglio 2009. Tale brutta caduta, nettamente superiore alle previsioni, è dovuta alla scadenza, a fine giugno, di un «bonus» fiscale di ottomila dollari per ogni acquisto di abitazione. Il «bonus» aveva determinato, come spesso succede in questi casi, una «corsa», peraltro modesta, a concludere le compravendite prima del termine di questo beneficio; e ha lasciato a luglio quelli che non sono arrivati in tempo, con meno di quattro milioni di contratti, il più basso numero di abitazioni vendute negli Stati Uniti da 15 anni a questa parte. Tutto ciò fa ragionevolmente supporre che, siccome si vendono meno case, se ne costruiranno anche di meno e l’effetto di questa minor domanda influenzerà le industrie americane che producono materiali da costruzione, infissi, elettrodomestici e via discorrendo, diffondendo nuovi germi recessivi nella maggiore economia del mondo. Si tratta di una conferma in più che, senza il «bonus», il malato - ossia il consumatore americano - non respira. Le conseguenze si sono immediatamente riflesse sulla finanza mondiale determinando una forte caduta di tutte le Borse, un lieve aumento del tasso di interesse, un indebolimento del dollaro e un rafforzamento del prezzo dell’oro. Il che legittima nuovi interrogativi sull’attuale ripresa europea, per la quale è ancora incerto se si tratta di un rimbalzo o di qualcosa di più solido. Particolarmente negative sono risultate le quotazioni dei titoli del debito pubblico greco e irlandese, così come l’andamento di quelle Borse, in quanto i piani di rientro dal deficit di quei Paesi sarebbero indubbiamente compromessi da una mancata crescita dell’economia mondiale. La prospettiva di un altro autunno tempestoso per l’economia mondiale si riflette su una serie di problemi per l’Europa e per l’Italia. Per l’Europa, le vendite che cadono potrebbero aver come conseguenza barriere che si alzano; molti Stati potrebbero essere tentati da un «protezionismo leggero» ai limiti delle norme dell’Unione europea, e l’intera Unione potrebbe avere atteggiamenti più incisivi nei confronti di importazioni che violano gli standard di qualità che l’Europa si è data. Entro certi limiti (molto risicati) un atteggiamento difensivo è comprensibile e perfino auspicabile, ma occorre fare attenzione a non irritare troppo gli asiatici: chi infatti, se non cinesi, coreani e giapponesi, potrebbe sottoscrivere le valanghe di titoli pubblici che i maggiori Paesi europei (Francia, Germania e Gran Bretagna) si preparano a emettere nei prossimi mesi? Per l’Italia la non favorevole evoluzione americana deve essere un motivo in più per assumere un atteggiamento responsabile nell’affrontare i due problemi, uno economico e uno politico, che il Paese ha di fronte e dei quali i listini delle Borse e i dati economici in genere sono diventati una dimensione importante. La prospettiva che nei prossimi mesi una nuova gelata economica raggiunga l’Italia e i Paesi che sono i migliori clienti dell’Italia non può essere disinvoltamente trascurata. Al di là del lato giuridico della vertenza della Fiat di Melfi - che sembra implicare un tentativo di evoluzione della struttura, da tempo consolidata, dei rapporti sindacali in Italia - vi è la realtà di un mercato europeo e mondiale dell’auto con i suoi parametri di costi, prezzi, modelli. Sarebbe una sciagura se l’industria automobilistica italiana si trovasse in difficoltà per motivi, pur comprensibili, di tipo giuridico-istituzionale e per una generale sottovalutazione della difficoltà della situazione internazionale. Senza il bilanciamento delle diverse esigenze, auspicato anche dal presidente Napolitano, il rischio di un forte indebolimento produttivo non può essere escluso: l’Italia non vive nel vuoto pneumatico e non può pensare di risolvere i suoi problemi chiudendo gli occhi a quanto avviene nel resto del mondo. Un’analoga consapevolezza di quanto avviene al di là delle Alpi e del mare è necessaria da parte dei politici: crisi ed elezioni non possono e non devono essere decise soltanto in base al calcolo politico, trascurando disinvoltamente il calcolo economico.