Alessandra Farkas, Corriere della Sera 25/08/2010, 25 agosto 2010
LA SIGNORA DEI RECORD —
Irresistibile, l’ultimo bestseller di Danielle Steel in uscita oggi da Sperling & Kupfer, è una rivisitazione in chiave moderna di Scandalo a Filadelfia ( The Philadelphia Story), il film diretto da George Cukor nel 1940 con Katherine Hepburn, Cary Grant e James Stewart: una coppia divorzia, intrattiene relazioni con altri partner e finisce per risposarsi.
Così, ancora una volta la 63enne regina indiscussa del rosa torna ad attingere alla propria vita come fonte di ispirazione. Per la precisione, in questo caso, attinge al duplice matrimonio con il produttore italo-americano di vini John Traina — quarto dei suoi cinque mariti, padre dei suoi nove figli — che sposò ben due volte negli anni 80, dopo una breve separazione. Tra gli altri mariti — diventati materiale da fiction — Danielle Steel annovera un eroinomane (che ispirò Passion’s Promise) e un detenuto condannato per stupro (finito nel romanzo Remembrance). Del resto tutta l’opera della Steel — Danielle Fernande Dominique Muriel Emily Schuelein-Steel all’anagrafe — è in un certo senso un lungo, ininterrotto romanzo autobiografico.
«Ho iniziato a scrivere storie da piccola, per fuggire al dolore assordante della mia solitudine», racconta l’autrice al «Corriere della Sera», durante una delle sue rarissime interviste, rievocando il divorzio tra suo padre John Schulein Steel, erede del colosso tedesco della birra Löwenbräu, e sua madre Norma da Câmara Stone Reis, figlia di un diplomatico portoghese, quando lei aveva solo sei anni.
La sua è un’infanzia segnata dallo stesso senso di solitudine e abbandono delle eroine di tanti suoi romanzi. «Mamma mi piantò in asso e tornò a vivere in Europa, lasciandomi sola con papà a New York», racconta. «Non era una persona affidabile. Era giovane, elegantissima e straordinariamente bella. E non si vedeva nel ruolo di madre. Alla responsabilità di una figlia preferiva la vita mondana. Crescendo ci siamo viste pochissimo».
Il fatto che sua figlia abbia dedicato anni a demolire il mondo vuoto e illusorio del jet set internazionale di cui sua madre era protagonista — per esempio in Ritratto di famiglia e Una grazia infinita, ecco che ritorna il lungo romanzo autobiografico — non l’ha mai toccata. «Mamma non ha letto neppure uno dei miei libri — rivela — però quando nel 2002 la Francia mi conferì l’Ordine delle Arti e della Letteratura, è rimasta molto lusingata».
Tre anni fa, al funerale della madre a Parigi, l’intera cattedrale si voltò a guardare bisbigliando la folta comitiva di figli, generi, nuore e fidanzati vari. «Ben pochi dei suoi amici erano al corrente della mia esistenza — ironizza — mamma non voleva si sapesse che aveva una figlia perché quella non era l’immagine che voleva dare di sé».
Ma se l’aristocratica e superficiale Norma non poteva immaginare nulla di più monotono della responsabilità di crescere un figlio, Danielle è proprio l’opposto. Cioè una matriarca a tutti gli effetti, che alle cinque figlie e ai loro quattro fratelli, ha cercato di insegnare e trasmettere il senso dell’utopia femminista della superdonna: moglie, madre e scrittrice di successo. «Mi sono sposata molto giovane, quando avevo diciassette anni. Ho sempre cercato di dare ai miei figli l’opposto di quello che avevo ricevuto io. Facendoli crescere in una famiglia vera, dando loro l’infanzia che io non avevo mai avuto. Dio alla fine riserva sempre una grande famiglia agli animi più solitari», si ferma a riflettere. «La cosa più importante del mondo per me sono i figli. Non i libri, naturalmente, i figli».
La riprova, se ce ne fosse bisogno, è nella dedica di Irresistibile: «Ai miei figli infinitamente preziosi, Beatie, Trevor, Todd, Nick, Sam, Victoria, Vanessa, Maxx e Zara, che danno amore e gioia alla mia vita, mi mantengono onesta, mi offrono la speranza, e mi ispirano a dare il meglio di me. Voi, tutti e nove, siete i miei eroi! Vi voglio talmente bene!».
