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 2010  agosto 25 Mercoledì calendario

I SEGRETI DEI «PALADINI DELLA TRASPARENZA»

Trasparenza e segreti, privacy e voyeurismo. Intorno a questi poli si incrociano le storie, diversissime tra loro, di due protagonisti di Internet, di due attori che — chiedendo fiducia ai propri «utenti» — sulla Rete hanno messo la faccia. Da un lato quella diafana di Julian Assange, il quarantenne portavoce di WikiLeaks, sito che a fine luglio ha pubblicato oltre 76 mila rapporti segreti del Pentagono sulla guerra in Afghanistan. In nome della trasparenza giornalistica, ma da parte di un’organizzazione che fa della impalpabilità il proprio punto di forza. Dall’altro la faccia sorridente del ventiseienne Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, il diario condiviso online a cui mezzo miliardo di persone affida la propria vita, preferenze e rapporti personali. Un’eredità digitale in cui ci si mette (volontariamente) nudi, ma anche una vetrina dalla quale è difficile staccarsi (pur volendolo). L’unico utente che pare immune dai «guardoni» è proprio il fondatore, sul cui passato a luci e ombre è stato fatto un film, «The social network», in uscita negli Usa a settembre. E che a Zuckerberg non è piaciuto.
Mischiando il software di Wikipedia («Wiki») e la volontà di fare giornalismo fuori dagli schemi imposti («Leaks», fuga di notizie), nel 2006 nasce il sito fondato secondo la mitologia da dissidenti cinesi e giornalisti e intellettuali da diversi Paesi del mondo.
L’idea di WikiLeaks è che il cittadino della Rete possa intervenire per aumentare e affinare il grado di informazione. La realtà è decisamente meno partecipata e più strutturata, ma della organizzazione decentrata Assange è senz’altro il portavoce, si dice uno dei fondatori, forse anche il direttore. Come racconta il Wall Street Journal, la realtà di chi predica trasparenza non sarebbe a sua volta sotto gli occhi di tutti. Mentre le rivelazioni di fine luglio documentano una guerra violenta e corrotta, con migliaia di morti civili, la faccia di chi le ha presentate, quella appunto di Julian Assange, non sarebbe sotto la luce del sole. E non si tratta della accusa, rapidamente annullata perché inesistente, di stupro. Il giornale americano scrive di come l’australiano ex hacker, raccontando di come l’organizzazione nel 2010 abbia finora ricevuto un milione di dollari in donazioni anonime, voglia in realtà mantenere il segreto non solo su chi lavora e in che modo sul sito di informazione, ma soprattutto sui finanziatori delle attività.
WikiLeaks è un’entità sfuggente, lo racconta lo stesso Assange: è una libreria in Australia, una fondazione in Francia, una testata giornalistica in Svezia. I soldi arrivano dalla Germania attraverso la fondazione dedicata a Wau Holland, un hacker attivo negli anni Ottanta. Una scelta secondo il giornalista dai capelli bianchi per tutelare l’indipendenza fondamentale per il lavoro della sua task force. Ma secondo alcuni commentatori per capire davvero una notizia o un documento è fondamentale sapere da dove vengono e perché sono stati pubblicati. Ne esce una figura di Julian Assange molto simile a quella descritta da Stieg Larsson, la hacker svedese amante della giustizia, ma non della trasparenza, Lisbeth Salander.
Rimanendo ai paragoni letterari, il Mark Zuckerberg del film di prossima uscita assomiglierebbe invece a quella apparentemente impeccabile di Patrick Bateman, il protagonista di «American Psycho» di Bret Eston Ellis. Senza arrivare ovviamente agli eccessi omicidi di quest’ultimo. La pellicola diretta da David Fincher («Fight club») racconta per immagini il libro di Ben Mezrich dal titolo più che significativo: «Miliardari per caso. L’invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento». Una storia «molto romanzata», secondo Zuckerberg, in cui il ragazzo della Florida viene descritto anche come un disadattato un po’ perverso, una faccia d’angelo che nasconderebbe un uomo d’affari con pochi scrupoli, capace di trasformare in oro quelle che erano idee di altri. È vero che, ripercorrendo il sottotitolo del film, è difficile avere 500 milioni di amici senza crearsi almeno alcuni nemici. Ma l’immagine adolescenziale di Zuckerberg, creata ad arte e gelosamente custodita, secondo molti non può più reggere. L’ultimo attacco al fronte pro Facebook è arrivato nei giorni scorsi, con la scoperta che nel sito si possono «bloccare» tutti gli utenti ma non Zuckerberg. Niente di grave, probabilmente solo un tocco goliardico in stile con il personaggio. Ma non più con un sito che è la seconda casa di un numero di persone pari ai cittadini dell’Europa dei 27.
Federico Cella