Nella lista compare anche Nick Traina, il secondogenito, affetto da un grave disturbo bipolare, morto suicida nel 1997. A lui la Steel ha dedicato una delle sue due opere non di narrativa: Brilla una stella. La storia di mio figlio ( His Bright Light), oltre alla fondazione non profit Nick Traina Foundation, che raccoglie fondi per la cura delle malattie mentali. «Nick era il più talentuoso di tutti — dice — faceva il cantautore e scriveva racconti. Io sospettai che fosse malato già quando aveva due anni, ma nessuno mi diede retta. I medici dicevano che era solo molto intelligente, e non mi ascoltarono».
Da allora la sua vita non è più stata la stessa. «Mi sono stretta ancora di più attorno agli altri otto. Siamo un clan molto unito. Alcuni di loro sono cresciuti e indipendenti, è naturale che sia così, però andiamo ancora in vacanza insieme e ci vediamo per trascorrere tutte le feste». La sua leggendaria avversione per i riflettori nasce dal bisogno quasi fisico di proteggerli. «Ho voluto tenerli fuori dagli artigli dei tabloid. Quando ho iniziato la carriera di scrittrice, ho subito messo le cose in chiaro con il mio editore: niente interviste, niente tour promozionali, niente da fare».
Questo naturalmente non le ha impedito di vendere più di 580 milioni di libri in 47 Paesi (è tradotta in 28 lingue) finendo all’ottavo posto nella lista degli autori più popolari e letti della storia. E questo grazie a una mole davvero impressionante di romanzi che l’hanno addirittura consegnata al Guinness dei primati come l’unico autore ad aver occupato l’hit parade dei bestseller del «New York Times» per 390 settimane consecutive: un record, appunto.
«A un certo momento ho pensato di andare in pensione, poi ho cambiato idea perché non posso permettermelo», scherza la Steel, che evidentemente non deve poi avere tutti questi problemi economici. «Sono capace di scrivere anche ventidue ore al giorno e sono una stacanovista. Spesso lavoro a cinque libri contemporaneamente»: tutti battuti su una vecchia macchina per scrivere Olympia del 1946, nonostante abbia diversi siti e blog ufficiali a suo nome.
L’inclemenza dei critici nei suoi confronti («pessimo stile, personaggi superficiali, intrecci assurdi e dialoghi improbabili», sono le accuse più frequenti) non la tocca. «Ho smesso di leggere le loro recensioni tanto tempo fa. Secondo loro chiunque venda molto è da scartare automaticamente. Non sono certo la prima, né sarò l’ultima delle loro vittime. Ho letto critiche devastanti su Jackie Collins, Judith Krantz e Sidney Sheldon». Non è nemmeno una grande lettrice di libri altrui. «Lavoro molto, ho poco tempo. A volte in estate, quando vado in vacanza con i ragazzi, riesco a fare un’eccezione», spiega. «Prediligo letture leggere, volumi da spiaggia. Mi piacciono gli autori francesi amici miei, come Marc Levi e Theresa Révay. Sono anche una fan dell’americano Joel Osteen». La sua grande passione è però un’altra: la letteratura spirituale o religiosa. «Quando è morto mio figlio Nick, sono tornata in chiesa e ho cominciato a leggere testi sacri. È stato come tornare a casa. Ho ritrovato conforto, una fonte di forza interiore». Anche dopo la recente denuncia di Anne Rice secondo cui «la religione cristiana è rissosa, ostile, polemica e ipocrita»? «Non puoi confondere la chiesa e la fede con le persone che le rappresentano — replica la Steel — non importa chi sia il tuo Dio; l’importante è sentire una presenza spirituale nella tua vita».
Il suo unico rimpianto, oggi, è quello di avere chiuso la sua galleria d’arte, la «Steel Gallery of Contemporary Art» di San Francisco, dove dal 2003 ha allestito mostre di pittori e scultori emergenti da lei stessa scoperti. «L’arte è il mio grande hobby dai tempi della «Parsons School of design», che ho frequentato a New York negli anni sessanta. Purtroppo nel 2006 una persona di fiducia — in realtà dovrei dire: una persona che credevo di fiducia — la mia assistente, mi ha consigliato di chiudere la galleria e io l’ho fatto, scoprendo più tardi che mi aveva derubata e che la chiusura della galleria serviva a nascondere il suo reato». La donna, Kristy Watts, sta scontando una pena di quasi tre anni in un carcere della California.
Alessandra Farkas